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I pericoli degli insiemi

di Antonio Sparzani

Dalla Compiuta Donzella e da De Sanctis in poi, sembra facile dire insieme.
L’insieme degli italiani, per dire. Pensate sia facile delimitare esattamente questo insieme, con tutta la precisione, quasi fastidiosa, che richiede la matematica? Chi sono gli italiani? Coloro che sono nati in Italia? Ve la sentireste di dire che Calvino non era italiano? Era nato infatti a Santiago de las Vegas nel 1923, e Cuba in nessun tempo è stata territorio italiano. E poi ‘nato in Italia’ è un concetto variabile nel Novecento: Rijeka, ora in Croazia, dall’inizio del 1924 appartenne al’Italia, col nome di Fiume, mentre ora no; vanno dunque contati come italiani esattamente quelli nati a Rijeka nel periodo nel quale fu chiamata ufficialmente Fiume. D’altra parte Italo Svevo, nato col nome di Aron Hector Schmitz nel 1861 a Triest, dato che allora era questo il nome dell’odierna Trieste, principale porto dell’Impero Austro-Ungarico, non era forse italiano? Certo, direte voi, fu un grande scrittore italiano, scrisse in italiano (ancorché un po’ scabro), così come Calvino; però allora il criterio di italianità diventa quello della lingua madre, che, come ben si capisce, è assai diverso dal criterio del territorio di nascita. Insomma, quando si vuol metter giù una definizione fatta bene cominciano le difficoltà.

Se poi entriamo nel campo della fisica, apriti cielo: Dico: l’insieme degli elettroni che in questo istante stanno in questa stanza, figuriamoci, la perdita di senso è enorme; la posizione di un elettrone non la sa nessuno e, secondo la meccanica quantistica, è in linea di principio non conoscibile con esattezza. Per cui gli elettroni immagazzinati nelle molecole del legno di questo tavolo ancora ancora si può dire stiano qua, ma quelli delle molecole d’aria vicino alla porta? Stanno, notoriamente, e ambiguamente, un po’ dentro e un po’ fuori.

Come si fa a precisare, ovvero a definire, un insieme? La via maestra è questa: si deve dire una proprietà che appartiene a certi elementi e ad altri no, così che diventa sensato pronunciare la frase “l’insieme di quegli elementi che godono di questa proprietà”. Stando attenti che la proprietà che si enuncia abbia senso, scartando dunque ad esempio la faccenda della posizione degli elettroni. Voi direte forse che nello stretto ambito della matematica, che appunto definisce tutto fino alla noia, non ci sono rischi; se dico l’insieme dei numeri interi positivi tali che siano divisibili esattamente (cioè senza resto) per 3, è chiarissimo cosa intendo: a questo insieme appartengono tutti gli interi del tipo 3, 6, 9, 12, ecc, e dato un qualsiasi numero intero posso stabilire con certezza se esso sta nel mio insieme.

Se rileggete attentamente, notate che ho detto “l’insieme dei numeri interi positivi tali che…”, e questo significa che io conoscevo già un universo di partenza, l’insieme degli interi positivi e tra questi ho scelto ulteriormente quelli che avevano una certa proprietà. Cioè ho definito un insieme che è parte di un altro: l’insieme degli interi positivi divisibili per 3 è un sottoinsieme di N, lettera che indica ovunque l’insieme degli interi positivi (numeri naturali).

Se non si fa così, anche nell’ambito delle matematiche possono sorgere dei guai intricatissimi. Il primo dei quali fu il seguente: Gottlob Frege, grande matematico, logico e filosofo tedesco, uno dei fondatori della logica così come oggi la conosciamo, pubblicò nel 1884 i suoi Grundlagen der Arithmetik (Fondamenti dell’aritmetica), migliorati e formalizzati poi nei successivi Grundgesetze der Arithmetik (leggi fondamentali dell’aritmetica). Frege pensava di avere sistemato completamente e perfettamente su base assiomatica tutta l’aritmetica, ma, mentre stava per uscire, nel 1902, il secondo volume di quest’ultima opera, gli arrivò una lettera di Bertrand Russell, che fu per Frege un duro colpo. Russell mostrava che, utilizzando il sistema di Frege, si riusciva a costruire un’antinomia, un paradosso, una definizione apparentemente ben posta, che si rivelava poi contraddittoria. Qual era questa definizione? Io qui ve la racconto perché è abbastanza famosa e perché costringe a far girare le rotelle del cervello un po’ più del solito. Però sarebbe carino che non smetteste di leggere adesso, non occorre sapere alcunché di matematica, basta avere i nervi saldi e saldamente ragionare.

Disse Russell: tra tutti gli insiemi che possiamo pensare ce ne sono alcuni, li chiameremo di categoria 1, che non contengono se stessi come elemento: ad esempio l’insieme dei numeri interi non è esso stesso un numero intero e dunque non appartiene a se stesso come elemento. Ce ne sono invece altri che appartengono a se stessi come elemento, li chiameremo di categoria 2. Ad esempio l’insieme dei concetti è esso stesso un concetto, e dunque appartiene a se stesso come elemento. E fin qui, sembra, nessun problema, si potrà dire che sono più frequenti quelli del primo tipo, però chi lo sa, gli insiemi possibili sono tanti assai.
Ma adesso attenzione a questo:
Chiamo Z l’insieme di tutti quegli insiemi che non contengono se stessi come elemento, in altre parole l’insieme di tutti gli insiemi di categoria 1. E mi domando se Z sia di categoria 1 o di categoria 2.
Provate a pensarci: se esso è di categoria 1, vuol dire che non contiene se stesso come elemento, ma lui contiene appunto tutti quelli di questo tipo, e quindi anche se stesso; ma allora è di categoria 2.
Allora proviamo a supporre che sia di categoria 2, allora contiene se stesso come elemento, ma ciò non può accadere perché lui contiene solo quelli di categoria 1.

Lo so che non è immediato capire, ma basta riflettere con calma, impiegare il tempo giusto e farsi girare le cose nella testa.

Frege capì e fu disperato. Il secondo volume dei suoi Grundgesetze, programmato per il 1902, uscì, con una frettolosa correzione, nel 1903. Ma il problema rimaneva. Occorreva cambiare qualcosa di importante.

Un altro esempio famoso è quello del barbiere del villaggio, strettamente legato alla sua definizione precisa: occorre anche supporre che non sia un barbiere del tutto glabro, ma che gli cresca normalmente la barba. Definizione di barbiere: egli è colui (e ce n’è uno solo in quel villaggio) che fa la barba a tutti e soli quegli abitanti del villaggio che non se la fanno da soli. Domanda chi fa la barba al barbiere? Si cade nella solita antinomia: se se la fa da solo allora non va bene, perché lui deve farla solo a quelli che non se la fanno da soli. E se non se la fa, pure c’è qualcosa che non va, perché allora se non si rade da solo, deve radersi per la sua stessa definizione.
Voi direte, che cosa c’entra questo con gli insiemi; c’entra perché la storia può facilmente essere riformulata definendo l’insieme di quei cittadini cui il nostro barbiere fa la barba (tutti e soli quelli che non se la fanno da soli): questo insieme contiene o no il barbiere stesso? Qui nasce, allo stesso modo di prima, la contraddizione.

La morale è, detto per ora schematicamente, che non si possono maneggiare gli insiemi come fossero noccioline, bisogna stare attenti, quando si comincia a dire frasi come “l’insieme di tutti gli insiemi tali che…” il pericolo, l’antinomia, il paradosso, la contraddizione sono in agguato. Ed è in agguato un concetto presente ormai nella mente di tutti noi, quello connesso con la mal definita parola infinito, dalla quale non scamperete nella prossima puntata.

[ringrazio molto per l’idea dell’immagine Tina Nastasi, a.s.]

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15 Commenti

  1. sparz,
    è bellissimo “Frege capì e fu disperato” forse è anche vero. in ogni modo non mi sono mai divertita tanto a una lezione di insiemistica. insomma. aspetto il resto sull’infinito. la tua opera buffa e coerente sull’infinito. grande… mi ha messo davver in allegria. Non so se ho mai capito e sono mai, dunque, stata disperata. ;-)
    chi

  2. una volta anche me s’andava dal barbiere, ma mai a farmi radere, ora, che non ci vado più, essendo – spero – un dilettante della scrittura, mi diletto in paperadossi per disperarmi un pò:

    “Ogni disperanza, per quanto matta e disperata, non è forse sperare di non aver più speranza alcuna, in modo tale che la dannazione sia dei superi, questi nomina pluralia tantum, e la salvazione degli inferi, questi singolari plurali? E i singolari singolari – ci si chiederà? – E bene, ponendo modo ponente, e levando modo levante, per tacere di casi ulteriori come il levare il ponente e il porre e il levante, nell’un caso si affermerà un dedurre per indurre a condurre una regolata regola, il cui regolo la tartaruga, codesta testa di testuggine, codesto testo de testato, pur denegherà non ostante ‘se e allora’ quali che sian veri o falsi, ed anzi ostandoli fuor di sé, e nell’altero caso si affermerà la denegazione della verità o falsità di un assunto sussumendone l’avversità dell’avversativa in un negarsi per concludere che non c’è conclusione se non negata e denegata e rinnegata. Ma non esserci conclusione è un modo per porla o per levarla? E non essendoci, può porsi un principio sine qua non?”

  3. caro sparz, la citazione non è d’alcun illustre, l’avrei precisato, è mia, che sono un illustre sconosciuto, e nemmanco illuminato, anzi, ora come ora, data l’ora, sono proprio al buio, diciamo quasi ottenebrato… per quanto lineare e precisa è la tua scrittura la mia è viceversa contorta e irregolare, ma se davvero ti piacesse potrei dirti dove trovare il resto de
    ‘il tic della tac’

  4. la magnificenza logica è che prende in considerazione giustamente anche i “paperadossi”..grazie a te, Sparz e a tequno.. attendo Gödel , V.

  5. In un intorno di anni che ha come perno l’inizio del ‘900, molti furono i “disperati” a causa di crolli, provocati dalla scoperta di antinomie o errori nelle loro costruzioni.
    Anche per chi non è matematico, alcuni episodi assumono – come quello ricordato da Sparz che ha interessato Frege e Russell – aspetti quasi mitici, come Waterloo:

    Cantor – benché avesse già individuato la crepa da sé – per merito di Buriali-Forti che individuò una contraddizione nell'”insieme di tutti i numeri ordinali”; Poincaré – per merito di un oscuro redattore della rivista “Acta Mathematica” Lars Edvard Phragmén – anche se poi riuscì a correggere l’errore nella sua parziale dimostrazione della stabilità del sistema solare, ritrovandosi però a dimostrare il contrario: che la stabilità del sistema solare non è dimostrabile; Hilbert che, benché messo sull’avviso dal suo allievo von Neumann – l’unico ad essersi accorto di quanto fosse importante quel “teorema di incompletezza” appena annunciato da un giovane semisconosciuto – continuò ad affermare la sua fede che, in matematica, fosse possibile la scoperta della verità:

    “Noi dobbiamo conoscere,
    noi conosceremo.”

    mentre Gödel aveva già dimostrato che ci sono proposizioni vere di cui non può esistere dimostrazione. E che pertanto è possibile dire la stessa cosa per la proposizione che ne afferma il contrario.

    Rischio, in questi piccoli appunti, di fare errori di linguaggio e anche di fatto, che riuscirebbero indigesti agli addetti ai lavori, ma quello che a me interessa non è certo stabilire cosa è veramente successo, bensì cercare di rompere un muro di silenzio che spesso viene costruito attorno ai risultati di queste vicende e che impedisce, ai non addetti ai lavori, di farsi un’idea su che cosa abbiano rappresentato per cultura in generale e quali necessarie modifiche e vincoli abbiano per esempio imposto allo stesso pensare filosofico.
    In troppi libri, specie quelli di alta divulgazione scritti da scienziati, ci si trova a essere terrorizzati da affermazioni che negano ogni possibilità di trasferire nel discorso comune assunti come quello sul limite delle dimostrazioni di Gödel o come quello dell’impossibilità di definizione della verità di Tarski.
    E questo senza che questi scienziati argomentino o dimostrino in modo convincente il divieto.

    Tutto si reggerebbe sull’incommensurabilità tra formale e non.formale.

    Ma se la differenza è tra linguaggio formale e non.formale, ciò che Sparz dice sulle ambiguità di definizione di un insieme, fa del linguaggio formale qualcosa di non molto diverso dal linguaggio comune, che utilizza concetti e categorie. Le definizioni di quest’ultimi non hanno difficoltà maggiori di quelle degli insiemi.
    Di fatto l’ultimo grande amico di Gödel, Hao Wang, nega che questa differenza sia “qualitativa”. Si tratta, nel discorso, dell’univocità dei termini, e il discorso potrebbe comportarsi come un sistema formale.

    Ora tutto questo può apparire senza senso e mi spiacerebbe di essermi dimostrato incapace di trasmettere l’importanza che tutto questo assume per me..

    Allora, sempre per timidezza, e per paura di far pensare agli altri che ho osato utilizzare cose su cui non si può parlare, se non se ne ha conoscenza “satura”, trascrivo parole di altri che forse possono far luce su quanto possa essere importante per me, e per tutti noi, quello che per noi, invece, avviene nel buio:

    *

    Lo scopo dichiarato [di Gödel] era “descrivere (…) lo sviluppo della ricerca sui fondamenti della matematica a partire dalla svolta del secolo, e inquadrarla in uno schema generale di possibili concezioni del mondo […classificate] in base al grado (…) della loro affinità o divergenza con la metafisica”. Nel suo schema Gödel pose lo scetticismo, il materialismo e il positivismo a sinistra, lo spiritualismo, l’idealismo e la teologia a destra, dichiarando che era “un fatto noto” che a partire dal Rinascimento lo sviluppo della filosofia era andato “di gran lunga da destra verso sinistra”.
    Osservò che “la matematica, per la sua natura di scienza a priori”, aveva “resistito a lungo” a questa tendenza di sinistra. Ma, accusava “intorno al volgere del secolo” l’importanza delle antinomie della teoria degli insiemi era “stata esagerata dagli scettici e dagli empiristi” e “usata come un pretesto per [una] sollevazione a sinistra”. In effetti, affermò Gödel, le antinomie “non compaiono all’interno della matematica, ma in prossimità della sua frontiera più esterna nella direzione della filosofia” e in conseguenza, “erano state risolte in un modo del tutto soddisfacente e quasi ovvio per chiunque comprendesse la teoria degli insiemi”

    Il programma di Hilbert era affondato con i teoremi di incompletezza, in conseguenza dei quali Gödel vedeva soltanto due possibilità: “Si è costretti ad abbandonare il vecchio aspetto della matematica indirizzata a destra oppure tentare di sostenerlo in contrasto con lo spirito del tempo”. Questa seconda via, tramite la quale “la certezza della matematica non è assicurata attraverso la (…) manipolazione dei simboli fisici, ma piuttosto sviluppando (…) la conoscenza dei concetti astratti di Per sé”, nella visione di Gödel era tale che “valeva senza dubbio la pena”.

    JOHN W. DAWSON JR, Dilemmi logici, La vita e l’opera di Kurt Gödel, Bollati Boringhieri 2001, pagg. 233-234.

  6. aspettando ansiosamente la continuazione godo felice di ritrovare una pulizia di pensiero che crea architetture e che continuo a trovare un gioco gustosissimo.

  7. Secondo me l’insieme di tutti gli scritti di Sparz è esso stesso uno scritto, una sorta di autobiografia pudica perché composta da tanti piccoli frammenti di saggi scientifici divulgativi, e dunque appartiene a se stesso nonostante il suo autore abbia la barba e non sia mai andato dal barbiere :-)

  8. Visto che il professor Sparzani o mi ignora o mi snobba o non mi capisce – come dice lui – cerco di dichiarire cosa volevo intendere col mio commento e con il richiamo all’atteggiamento “ideologico” – messo in chiaro da Godel – che guida le scelte fondamentali in un campo, che vorrebbe dirsi “oggettivo”, come la scienza.

    Questa qua sotto è una citazione già sottoposta all’attenzione del professor Sparzani:

    *

    La conoscenza scientifica-fiolosofica – dal punto di vista dell’interrogazione filosofica, ciò dell’interesse perr l’esperienza complessiva in cui viviamo – ha la sua matrice nelle forme di organizzazione della vita umana. Dagli abiti decisionali e dalla condotta operativa espressi nelle questioni della fede religiosa, o nelle presunzioni probabilistiche, nei calcoli concernenti le imprese commerciali, le transazioni economiche rischiose, oppure nei procedimenti giudiziari nei tribunali, o nei lavori artigianali, nelle manifatture, si sono storicamente formate le condizioni che hanno modellato gli apparati decisionali, gli usi linguistici, le regole di legittimazione e di decisione cui sono state consegnate le dottrine scientifiche e filosofiche. Messe a confronto con le loro matrici costruttive, con gli abiti della condotta, con le procedure decisionali e operative, le istituzioni della scienza e della filosofia perdono il loro statuto di irrevocabilità e di insorabilità. E si rivelano illusorie e fallaci le strategie epistemologiche di tipo fondazionale che sono andate e vanno tuttora alla caccia di sicurezze teoriche che ci preservino, per usare l’espressione di Hilbert, “dal terrore delle proibizioni non necessarie così come dal pericolo dei paradossi”. In realtà, la strategia teorica di tipo fondazionalista è il relitto di un atteggiamento religioso coperto e trasposto forse inconsapevolmente nelle tecniche dell’epistemologia”.

    ALDO GARGANI, Il sapere senza fondamenti, Einaudi 1975, pag.VII.

    *

    Volendo restringere al massimo, il mio quesito è questo:

    l’assunzione, a livello di opinione pubblica, di tutto quello che è “scientifico” sotto il manto del “progressivo”, oltre a far dimenticare che certi paradigmi si sono imposti su altri in una battaglia in cui non è detto che il vittorioso possa vantare più meriti rispetto allo sconfitto per quanto riguarda il benessere dell’umanità, ha portato a questo assurdo:
    che i grandi scienziati, meritevoli di avere fatto grandi scoperte, siano stati assunti anche come “saggi” o addirittura come “santi laici”, il cui parere da tuttologhi andrebbe considerato autorevole. Tipo i reazionari Godel ed Einstein, per non citare altro che i maggiori.
    Questa ambiguità innesca, per esempio tra gli intellettuali, un meccanismo perverso che, nell’opinione pubblica, è messo in moto dall’atteggiamento ossequiente verso gli autorevoli pareri di veline, calciatori e gestori di scuderie.

    Mi piacerebbe che il professor Sparzani scrivesse un articolo – dopo questo sui pericoli degli insieme – sui pericoli rappresentati da chi gli insiemi e le idee li manipola senza che noi ci si possa rendere conto di quali danni possano provocare.

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antonio sparzani
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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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