da Sud n°5
Il testo che segue , cone Renata Prunas racconta nell’altro post, Rocco Scotellaro lo aveva mandato a Pasquale Prunas perchè lo pubblicasse su
Una testuggine
di
Rocco Scotellaro
Sarebbe un segreto non farsi prendere dalla malinconia in queste giornate natalizie, eppure nel vicinato i camini che fumano lenti sulla strada, come i panni sparsi al sole si prendono i nostri pensieri dentro i loro pennacchi.
È morta stamane la testuggine, l’avevamo tenuta nella crusca, vicino al fuoco per conservarla calda e viva. Già si muoveva così poco, la mattina levandoci la trovavamo sulla piastrella bianca della fornacetta che pareva un ornamento come le corna di capra, un po’ più alte verso il soffitto. Franco non se n’è accorto; egli è uscito subito con la palla per giocare. Paolo che gioca con lui dà sempre dei calci forti e due volte la palla è scomparsa nel vicolo e tocca scappare subito dietro perché va a finire di sotto, alle strade parallele, di vicolo in vicolo, e se la prendono gli altri ragazzi che giocano alla lippa. Così Franco è tornato a casa che noi eravamo già a tavola, si è intese le grida di mamma perché il riso era a colla.
Io mi ero alzato dopo di lui, sono più grandetto e devo dire che mi piace fantasticare sveglio dentro le lenzuola, mi vengono già dei pensieri che il babbo mi fa scrivere in un quaderno quando si ritira dall’ufficio. Sono le vacanze e devo solo questi compiti al babbo.
Serafina mia sorella lavava per terra, la mamma si è messa a ripulire il riso, io giravo per le due stanze, mi rivedo ogni mattina le mie cose; i guanti sono un po’ scuciti, ma vanno ancora bene e devo mettermeli tra qualche giorno, mi sono provato il basco che devo incignare il giorno di Natale, la cartella è sempre appesa al chiodo, dietro la panca il cerchione di bicicletta è polveroso, non potrei spingerlo oggi con le strade fangose e non farebbe quel canto sulla rotabile come di estate.
Allora mi ricordo della testuggine sulla fornacetta: – Levati con quello schifo – mi dice la mamma. L’ho presa con le due mani allo scudo e al piastrone e me sono andato nelle scale per stuzzicarla. La testa e le zampe non si muovevano come sempre quando io le faccio sentire il mio fiato vicino. Poi l’ho scossa sulla corazza aspettando che si muovesse come un’automobile a carica, ma solo le zampe per l’urto hanno raschiato un istante i mattoni. L’ho guardata allora nell’occhio, era aperto e nero e luccicante, ho preso lo spillo dai calzoncini e mi sono messo a pungere, quante altre manovre non ho tentate! mi pareva che ci fosse qualche cosa come nelle automobili a carica quando la molla si allenta o le ruote si svitano, le ho guardato di nuovo l’occhio nero, io so quanto sono furbe queste bestie e mi sono adirato, l’ho punta nell’occhio, l’ho sbattuta per terra, infine l’ho gettata in fondo alle scale, sono risalito sulla panca a giocare con le cartine ‘Stella’.
Serafina col suo straccio è passata alle scale, a me le cartine sfuggivano di mano così ero eccitato. Per prenderne una sotto la panca, c’è voluto il palettino e raschia raschia ho sporcato il pavimento. – Te la vieni a prendere o la getto? – mi ha chiesto Serafina. Gettala, le ho risposto e mi sono affacciato alla finestra, l’ho vista nel mucchio d’immondizia, c’era un cerchio di sole e a lato l’ombra d’un camino, non c’era Paolo, non c’era Franco, la palla doveva essere finita al Precettone, alle ultime case del paese. La mamma si è messa a sciacquare il pentolino della crusca riponendolo al suo posto e mi ha detto: – Ti è passata, e tutta, la fantasia della testuggine!
Nello sgabuzzino dove mamma aveva rimesso il pentolino erano attaccati a una cordicella i coperchi di latta, ne ho presi due per fare la banda e suonare a piattini.
Ne veniva un fracasso che mia madre gridava e non si sentiva finché è corsa a battermi sulle mani. Non potevo più stare nella casa, quando la mamma mi batte ella è nemica e estranea e io mi controllo come davanti al maestro di scuola, sono uscito. Tutti i miei compagni e mio fratello Franco avevano preso strada davanti al vicinato, ero solo e senza guardare la bestia, tra l’immondizia sono andato a sedere al portone del Notaio dove c’era sole.
Il primo a tornare è stato Paolo. Sua madre come un banditore si era affacciata più di una volta a chiamarlo «Se non vieni, non vieni, ma se vieni!». Così chiamano le mamme pensando ai figli nascosti nei portoni che non vogliono rincasare.
Paolo si avvicina alla testuggine e la prende e sta per portarsela via mentre io gli corro incontro e gli scappa di mano. Allora l’ho ripresa, sono risalito da mamma: Deve essere morta – le ho detto – stanotte. La conservo al babbo per vedere.
L’ho messa alla finestra all’aria perché la mamma ha detto che poteva puzzare.
Il babbo è tornato frettoloso come sempre strisciandosi le mani. Mi veniva da piangere quando hanno messo i piatti in tavola. Il babbo mi pareva così stanco; per la prima volta ho studiato nuovi pensierini per il compito della sera, avrei parlato del babbo e del suo ufficio lontano, della testuggine morta che stava all’aria della finestra, del riso che ogni ventisette il babbo ci portava nelle tasche. Franco, già corrucciato, non ha detto niente quando gliela ho mostrata, babbo invece si è mosso sulla sedia, mi ha fatto girare dietro e ha smesso di mangiare: – Rimettila alla finestra, si asseccherà, ne faremo un fermacarte per la scrivania.
Franco appariva sempre corrucciato davanti al suo piatto che fumava, a un tratto è scoppiato a piangere, io gli facevo il verso e lui saltava, è finito sotto il tavolo e li man mano si è addormentato. Serafina è stata lenta a sparecchiare, la mamma ha chinato il capo sul fuoco e babbo ha aperto il giornale.
È successo il solito pomeriggio di festa, babbo è uscito e tornato, sono venute le comari e certe amiche di Serafina, Franco di nascosto ha mangiato il riso (ce n’era tanto nella madia che nessuno aveva voluto) io alla finestra guardavo la partita di calcio sulla tempa di Santamaria, così la sera è calata.
Di nuovo hanno apparecchiato la tavola e ci siamo disposti intorno allo stesso riso del pranzo e il babbo ha guardato la mamma e Franco si è levato sul seggiolone aprendo le braccia: – Zitti, zitti! – e tà, una scorreggia, non ne potevamo più dal ridere, Serafina ha risputato un boccone nel piatto.
Domani è Natale – ha detto allora la mamma. Ci siamo dati tutti da fare per prendere il gallo dallo sgabuzzino, che volava sulle mensole e per le scale, Franco veniva dietro con le forbici, per il colpo al collo. Non si è sciupato il sangue che colava in un piattino, il gallo era inserrato con le zampe sotto il coperchio della madia, lo abbiamo squartato come un porco.
Non c’era più altro da fare e mi hanno lasciato solo per il compito di domani. Sulla piastrella bianca della fornacetta ho rimesso la testuggine, sto scrivendo la lettera, domani mi sentiranno:
Babbo mio, mamma mia, abbiamo scannato il gallo per sentirci felici, ma la testuggine era morta da sé. Vi voglio bene. Io, Franco e Serafina vi vogliamo bene.
Ogni giorno vi tiriamo un po’ di sangue, genitori amatissimi, per crescere, per sentirci felici, grazie, grazie di cuore. Aspetteremo la tua venuta dall’ufficio, babbo, prima di mangiare; ci puliremo da soli le scarpe, mamma, andremo a fare la spesa.
Ma come devo dire a questo punto, che, tanto, il babbo e la mamma mi assomigliano alla testuggine?
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Lo stile mi pare interessante, da approfondire. Grazie.
Bart
ciao
a tutti
France’, deh, ti prego: in nome e per conto del colto e dell’inclito pubblico, dìcci chi è codesto giovane Rocco Scotellaro. Non è compreso nell’antologia di Cortellessa e altri, Testa manco se lo fila, dev’essere un autore di culto o qualcosa così. Ci illuminerai? Grazie in anticipo e sempre W Bordiga.
Amedo? il mio eroe napoletano profeta della catastrofe globalizzata?
Amedeo
Bartolomeo, Davide, Juan, Magda , Furlen et Bordiga. Azz così si vince. Se capitate a Torino vi faccio omaggio del nuovo numero di Sud
effeffe
Magda!
Se lavora e se fadìga
pe’ la panza e pe’ Bordiga!
Ahora e siempre, Resistencia!
Creemos el hombre nuevo cantando!
Lenin – Mao – Ho Chi Mình!
Zoff – Tardeli – Bearzòt!
et el Rumeo Benet
effeffe