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Fuoco Amico /Wu- Ming per Sud n°1

Immagine di José MUÑOZ

LEGARSELA AL DITO
di Wu Ming 1

Rancori coltivati con dedizione. Esiste un “pollice verde” dei rancori: c’è chi è in grado di farli crescere e chi no, chi crea per loro un perfetto microclima e ha la costanza di annaffiarli tutti i giorni prima di uscire di casa, e chi invece li lascia sul terrazzo, noncurante, li lascia a consumare la stagione finché le foglie non cadono, volano nei giardini sotto casa, tornano concime per il ciclo della vita.

“Rancore” ha a che fare con l’essere rancidi. Stantii e un poco puzzolenti. Ri-sentimento è il già sentito, emozioni sfiancate dalla ripetizione coatta, come proletari già esausti che vedono allontanarsi l’età della pensione. Livore, legarsela al dito, e ogni giorno guardarsi quel nodo, pensare che quel dito è il centro del mondo, tutto ciò che ti circonda è in relazione a quella cosa – o persona – legata al dito. Vedi nemici dappertutto,intravedi le tensostrutture di complotti destinati a slegarti quella cosa/persona dal dito. La copri con l’altra mano a conca, e continui a guardarti intorno.

Trai la tua identità da questo gesto, e la difendi come la spada difende il solco. Diventi paranoico, te lo fanno notare,tu cancelli i nomi dall’agenda, e scrivi nel tuo diario: “C’è un complotto volto a farmi credere che sono paranoico”. Profondi crepacci si aprono ai lati della bocca, paralizzata in un ghigno. Sono quelli i solchi che difendi.

All’opposto il/la noncurante, se si lega qualcosa al dito, lo fa per rammentarsi di non perdere tempo con la tal cosa o la tal persona. Se la lega al dito per liberarsi, ricordare di dimenticarsi, non per sempre ma fino a data da destinarsi. Da tornarci sopra con più calma. Il rigore nelle scelte viene ostacolato dalla rigidità dei rancori, che richiedono percorsi obbligati, tempi mnestici standardizzati. Lo stile è nemico dell’abbandono al risentimento. Lo stile è guerra di movimento. L’identità è guerra di trincea. L’identità è stile fossilizzato. L’identità è caduta di stile istituzionalizzata. Sui palazzi di quell’istituzione vige il divieto di sorvolo.

Le contraeree non smettono mai di sparare. L’identità è nemica dei movimenti. I movimenti devono, appunto, far guerra di movimento. L’identità rende le suole pesanti dello sterco che colma le trincee. Ad ambulare con gli scarponi immerdati sono gli esponenti degli autoproclamati “cetipolitici” dei movimenti. I rapporti tra i ceti politici sono immersioni senza machete in giungle di livori e risentimenti.

Re-criminazioni: il continuo tornare sul luogo del delitto, l’angolo dietro il quale fu pugnalato lo stile. Il continuo ricostruire il delitto, come nei docudrama. Sarà una metafora frusta (va bene così: la frusta sovente incita gli schiavi alla fuga o alla rivolta), ma occorre volare alto. Aprire le ali e i polmoni. Cagare sul cocuzzolo del cranio a chi laggiù difende i solchi. E’ questa la missione da compiere. Lasciare il luogo del delitto alle visite dei coatti. Lasciare che le contraeree sparino a un cielo vuoto.

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63 Commenti

  1. effe effe, dov’eri ieri?
    come hai fatto a pensare le stesse cose che stavo pensando? :-)

    “Lo stile è guerra di movimento”

    possiamo metterlo come aforisma di N.I.?

    grazie

    Emme Emme

    Giancarlo dovrei risponderti con uno slogan ma è molto volgare…non so se i redattori me lo permettono

  2. magda, cavolo, ma come sei seriosina… era solo una naturale figata come risposta a una wu minghiata. Aspetto lo slogan “volgare”. Son curioso.

  3. Una frase di Wu Ming come aforisma di N.I.? Sarebbe la rivoluzione :-) Ma di quand’è questo pezzo? Sul sito dei WM non c’è.

  4. Oh, finalmente parliamo dei fondamentali.
    E’ che se mi viene un motto, una perfida vocina mi dice: Fallo, postalo.
    E più son disperato più mi vien da scherzare. Compatitemi. Dunque.

  5. @ magda
    Molti anni fa, dopo una grossa manifestazione femminista, comparve su un muro di Viale Trastevere, a Roma, la seguente scritta a caratteri cubitali:
    LO SPERMA C’INQUINA
    dopo qualche giorno lì sotto comparve il testo che segue:
    IL CAZZO TOMBOLA.

  6. Grazie, Effeffe. Il topic mi sembra il risentimento, no? Immagino che Effeffe volesse dire qualcosa su certe polemiche blogghesche che si trascinano più del dovuto. Sbaglio?

  7. Colgo nel pezzo moniti contro l’incancrenimento dell’individualismo che punta alla misantropia divenendo rancido e acidulo.
    Occhieggia alla condivisione “movimentata” che crea Stile nuovo, comprende Deleuze, la cultura d’avanguardia e di confine.

  8. Carissimo Franco Melloni
    c’est une ouverture. Bisogna aprire il gioco e trovare les passes (passaggi) giusti.
    @mag esattamente questo, semplicemente
    effeffe

  9. Bello il pezzo di WU
    Anche il “legarsela al dito” di tramutoli è deliziosa;-), tramutoli, quando senti la vocina fallo/a, non dimenticartene.

  10. Solo per apprezzare che dell’immagine usata come illustrazione di copertina del testo siano stati dati nome e cognome dell’autore. Troppo spesso su queste pagine ci si dimentica di farlo, no? Penso che il circuito del rispetto del lavoro degli altri, invece che dell’appropriazione o della dimenticanza delle identità altrui, sia sempre un circuito virtuoso. Lo si fa per i testi, perché tralasciare le immagini?

  11. Scusa Giovanna, non credo che sia vero che su Nazione Indiana si dimentica di indicare l’autore delle immagini. E’ una cosa che fa imbestialire anche me e qui mi sono sempre imbestialito pochissimo, per le immagini almeno :-)

  12. Mi suona un po’ strano questo testo di Wu Ming 1. Una mistura abbastanza innaturale tra un’idea che avevo già trovato in Borges (la miglior vendetta è l’oblio) ed una psicologia pop alla Alberoni, con l’instaurazione dell’ennesima opposizione “fondamentale”. Alla fine però mi risulta più simpatico l’inverosimile “rancoroso” che non il suo opposto, cioé il “noncurante” che “se si lega qualcosa al dito, lo fa per rammentarsi di non perdere tempo con la tal cosa o la tal persona”. Sembrano Paperino e Gastone.

  13. Wovo, a me viene in mente l’accolita dei rancorosi di Vinicio Capossela: a chi non sono un po’ simpatici… :-)

    “Camminan di bolina
    al freddo di prima mattina
    legnosi nei pastrani
    come talpe dentro
    brache di fustagno

    occhi crepati, vene aguzze
    maculati
    denti neri di tabacco
    barbe di setola e allumina
    anche l’alba che li coglie
    livida di bardolino
    porta rispetto e fa un inchino […]”

  14. Eh sì … :-)
    Rileggendo il tutto però, mi accorgo che il mio paragone fumettistico era un po’ superficiale, che più importante sarebbe stato metaforizzare il nucleo teorico che informa il testo, ovvero la sua “logica di Superciuk”, il quale rubava ai poveri per dare ai ricchi in quanto vedeva i primi sporchi, ignoranti e rozzi, i secondi puliti, colti e raffinati, ed allineava così, coerentemente, le proprie azioni alle proprie preferenze.

  15. Se proprio devo superare il rancoroso Caposella, che adoro specie in “camera a sud”, richiamerei Lindo Giovanni Ferretti che al rancore sostituisce l’inquietudine di contrasto e invita ad esorcizzarlo con il “volo” il “viaggio”.
    questo il testo della canzone INQUIETO, che piu’ che cantare, recita.

    Senza volontà senza sapere quando
    Sarà una luna nuova
    Una forte nevicata un temporale
    L’arresto che consegue il terremoto

    Allora un lampo unisce gli occhi e il cuore
    Con borbottìo di tuono muovono le parole
    Torna il tempo ritorna l’energia
    Torna la vita torna il mattino vuoto
    Vuoto
    Vuoto
    Vuoto

    E donne strette dentro scialli neri
    Vennero a reclamare scelte chiare
    Stavano i vecchi accovacciati ai muri
    Attenti i bimbi attenti i cani
    Attenti!

    E donne strette dentro scialli neri
    Vennero a reclamare scelte chiare
    Stavano i vecchi accovacciati ai muri
    Attenti i bimbi attenti i cani
    Attenti!

    Mattino vuoto luminoso pieno
    S’avvia verso la sera il pomeriggio
    Pomeriggio dolce la notte consola
    Consola il mondo che s’è infittito
    Gremito di presenze rimpicciolito
    Gremito di presenze il vuoto è pieno
    Pieno
    Pieno
    Pieno

    S’incupa al suono s’avviluppa si blocca
    S’avviluppa si blocca
    Ognuno si rincuccia dove può

    E donne strette dentro scialli neri
    Vennero a reclamare scelte chiare
    Stavano i vecchi accovacciati ai muri
    Attenti i bimbi attenti i cani
    Attenti!

    Memorie passi d’altri ch’io calpesto
    Su stanchezze di secoli
    In alterna cadenza
    Gioia che riannoda dolore che inchioda
    Gioia che riannoda dolore che inchioda
    Terre battute dai venti infuriati dai monti
    Sereno incanto splendente di sole di bianco
    Dense sfumate nuvole di piombo
    Grigio verde ed intenso blu
    Colpo d’occhio rotondo
    Colpo d’occhio rotondo
    Memorie passi d’altri ch’io calpesto
    Su stanchezze di secoli
    In alterna cadenza
    Gioia che riannoda dolore che inchioda
    Gioia che riannoda dolore che inchioda
    Dolore che inchioda
    Dolore che inchioda.

  16. Ma perché si prende una caratteristica superficiale, un epifenomeno – il rancore appunto – e se ne fa un “principio”?
    Tutto dipenderà dalle cause di questo rancore, no? Se ci raccontassero che il rancoroso è un “poveraccio” al quale un riccone “in movimento” ha investito e ucciso, da ubriaco, l’unico figlio, e che poi il riccone l’ha fatta franca grazie ai suoi avvocati e dell’intera faccenda (comprensibilmente) non vuol sapere più nulla, tutte quelle connotazioni non suonerebbero alquanto grottesche? E dunque io ritengo che esse non esplichino un bel nulla, e debbano la loro suadenza semplicemente alla retorica.

  17. ahahahahahah….uhuhuhuhuhuh…..
    per inciso: a scuola insegnano ai bambini i nomi scientifici degli organi sessuali…vulva e pene…pero’ a me bella vulva non me l’hai mai detto nessuno!!!!…..

  18. Estrapolato dalla particolare micro-fase storica in cui fu scritto, questo frammentino diventa astratto, ha ragione Wovoka. Riproposto così, pare il confronto tra Donald Duck e Gladstone.

    All’epoca, assistevamo agli ultimi spasmi del neo-cadavere del “movimento nato a Seattle” etc., benché il fresco ricordo del forum fiorentino e l’opposizione diffusa alla guerra in Iraq illudessero molti del contrario. C’era chi guardava l’autunno e vedeva primavera. Chi credeva di assistere a un parto, e invece – come i due gemelli biologi de “Lo zoo di Venere” – stava contemplando una putrefazione.

    I cosiddetti “Social Forum” sparsi per l’Italia (qualcuno se li ricorda?), terminata la fase “ascendente”, avevano già imboccato il vialetto del crepuscolo, divenendo “sfogatoi” di scazzi pregressi tra gruppi, correnti e singoli attivisti, dinamiche tutte interne a ceti politici residuali, psicosi da complotto che spesso risalivano alla notte dei tempi, al ’77, a Comiso ’83, a Isola Capo Rizzuto ’90, alla Pantera etc.
    “Zitto tu, che sei una spia della CGIL!”, “non mi fido di X, ricordo che quel giorno che c’erano i fasci disse…”, “Bisogna tagliare fuori chi vuole svendere un patrimonio di lotte…” Etc.
    Il reticolo di livori e risentimenti reciproci imprigionava le energie residue, e aveva un effetto repulsivo nei confronti di chiunque non condividesse quei percorsi e non facesse parte dell’autoproclamata casta di burocrati e custodi del risentimento. Quelli che *davvero* hanno svenduto (sottocosto) l’anima del movimento al diavolo della noia.

    Il mio frammento parlava di quello. Chi lo lesse all’epoca, e in quel contesto, lo comprese in toto. Quando Forlani mi telefonò e mi chiese un pezzo per il primo numero di “Sud”, gli mandai queste poche righe. Gli piacquero (anche lui conosce la sinistra di movimento e il devastante potere dei rancori incancreniti), le pubblicò.

  19. Immaginavo qualcosa del genere, interessante dunque la capacità del testo di “funzionare”, in una certa misura, anche al di fuori del contesto che ne ha determinato la sintesi e dal quale in fin dei conti dovrebbe rimanere dipendente. Sarebbe corretto associare questa facoltà ad una sua “struttura retorica”? (non me ne intendo molto).

  20. Temo più dell’orchite
    avere attorno un coglione
    che mi tramuta da mite
    in violento trombone.

  21. Ma no, Wovoka.
    Era solo una cosa mia che mi pareva giusta sul tema del rancore.
    Io preferisco sempre i miti, ai violenti. :-)

  22. Dici che funziona? Boh.

    Comunque, la “struttura retorica” è quella che hai individuato tu, almeno mi sembra (non ci ho riflettuto, all’epoca, mi è venuto di getto): si parte da una “opposizione di base”, quasi una dicotomia, quella tra rancore e noncuranza, poi la si personalizza, “antropizza”, creando due personaggi: il rancoroso e il noncurante, e si elencano i loro comportamenti per coppie antitetiche.

    Poi c’è un uso massiccio, ridondante, dell’allegoria, giocata su tre immagini-base: il giardinaggio, il volo, la trincea.

  23. @giancarlo. beh meglio! la mia era fallacia da “post hoc propter hoc” :-)

    @wm1 – interessante. Su queste cose retoriche ricordo solo un saggio di Barthes che a suo tempo non mi ha preso granché. Avresti per caso sottomano qualche riferimento libresco particolarmente brillante e aggiornato (cioé possibilmente cognitive-science-aware)?

  24. Di una decina di anni fa e di taglio divulgativo, ma all’epoca molto cognitive-science-up-to-date: Massimo Piattelli Palmarini, “L’arte di persuadere. Come impararla, come esercitarla, come difendersene”, Mondadori, 1995. L’autore, almeno all’epoca, era direttore del Dipartimento Scienze Cognitive del S. Raffaele di Milano, mica cazzi! Il libro è anche divertente, a un certo punto si “addensa” un bel po’, ma poi torna leggiadro.

    Se invece si vuole andare sul taglio “classico”, ma senza risalire a Cicerone e Quintiliano: Bice Mortara Garavelli, “Manuale di retorica”, Bompiani 1988. La tizia è ordinaria di grammatica, e il libro è molto tecnico (“Nel modello lausberghiano la ripetizione appare come procedura dell’aggiunzione…”)

    Se invece si vuole andare sull’ultradivulgativo, quasi ai limiti dello svacco, c’è: Matteo Rampin, “Al gusto di cioccolato. Come smascherare i trucchi della manipolazione linguistica”, Ponte alle Grazie 2005. Il tizio è psichiatra e psicoterapeuta.

  25. Grazie mille, prenderò sicuramente il primo. L’interesse in queste cose, non essendo io scrittore, mi è sorto quando tentavo di entrare nel mondo artistico. Dopo lo stupore iniziale per il disinteresse dei “critici”, che ingenuamente immaginavo persone aperte e meravigliose, costantemente alla ricognizione di espressioni artistiche – come materiale sul quale esercitare gioiosamente le proprie facoltà, mi sono rassegnato abbastanza presto all’idea di fare il critico di me stesso, e dunque, studiando attentamente i testi presenti sui cataloghi, mi sono accorto (ovviamente per quelli di impostazione “teorica” piuttosto che biografica, e di un certo livello qualitativo) del loro incredibile grado di riutilizzabilità: rimossi quei 4 o 5 collegamenti alle caratteristiche “fattuali” dell’opera dell’artista in questione, ti rimaneva in mano un “blocco” testuale agevolmente trapiantabile. Così, per gioco, mi è capitato di adattare un testo di Artaud riferito al teatro di non ricordo chi, e trovarlo la critica migliore che fosse mai stata scritta sui miei lavori! In quel periodo poi, mi stavo anche studiando Bateson, che nel suo “Mente e Natura” si dilunga in più riprese nel suo concetto di “spiegazione” come proiezione di una descrizione su di una tautologia (o “struttura logica”) chiedendosi tra l’altro: “Se la spiegazione è quale io l’ho descritta , ci si può ben chiedere che vantaggio traggano gli esseri umani da un’operazione così scomoda e arzigogolata e in apparenza così inutile. Si tratta di una questione di storia naturale, e io credo che il problema venga almeno in parte risolto quando osserviamo che gli esseri umani sono molto negligenti nel costruire le tautologie su cui basare le proprie spiegazioni. In tal caso, si potrebbe supporre, il sovrappiù è di segno negativo, e invece sembra che non sia così, a giudicare dal favore di cui godono certe spiegazioni tanto informali da essere fuorvianti.”
    Comunque, le due cose mi sembravano reciprocamente illuminanti: di cosa erano fatti quei blocchi di testo così autosufficienti da poter fare dono della loro eloquenza a contesti diversissimi? Di generalità antropologiche applicabili ad ogni essere umano (o almeno ad ogni artista (o almeno ad ogni astrattista ecc.))) – e poi, di concetti molto grossi, molto astratti, molto vuoti (come denti cavi direbbe Deleuze) ai quali far eseguire qualche graziosa “torsione” o qualche “smottamento” di senso che di certo non avrebbe seppellito nessuno, e poi di “name dropping” quale magica evocazione di autorità culturale, e di suadenza linguistica – quell’autorità che un testo scritto bene si guadagna da sé (non a caso tali presentazioni sono spesso dei fardelli caricati sull’amico-scrittore – se uno non vuol pagare e non vuole far da sé). Questo almeno risultava alla “spettrometria” che era nelle mie facoltà. Ma penso che si tratti di un tema cruciale e tutt’altro che esaurito.

  26. Riprendo il flusso dopo la rencontre di ieri al teatro I (piccolo miracolo di organizzazione e retrouvaille) e volevo innanzitutto ringraziare Roberto per il suo intervento. Il contesto Sud in cui fu pubblicato era esattamente quello politico del fuoco amico. Il numero si apriva del resto con un testo di Antonio Ghirelli che metteva a fuoco (ohps ridondanza) quel tipo di attitude (che spesso cade nel revisionismo di chi rinnega il proprio passato rivoluzionario attaccando gli ex compagni di barricata) ma soprattutto sulle lotte intestine al movimento ( che poi si potrebbero applicare ai movimenti letterari dai surrealisti ai situazionisti e perchè no anche Nazione Indiana- che non è un movimento). Il testo di Wu-ming 1 ha avuto una ricezione ed un impatto veramente unanime all’uscita pur nella sua brevità da frammento. Lo affiancavano Yasmina Khadra, Erri de Luca – e qui minimo minimo mi arriva una denuncia dalla belle societè des lettres, Giuliano Mesa, Cepollaro, Patocka e Castoriadis (inediti) Jean Claude Michea, Miguel Torga e una bellissima immagine di entrata del fumettaro Bridenne,and so on.
    A conclusione volevo anche dire un’ultima cosa. A volte ho la sensazione che “la posizione”, per riprendere Wu-ming 1, tiranneggia un pò tra i nostri commenti. Leggerezza, compagni, leggerezza. Ci sono scritti che sono come voli di ricognizione, offrono una vista d’insieme e dicono procedendo anche per astrattezze (concetti?) altri come di alianti, aleatori e lirici e ben vengano voli in picchiata a caccia di precisione ma per favore , scordatevi le bombe intelligenti, perchè non hanno nemmeno il buon senso di chi sa anche essere stupido. Danzate, compagni, danzate.
    effeffe

  27. Francesco, bella serata, io sono arrivata per la parte migliore, cioè quando voi avete fatto il “cinema”.
    tu poi sei un crogiuolo di “pazzia” rappresentativa tra petrolini e l’antimaschera.
    cmq bello…….fatele piu’ spesso queste cose…..e sopratutto considerate anche le donne che sono poco presenti mi pare in NI.
    MISOGINI! MISANTROPI! MISTERI!
    scherzo eh, perchè ho visto che siete anche burloni.

  28. EFFEEFFE
    due cose:

    1) tu dici: “Danzate, compagni, danzate”. Meglio se avessi scritto: “danziamo, compagni, danziamo”. Meno imperativo, no?

    2) Sarò un ignorante, perdonami ma si può sapere CHE CAZZO VUOLE DIRE “ohps” che lo scrivi ogni due per tre?

    Vi abbraccio, mi è dispiaciuto non esserci ieri.

  29. Oh Gianni, sai perché Francesco dice “danzate”? perché lui danza da sempre… mica era un imperativo, casomai un invito. :-)
    E’ stata una gran bella serata, idee, concetti e percetti, poesia, e tanta amicizia… peccato non ci fossi!

  30. Adesso pero’ scatta l’identikit: ma tu quale eri dei tanti? e io quale ero?
    mah….a me ha colpito molto l’ultimo testo e il secondo credo…fosse Massimo

  31. Effe effe quando dice che qui si fanno gli interventi in picchiata a spaccare il pelo dentro l’uovo si riferisce a me e l’immagine gli è venuta facilmente perché pensa che sono picchiatello :-)

    @Wovo, eddai ma non si potrebbe vedere qualcosa di tuo, magari attraverso un link…
    Sto anche cercando di farmi un’immagine mentale di che immagini puoi creare. Però gli indizi non mi bastano, non riesco nemmeno a capire se usi la pittura.

  32. WU MING il piattello palmarino pero’ è molto un markettaro del neurone….el me piass minga. Lui vol fa l’ammmericano ma è nato in italy

  33. @WM1 – grazie!!! davvero molto gentile, però Internet Bookshop Italia non mi ha segnalato inconvenienti di sorta, quindi tra qualche giorno dovrei averlo a casa.
    @andrea b. – eh già, presto mi toccherà svelarmi, anche se “wovoka” è una maschera così rilassante … ma forse avrai già dato un’occhiata alle mie cose ai tempi dei miei primi contatti con N.I. (caratterizzati anche da qualche mio passo falso, per lo più legato all’ignoranza del contesto) quando usavo spesso nome vero e link al mio sito. Al momento sono orientato verso il “dividi et impera” (sulle mie faccende, non sugli altri, beninteso) ma non appena esaurisco questa fase “linguistico-cognitiva”, mi piacerebbe tentare qualche approfondimento sull’arte con te, se la cosa ti andrà a genio.
    Per adesso un saluto a tutti quanti: purtroppo in questi giorni non potrò soffermarmi molto a lungo, proprio mentre ci sarebbe parecchio materiale interessante su cui discutere.

  34. “Divide”, Wovoka, “divide et impera”.
    Aspetto la rivelazione, ma credo di essere già sulla buona strada: semini molti indizi: stai più attento.

    Buone cose

  35. Preferisco Giovanni Liotti, non ricordo il testo, ma credo Le operazioni della coscienza,,,,o qualcosa del genere.

  36. “Divide”, certo, grazie Gibril (mai andare “a braccio”). Sull’identità … in realtà non mi sono mai preoccupato di nasconderla davvero (anche se adesso ci marcio un po’… :-). Alcuni indiani l’hanno facilmente dedotta dai precedenti di cui dicevo ad Andrea, i più non ci hanno fatto caso, e giustamente, anche perché si tratta di un’identità che non dice nulla: un oscuro artista provinciale e per niente affermato, anche se discretamente combattivo :-)

  37. Il riferimento ai “precedenti” (NI1) è quello che mi ha fatto capire.
    E certo anche la questione del “combattivo” (su NI2 in effetti mi sembri più “tranquillo” :-)

  38. Beh, su quella N.I. in pieno “cupio dissolvi” c’era tutt’altro clima, ed io un poco mi adattavo a quel gioco di sciabolate nel buio, ed un poco attingevo alla mia scorta personale di distruttività. Tutto fa brodo però, ed in quel caos ad alta emotività si scorgeva talvolta qualche baluginio di verità che difficilmente ha modo di formarsi nell’olimpica rilassatezza (Tiziano penserebbe che mi sto autoassolvendo – amen! :-)

  39. Mag, però non stavamo parlando di testi sulle scienze cognitive, si parlava di testi sulla retorica che fossero aggiornati sulle scoperte in campo cognitivo.

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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