Piccola utopia di rete (uno spunto da Lavagetto)
Letteratura in rete, siti e blog letterari: non è questa forse l’occasione di realizzare l’utopia di George Steiner?
Ecco come Steiner la presenta:
“Immaginate una società dove sia vietata ogni discussione che verte sulle arti, sulla musica e sulla letteratura. In questa società ogni discorso orale o scritti sui libri, sui quadri o sui componimenti seri è bollato come chiacchiericcio illecito. Le sole recensioni di libri in questa comunità immaginaria sarebbero quelle che possiamo trovare nelle riviste letterarie del Settecento e nei periodici trimestrali dell’Ottocento: riassunti spassionati delle nuove pubblicazioni, corredati da estratti e citazioni significative. Non ci sarebbero né riviste di critica letteraria, né seminari accademici, conferenze o dibattiti su questo o quel poeta, drammaturgo o romanziere; niente “James Joyce Quarterlies” o “Faulkner Newsletters” (…).”
Possiamo riprendere la citazione di Steiner, e correggerla in un punto. “Immaginate una società in cui sia vietata ogni discussione sulla letteratura che non sia meno breve, meno improvvisata, meno frammentaria, di quella che potrebbe occupare i commenti di un blog.”
D’un colpo spazzata via la mostruosa mole di capziose, autocompiaciute, futili discussioni prodotta dalla corporazione accademica e dai suoi instancabili rappresentanti: i critici letterari, gli storici della letteratura, i filologi, gli specialisti di semiotica, di cultural studies, i decostruzionisti, ecc.
L’intera casta e la sua tomistica sloggiata dai pulpiti: tra libro e lettore più nessun intralcio, mediazione. Brani di opere, e reazioni istantanee, spumeggiare effimero di giudizi, libero scatenarsi di associazioni, in un ricambio incessante di stimoli e risposte.
All’evocazione della società utopica di Steiner, risponde polemicamente Mario Lavagetto (entrambi i brani riportati sono tratti da Eutanasia della critica, pamphlet di Lavagetto, pubblicato quest’anno da Einaudi):
“Non passerebbero molti anni dalla sua fondazione [la città senza critici] e ci si accorgerebbe della morte non solo della critica letteraria, ma anche della letteratura che, abbandonata a se stessa, andrebbe incontro a una progressiva rovina: la sua voce si farebbe sempre più flebile e indistinta, sempre più spauriti e guardati a vista i suoi frequentatori. Perché pensare che i testi parlino da soli, al di là e al fuori di ogni possibile mediazione, è un’idea tanto vecchia quanto ingenua e intimamente balorda: disconosce la storia, disconosce la diversità dei codici e il modificarsi radicale, di secolo in secolo, degli orizzonti di attesa, delle domande che un testo produce e che al testo vengono poste.”
Il blog letterario veicola dunque un’utopia maligna, un sotterraneo desiderio di morte? E lo scrittore che si cala nella veste del blogger, vuole forse bruciare l’odiosa distanza tra sé e il lettore, dissolvere la sfera ritardante dell’elaborazione critica, che potrebbe però consolidare la voce stessa dei sui libri? Ma così facendo, questo scrittore non condannerebbe al silenzio, appunto, i suoi testi, lasciandoli consumare nell’impatto istantaneo con il lettore-commentatore? E quest’ultimo non finirebbe per sentirsi sovrano, non tanto rispetto allo scrittore, ma al testo medesimo, accanendosi a “consumarlo” nella colonnina dei commenti, in veloci botta e risposta, nell’arco di qualche giorno?
Queste domande valgono forse una non retorica formulazione. E ci riguardano, nel nostro peregrinare in rete, quali che siano i ruoli che di volta in volta assumiamo, d’autore o commentatore.
Ma una prima riposta si può dare. Di fronte a racconti puri, a testi poetici, a brani di romanzo, sorge spontaneo un evidente riserbo: il numero di commenti si riduce a poco, a volte a nulla. Un provvidenziale moto inibitorio impedisce non tanto facili reazioni, ma l’espressione di queste. Una pudicizia del lettore di fronte alla percezione che il testo propriamente letterario resiste all’appropriazione. Non si scioglie in idee. Blocca l’impeto alla divagazione. E questo non perché le catene associative scarseggino nella mente delle lettore, ma perché formano aggregati troppo instabili, che una seconda lettura richiederebbe di correggere e orientare diversamente. C’è forte il sentimento di una comprensione “provvisoria”, l’impressione che addirittura sia sfuggito ciò che più conta.
Il contrario accade con lo scritto saggistico, il pezzo d’inchiesta, l’intervento polemico: qui i lettori istintivamente si prestano al gioco, e d’impulso: la struttura formale del testo è d’un balzo scavalcata verso l’oggetto sociale, e le idee che intorno ad esso si affollano.
Certo, di fronte al testo letterario non è rara una reazione anche netta. Il giudizio tranciato. Ma esso appartiene alla fisiologia del gusto, automatica e perentoria, come un conato, uno sbadiglio o una risata. È la seconda natura del gusto, l’insieme di aspettative assunte nel proprio ambiente a dettare senza incertezze un moto di gaudio o di frustrazione.
Vengo ora alla seconda risposta, forse meno evidente. Il blog letterario può essere usato come un esercizio della dimenticanza. Abbiamo una forte necessità di dimenticare quanto abbiamo letto, quanto ci ha colpito, in questa continua sollecitazione alla quale ci espone l’ambiente letterario e i suoi dintorni, ossia l’industria editoriale, con le sue appendici pubblicitarie, giornalistiche, ecc.
Nessuno di noi, neppure lo scrittore più ritirato, avulso, controcorrente, può permettersi di ignorare completamente l’offerta di opere letterarie che il mercato editoriale gli propina giornalmente. Neppure il lettore più noncurante o più diffidente, può permettersi una distrazione totale e sistematica nei confronti della valanga di merci letterarie riversate intorno a lui. La pratica della lettura finisce con lo strutturarsi, allora, secondo il modello figura-sfondo. Nel cerchio di maggiore concentrazione, in primo piano, si fanno scivolare in un tempo lento libri da meditare, letti e riletti. Nella zona di margine o sfondo, si sposta invece uno sguardo fulmineo, per intervalli irregolari. Di tanto in tanto, qualcosa capta la nostra attenzione, ci ipnotizza, rompe il ritorno ossessivo sul medesimo, ci strattona in modo centrifugo. Si chiama scoperta. La gerarchia si rompe, si legge affannosamente, si equivoca, si vaneggia su di un testo o un autore “nuovo”.
Affinché questa inevitabile dialettica tra figura e sfondo si mantenga entro proporzioni e ritmi proficui, è necessario quell’esercizio di dimenticanza di cui sopra. Ecco che nel blog letterario uno espone, segnala, sbandiera. Richiama l’attenzione su. Dirige lo sguardo a. Ma questa apparente prontezza di riflessi, nasconde nel migliore dei casi un altro movimento: quello di centripeto e ossessivo ritorno su certi testi e certi autori, in un’esplorazione costante, quasi segreta, difesa dalle intrusioni dell’attualità editoriale, delle polemiche del giorno, del grande talento riscoperto o neonato. E sono spesso questi centri nascosti a orientare ciò che invece appare, quei testi o brani che diventano moneta di scambio con i lettori, e che sono occasioni per dimenticare, o per saggiare quanto vale la pena di ricordare. Finché, nel corso del tempo, qualcosa resiste alla dimenticanza, qualcosa nei post e nei commenti. Qualcosa che dal fondo virtuale, invisibile dell’archivio ci richiama, permane nel campo di ascolto anche dopo mesi, come un sibilo di fondo, un progetto abbandonato a metà, un rebus irrisolto.
(immagine di Joseph Kosuth)
Interessanti osservazioni.
Il dato che crea la differenza rispetto al testo classico è proprio lo strumento telematico e la tipologia della sua fruizione.
Esiste un piu’ alto tasso di complicità, di emotività e compulsività nel fruire della rete.
E’ molto diverso leggere in rete….inoltre c’è l’elemento di interazione che spinge in una sorta di circolo vizioso a produrre e a consumare emozioni letterarie, quasi un organismo fagocitante nuove parole, nè orali nè scritte, ma telematiche.
E’ un’economia di energie psicosensoriali che impone questo flusso inconsueto e ancora non metabolizzato per poterlo decifrare correttamente.
Le categorie spaziotemporali stravolte, impongono nuovi ritmi, e la fruizione estemporane rende improbabile la sedimentazione del senso, ma sopratutto non permette di trasformare le emozioni in sentimenti e atti di coscienza profonda.
Ma forse non è questo che si chiede alla rete.
forse non c’è nemmeno una domanda, ma solo flussi interconnessi.
riguardo la critica il mio immaginario corre verso un’intervista fatta ad Alberto Sordi proprio su questo tema in cui rispose piu’ o meno cosi:
” Ma signorina, lei mi chiede di darle un parere sui critici……io m’immagino
i figli di questi che fra amici parlano del mestiere del padre piu’ o meno in questo modo:
“mi padre fa er tranviere”
“mi padre invece fa er postino”
“che fa tu padre?”
“er critico”
“e che è er critico, che fa er critico?”
……………………………………………con sogghigno sarcastico finale, che fatto da un attore mi sembra eloquente.
Bel testo. Ma tralascio l’oggetto, il sociale. Mi soffermo sulla dimenticanza, su ciò che resta. L’universo intero, d’un tratto, è scosso. Rimescolato. L’ardore più bello. Anche qui. Ma dici bene, prima del dimenticare – prima, e preliminare alla dimenticanza, provvidenziale – è la pudicizia, che impedisce di toccare, che centra sul vedere, sulla messa a fuoco, a distanza. Restare in orbita. Ma di questa distanza ci si dimentica, e questa dimenticanza non è provvidenziale, ché la distanza della rete si capovolge troppo spesso in illusione di prossimità, in invasione di campo, nella soperchieria di chi grida più forte. E allora non si dimentica più niente, e diventa tutto inservibile.
Il 3 ottobre scorso su
http://journal.splinder.com/
vennero segnalati alcuni blog tra cui “Cazzeggi letterari” (www.lucioangelini.splinder.com). che ha per motto una frase di Karl Kaus: “Chi scrive libri, lo fa sltanto perché non trova la frza di non farlo”.
Il redattore del journal.splinder azzardò: ” Potremmo parafrasare così: ‘chi scrive blog…’.
mi permetto di ricordare un testo direi eloquente sul potere della scrittura:
-Autoanalisi per non pazienti-Duccio Demetrio.
A proposito di fenomenologia della lettura in rete… Sarebbe bello se non ti fermassi qui, Andrea. Insomma, se questa bella pagina diventasse parte di una riflessione un po’ più ampia. Ciò non toglie, beninteso, che già così, per forma e svolgimento tematico, abbia già una compiutezza e un senso.
Sarebbe interessante, per esempio, coinvolgere Franco Carlini, saggista militante, esperto di web e titolare di quel bel posto che si chiama Totem
(http://www.totem.to/).
si, serve una specie di fenomenologia della lettura telematica, che forse non è già cosi scontatamente aquisita. Lo si evince dalla invarianza con cui si riportano i testi cartacei in rete, che appunto vengono letti in maniera decisamente diversa, per diversi motivi: inferiore concentrazione, tempi d’attenzione minori, frammentarietà dell’attenzione, ubiquità dei contenuti, etc etc
Carlini esce domani in edicola col nr. 1 di un mensile dal titolo poco promettente (Vision), in allegato a Bloomberg Finanza & Mercati. Da guardare, almeno per vedere che cosa ha in mente. Di sicuro, il progetto che manda avanti con Totem è da anni di grande interesse per chiunque abbia a che fare col web, la scrittura e la lettura telematica etc.
Sulla lettura e scrittura in rete si può partire da Jakob Nielsen, a volte datato, ma punto di partenza per ogni discussione sulle tecniche di comunicazione online:
How Users Read on the Web (1997!)
http://www.useit.com/alertbox/9710a.html
Writing for the Web
http://www.useit.com/papers/webwriting/
Weblog Usability: The Top Ten Design Mistakes (da applicare a NI)
http://useit.com/alertbox/weblogs.html
Molto notevoli i pezzi, specie il terzo, che è applicabile a quasi tutta la bloggherìa planetaria. Penso che anche il simpatico baritono drammatico ing. Roberto Vacca, adeguatore all’italiano dell’indice di leggibilità di Flesh, potrebbe dire qualcosa di interessante al riguardo.