Una lettera (a Nicola, non a nessuno)

di Helena Janeczek

Questa mia- come si dice- si aggiunge a uno scambio di lettere fra Nicola Lagioia e Antonio Moresco che potete trovare qui, qui e-commentabile- pure qui. Se ci saranno nuovi interventi, vedrò di aggiornarvi. hj

Caro Nicola,
ti scrivo sebbene alla tua lettera abbia già risposto Moresco stesso, perché quel che vorrei tentare a proposito di Lettere a Nessuno è una riflessione rivolta a qualcuno. Dico qualcuno e intendo una persona di cui conosca la voce e la faccia, uno scrittore che abbia letto ed apprezzato, qualcuno, in breve, a cui rivolgermi non sia un espediente retorico astratto per allestire un gioco di posizioni opposte, ma un discorso che ti farei davvero se ti avessi davanti. Prima che tu scrivessi la tua lettera, mi era capitato di vedere il breve commento tranchant di Nico Orengo su Tuttolibri e di essere inciampata in un’espressione, sebbene fosse assolutamente prevedibile: “narcisismo sfrenato”. Mi sono chiesta se quell’espressione non ne implichi un’altra, un narcisismo non sfrenato, bensì arginato, imbrigliato, addomesticato, dissimulato in tanti modi. E mi sono chiesta come mai in un mondo dove i camorristi visti in Gomorra frequentano i centri estetici o i protagonisti dei romanzi di Walter Siti si autodistruggono pur di conservare il lustro delle loro carozzerie corporee, – unica cosa che sono e che hanno – , riesca ad urtare ancora così tanto l’esibizione di una ferita e il bisogno di riconoscimento di uno scrittore. Perché se quello che emerge nelle Lettere a Nessuno può essere chiamato narcisismo, allora lo è di questo genere, ossia quello che ti fa vedere tutto in trasparenza, sino alla propria origine. Che è appunto una ferita, un vuoto da colmare disperatamente per tutta la vita, e che, malgrado tutto, rimarrà incolmabile. E qualcosa di brutto e doloroso e affacciarvisi come a uno specchio non è piacevole. Anche perché Moresco non è Leopardi, noi non sappiamo se sarà dimenticato o consacrato dai posteri, se possa diventare l’ennesima success story postuma e nutrire i sogni degli aspiranti scrittori. Noi dobbiamo decidere ciascuno quanto valga per noi Moresco, ma credo che la posizione più interessante e onesta per leggere Lettere a nessuno sia quella che faccia a meno di formulare questo giudizio. Quindi ci troviamo davanti alla testimonianza di un uomo che ha sempre scritto e soprattutto si è sempre sentito uno scrittore al pari dei grandi scrittori che ha letto e amato. Che per la prima metà della sua vita riceve solo rifiuti e poi, dopo essere diventato un autore pubblicato, incontra oscillazioni fra l’essere acclamato e respinto che nuovamente lo feriscono. Insomma questo scrittore sta lì, dentro la sua scrittura che è la cosa che lo espone al dolore e insieme lo difende, la cosa più importante per lui, quella con cui cerca di guadagnarsi la propria cittadinanza nel mondo. Chi legge questo libro – tra l’altro scritto in gran parte con una prosa piana, a volte comica, a volte capace di estrema delicatezza – penso non possa fare a meno di credere che per Moresco la sua vicenda di scrittore sia davvero una questione di vita o di morte. E questo ha qualcosa di intollerabile. Ma guarda tu questo chi si crede di essere! E quali sentenze si arroga di sparare sulle persone dell’ambiente che lo hanno deluso, senza fare il minimo sforzo di oggettivare, di pensare che magari davvero la sua scrittura non piace e non convince. Ma lui, l’idiota di famiglia, non lo fa. Non esce mai dalla sua soggettività, dal proprio punto di vista. Nicola, ti propongo un gioco. Mi sono chiesta come avrei retto io nella stessa situazione di Moresco. Mi sono detta che la forza per continuare in tale condizioni debba davvero essere enorme. Magari sei veramente solo un pazzo che lotta contro mulini a vento, una figura patetica e ridicola, chi te lo potrà mai dire, ma è giusto, è necessario che per andare avanti tu debba sentirti cavaliere. Proprio perché Moresco non è nessuno, proprio perché le persone con cui si incontra e si scontra non sono nessuno nemmeno loro – rispetto, per esempio, a Goethe che disconosce Hoelderlin – il suo libro ci dimostra che partita crudele e ad alto rischio sia sempre in fondo la letteratura. Che pratica imbarazzante e disdicevole. E quanto, per questo gioco di carta, ci si possa fare male veramente, cosa che vale anche per le ferite riportate dai destinatari delle sue lettere. Poi dentro agli occhi miastagmatici di Moresco passa in visione laterale anche quel che è stata l’Italia e la cultura italiana in questi anni. Ma la cosa per me più importante di questo libro è la sua capacità di allargare uno scenario insignificante e piccolo quanto la misera corte delle lettere nostrana a una dimensione di esemplarità nuda e cruda. E proprio nel rappresentare il senso di sé di uno scrittore, essere talmente aderenti a sé stessi da diventare perfettamente demistificanti.

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94 Commenti

  1. Nessun eroismo nella “vicenda” Moresco. Solo, mi pare, una inossidabile consapevolezza soggettiva del proprio valore oggettivo. E chi ha un minimo di onestà verso se stesso e verso il proprio lavoro (quindi verso gli altri) non può esimersi da certe considerazioni sull’ambiente letterario. Non si tratta di “narcisismo sfrenato” (del resto, da che pulpito…), bensì, sempre a mio avviso, di “cronaca” doverosa. E’ ovvio che poi su un argomento così delicato sorgano querelles. Del resto, anche Moresco oramai non è più “nessuno”, ma ha fatto un passo successivo: è divenuto Ulisse.

  2. Non ho letto il libro di Moresco.
    Ma chiunque abbia alle spalle un’esperienza di mancato riconoscimento di ciò cui in pratica ha affidato identità ed esistenza, ne ha di cose da raccontare.
    È soprattutto l’esperienza del fallimento, quella apparentemente più conoscitiva.
    Se l’emozione funge da super conduttore della nozione, come tutti sanno, l’emozione negativa è sicuramente il super conduttore più efficiente per riuscire a dire, ad arrivare agli altri.
    L’esperienza del fallimento è devastante, perché agisce su un doppio fronte: lesiona la tua immagine del mondo, la fiducia che vi riponevi, e allo stesso tempo ti demolisce da dentro, insinuandoti il dubbio dell’inutilità sostanziale di quello che fai, della tua stessa esistenza.
    Vale per chiunque, e non solo per chi pratica la letteratura, cosa «imbarazzante e disdicevole».
    Anni di lavoro e dedizione ad una disciplina, decenni di applicazione e studio, di approfondimento, di produzione & fatica, di notti e notti di lavoro, di discussione, di dubbi, di rifacimenti, eccetera, per ritrovarsi con niente.
    Niente di fatto, di realizzato, di riconosciuto.
    Niente che abbia prodotto almeno quello che ti serviva per vivere.
    Questa è l’esperienza centrale della mia vita, per esempio.
    Leggerò il libro di Moresco.
    Spero di trovarvi la risposta a una domanda semplice, che mi ronza in testa da molti anni, da molti fallimenti fa: perché (al di là del problema del pane) quello che facciamo ha così disperatamente bisogno di riconoscimento altrui?
    Perché, se presso gli altri non esiste il nostro lavoro, la nostra stessa esistenza si dissolve?

  3. E che cosa dovrei dire io, che dopo aver dato al mondo il capolavoro assoluto “Grande, Grosso e Giuggiolone” (EL edizioni) sono stato estromesso dal giro dell’editoria per ragazzi per l’ingiustissima fatwa lanciatami addosso dalla Fatucci, massima esponente del Fumer (Fronte Unito Megere Editoria per Ragazzi)?°-*

  4. Neanch’io ho ancora letto il libro di Moresco.

    Ho letto le lettere di Lagioia, Moresco e di Helena.
    E ho letto l’inaspettato, per me, intervento di Tashtego, molto bello.

    Indeciso se intervenire – rischiando di far diventare questo thread un confessionale di esperienze dolorose – mi attengo al presente.

    Ciò che risalta è la reciproca accusa, tra Moresco e Lagioia, di semplificazione.

    Lagioia accusa Moresco di semplificare il mondo e le persone.
    Moresco accusa Lagioia di semplificare il suo libro.

    Ma il nodo vero è questo:

    “Ma guarda che a forza di equilibrio si finisce per diventare equilibristi, a forza di essere prudenti si finisce per diventare consenzienti.”

    Questa è una frase di Moresco nella sua lettera di risposta a Lagioia.

    Ed è ciò che mi convince: leggerò “Lettere a nessuno”.

    Con qualche riserva però.

    Perché se questo è un dubbio che può essere rovesciato su Lagioia, a causa di ciò che dice nella sua lettera, lui non può essere cambiato così in fretta, dal momento che sono passati pochi giorni – presumo – dall’invito a partecipare alla lettura.

    E’ stato, l’invito, un piccolo varco aperto verso l'”altra parte”.

    Un tentativo? Un errore?

    Un errore che Lagioia non si è lasciato sfuggire
    per infliggere l’umiliazione che conferma
    in modo inequivocabile il suo schierarsi?

    Un dar di gomito ai “nessuno” destinatari delle lettere?

    Troppo gentile la risposta di Moresco, se non fosse per quella frase:

    “Ma guarda che a forza di equilibrio si finisce per diventare equilibristi, a forza di essere prudenti si finisce per diventare consenzienti.”

    Non ho letto e non leggerò Lagioia.

  5. @soldato:
    ma non è una semplificazione ragionare per “questa fazione” contro “quest’altra fazione”, come fai tu? Non due intellettuali che si confrontano e ragionano sul loro disaccordo, ma: guelfi contro ghibellini. Perché togliere all’individuo tutta la propria ricchezza trasfomandolo in un portatore di ragioni ‘altre’? Magari le ragioni sono solo la propria personale idea del mondo. Ripartiamo da qui, non credi?

  6. e però.
    se riconoscimento vuol dire consenso altrui attorno al proprio lavoro.
    se riconoscimento significa accoglimento all’interno di un sistema, qualsiasi sistema, di potere disciplinare.
    allora come si fa a dissentire e contempraneamente a bussare a quella porta?
    non sarebbe meglio dirsi con sincerità: siamo tutti consenzienti, lo sono anch’io e l’unica cosa che conta per me è essere accolto?

  7. Il motivo principale per cui non amo i testi di Moresco, e mi riferisco in particolar modo ai suoi interventi militanti tipo questa lettera o il libro “Lettere a nessuno”, è il suo continuo tirarsi fuori dalle brutture del mondo. E’, in sintesi, il discorso che faceva Antonio Pascale nel saggio incluso ne “Il corpo e il sangue d’Italia”, quando gli rimprovera la scelta di essersi identificato nel puro e innocente Alfredino Rampi di contro ai maiali che popolano il suo racconto nella raccolta “Patrie impure”. Ed è pure la ragione per cui leggendolo non lo sento fratello, e neppure credibile. Uno dei termini che ricorrono più spesso nei suoi scritti è “mistificazioni”, quelle del potere contro le quali lui si scaglia. Wikipedia fornisce questa definizione della parola: “la mistificazione consiste nel distorcere intenzionalmente la realtà, col fine di ingannare qualcuno”. Mi viene in mente un esempio citato da Montanelli, quando disse che se ci fosse stata una gara di corsa fra Breznev e Reagan e l’americano fosse arrivato primo e il russo secondo avremmo letto due differenti versioni della notizia a seconda di chi la dava. La Pravda avrebbe titolato: Breznev secondo e Reagan penultimo. Formalmente corretto, ma palesemente falso, perché teso a ingannare il lettore. Altro esempio possibile di “mistificazione” è quello degli avvocati di Berlusconi quando esultano per una sua sentenza di assoluzione, omettendo di dire che la causa di quella assoluzione è la prescrizione dei termini per il reato contestato. Ossia in sostanza si dice solo una parte di verità, mentre si tace su ciò che sarebbe più imbarazzante. Io ho trovato di recente un esempio di mistificazione anche in un libro di Moresco, e cioè proprio le “Lettere a nessuno” di cui si discute qui. Il brano a cui mi riferisco si trova a pag.500, ed è quello in cui l’autore spiega, a modo suo, l’esito della vicenda giudiziaria fra Pedullà e Carla Benedetti, che ai tempi qui su Nazione Indiana ebbe grande risonanza. In sintesi, Carla Benedetti era stata denunciata da Pedullà per un suo scritto incluso nel libro “ll tradimento dei critici”, in cui accusava apertamente il critico romano di aver detto il falso a proposito della conduzione e del bilancio del Teatro di Roma. Moresco, nella versione aggiornata di “Lettere a nessuno”, dice che la vicenda giudiziaria si è conclusa “in primo grado con una sentenza favorevole alla Benedetti e infine con un accordo”. L’impressione insomma, per chi legge questo laconico passo, è che sia stata data ragione alla Benedetti. Non è così, invece. La causa si è conclusa in modo molto diverso. In corte d’appello, di fronte al giudice, Carla Benedetti ha fatto atto di contrizione, sconfessando le proprie accuse, e solo per questo c’è stato l’accordo di cui parla Moresco, accordo che ha previsto la rinuncia da parte di Pedullà al risarcimento pecuniario chiesto per aver leso la propria onorabilità. Questo è il virgolettato della sentenza: «La prof.ssa Benedetti si dichiara dispiaciuta che i contenuti del suo libro “Il tradimento dei critici”, nel capitolo dedicato alle vicende del Teatro di Roma, siano stati percepiti con carica lesiva nei confronti del prof. Pedullà, di cui aveva inteso soltanto criticare alcune dichiarazioni ai giornali, ma non muovere accuse di falsa testimonianza né tanto meno di scorrettezza amministrativa. Avendo poi preso visione della documentazione versata in atti, la prof. Benedetti ha preso ulteriore atto che quelle accuse non trovano fondamento nella realtà. La prof. Benedetti dichiara inoltre che non intendeva comunque ledere l’onorabilità dell’uomo né la dignità dell’intellettuale». Ecco, per me il brano a pag.500 di Lettere a nessuno di Antonio Moresco è un perfetto esempio di “mistificazione”.

  8. @ donchisciotte

    così concludevo “il tic della tac”:

    Dunque, fare luce sul fiat o oscurare l’oscurantismo darà fiato alle trombe apocalittiche dello zero incurante della cura, dello zelo null’affatto zelante dei tromboni, come d’una trombosi che ottusa ottunda la vena.
    E codesta vena, che non sanguina più, e sanguina ancora, grumo raggrumito di singolari singolari, groviglio di latte e sangue, macula che non si fa corpo, e si fa corpo, o anima, che non si anima, e si anima, piega ripiegata di piaga, che si spiega, e non si spiega, parentesi che si chiude includendo l’escluso, e che si apre escludendo l’incluso, o parentesi chiusa ed aperta, breve parentesi tra un nulla e l’altero, tra un eterno e l’altero, tra un’eternità di nulla e una nullità di eterno, virgola tra due virgolette, e punto senza, come allora, senza punto, codesta vena senza vena, codesta pena senza pena, simbolo che implica un continuum interrotto da una parentesi d’un insieme vuoto, d’un insieme senza simbolo, d’un insieme senza simbolo d’insieme, insieme, alla lettera, muta, insieme alla lettera, muta, insieme alla lettera muta, muta, l’analfabetico alfabeto dei simboli presi alla lettera, mente, libera, libera mente muta, verbo senza verbo, nerbo senza nerbo, si definirà senza definizione alcuna in una grammatica degenerativa delle tavole, della legge, della verità, delle tavole della legge, delle tavole della verità, della legge delle tavole, della legge della verità, della verità della legge, delle tavole delle tavole, della legge della legge, della verità della verità, ora ancora muta, and or not, muta, e ora, e la congiunzione congiunga e
    disgiunga, or ora, o la disgiunzione disgiunga o congiunga, non ora, non la congiunzione congiunga né disgiunga, non la disgiunzione disgiunga né congiunga, ma, forse, non questo ma quello, forse questo forse quello, ecco qualcosa, non niente, non ancora niente, non tutto, certo non tutto, certo davvero non tutto, ma nemmeno niente, non più niente, ma nemmeno tutto, giusto qualcosa, giusto qualcosa d’ingiusto, giusto qualcosa d’ingiusto anzi ché non niente, certo qualcosa, certo qualcosa d’incerto anzi ché non niente, tanto quanto poco, un poco di più, poco più di niente, per dire qualcosa anzi ché non niente, per dare qualcosa anzi ché non niente, per fare qualcosa anzi ché non niente, ché un poco di meno, ché un poco meno di niente, sarebbe non dire né dare né fare qualcosa, fallire senza fallimento, e il prodotto non essere summa, e il rapporto differenza, e l’uno il contrario dell’altero, la summa differenza d’identità e il prodotto rapporto di dotta ignoranza, fino in fine essendo la meta l’origine, a ché abbia corpo l’habeas corpus de mon cerebre mis a nu, guscio vuoto di gheriglio, guscio pieno di labile labirinto cui si è stati condannati, che non ha processo, che non ha processo cognitivo se non per saltabellare nel buio della luce, e nel buio del buio, che non ha luogo a procedere se non nel tempo, nel tempo degenerato per seguitare a esser perseguitati, per seguire e esser perseguiti, per aver luogo a procedere solo e soltanto nel fuoco che arde, per quella lettera, e per questa, al centro del fare, per una lettera muta, muta

    Il che mi appare un commento adeguato pur nella mia inadeguatezza a commentare

  9. Sergio, mi sa che fai del moralismo all’incontrario. Uno scrittore può anche rispecchiarsi nella Vergine o in Gesùcristo se gli riesce: dove sta scritto che deve per forza immedesimarsi nei cattivi. E pure il termine “mistificazione” mi suona strano in bocca a uno come te che ha sempre professato il suo amore per Manganelli, teorico della letteratura come menzogna. A me non interessa se Moresco dica la “verità vera”, oggettiva, e tantomeno quella processuale, ma se mi trasmette quel genere di verità che pertiene specificamente alla letteratura. La quale, in assoluto, può essere, come tu ben sai, parzialissima e persino “falsa”. E io in Lettere a Nessuno questa verità con la minuscola che non esiste se non nella realizzazione di ogni singolo testo o libro, ce la ritrovo.

  10. @ Tashtego
    … mon semblable, mom frère…
    PS.: Però, ribadisco, Moresco ha fatto un passo in avanti, e da Nessuno è diventato Ulisse.
    Non ha pubblicato, forse, con alcune delle major? E questo potrebbe aprire degli spazi laterali di discussione.

  11. D’accordo: Moresco mistifica a vantaggio suo e degli amici, non è puro, è di parte, non è un uomo esemplare, è un narcisista, crede di essere sempre dalla parte della ragione, di essere stato l’unico a venir rifiutato, si atteggia a profeta, manipola e non sa di farlo, oppure anche, manipola sapendo quel che fa o cerca di non saperlo per mettersi dalla parte dei buoni, è ridicolo, comico, grottesco, non è persona di mondo, esibisce la propria ferita scegliendo con cura i dettagli che possono fare di lui un caso culturale, e aggiungete voi che non ho più fantasia.
    Ma il libro è un bellissimo libro.
    Benché sia debordante, sfiancante, apparentemente frammentario e caotico.
    Quest’uomo impuro (e in questo senso fratello a tutti, o almeno a me) raggiunge gli eccessi irritanti che sono propri del parresiaste, anche lui nato nel letto caldo dell’ossessione e dell’estremismo, e che per di più è sempre un irritante rompipalle.
    Ma detto questo e scaricato sulle spalle di Moresco tutto quel che di male pensiamo di lui, non si potrebbe parlare della lettera di Helena che tocca un punto di verità o magari tornare al libro, che non si esaurisce in tradimenti e mistificazioni?
    Oppure prendersi la briga di fare la lista di tutti gli autori colpevoli degli stessi peccati e che pure, passato il tempo delle accuse e dei risentimenti personali e moralistici, vengono letti per quel che valgono come autori?
    (Mai avrei pensato di dover difendere Moresco del quale non sono una ammiratrice assoluta.)

  12. Helena, io non faccio nessun moralismo, se però uno si considera superiore agli altri, accusandoli delle peggiori bassezze (logiche da clan ecc), o se lo può permettere, oppure, se le commette anche lui, a me risulta ridicolo e ipocrita. Il termine “mistificazione” è di Moresco, sia in questa lettera che nei suoi libri, è lui che la vede ovunque tranne che in se stesso. Quanto al fatto di rispecchiarsi nei reietti anziché in Gesù Cristo certo che non sta scritto da nessuna parte, ci mancherebbe, resta però che in uno che si rispecchia in Gesù Cristo io non mi riconosco, preferisco gli artisti come Caravaggio, che si ritraggono con le fattezze del brutto e cattivo Golia. Lo spostamento dall’estetica all’etica non è mio e neppure mi piace, ma se è su questo che verte la discussione (come per es. nei commenti favorevoli a Moresco che rimproverano a Lagioia di aver rifiutato per difendere amici e autori della propria scuderia come Genna) io su questo rispondo.

  13. @helena:
    il problema è che “Lettere a nessuno” di Moresco non è un romanzo. Lo è “Canti del caos”, lo è “Gli esordi”, non “Lettere a nessuno”. “Lettere a nessuno” si presenta come testimonianza, come documento. Non capisco allora perché, quando è Berlusconi a demistificare usando gli strumenti dell’affabulazione (immaginiamo che quegli strumenti di affabulazione siano migliori di quello che sono) spacciando la menzogna per verità, gli diamo addosso. Lo fa Moresco e fa invece una cosa giusta. Moresco nelle sue “Lettere” non sta inventando, ha la pretesa anche di informare, di dire come stanno le cose. Chissenefrega se infanga Pedullà e salva la sua amica C. Benedetti dicendo, nell’esempio fatto, come dice bene Garufi, una falsità. E perché (tanto per fare un esempio) si è tanto strombazzato sui blog letterari la vittoria in primo grado della Benedetti ma poi tutti hanno taciuto sul suo atto di contrizione e ritrattazione. Esattamente come – su altri fronti – accade sul tg4 e sulle pagine del “Giornale”. Due pesi, due misure. Ma provate per favore a osare un po’ di più con la libertà di pensare di testa vostra!

  14. Ha la pretesa di dire come stanno le cose secondo lui. Facendo letteratura. Che può anche non presentarsi come finzione e romanzo e non mi pare una gran novità. A me qui interessa quel che passa attraverso il suo libro, anche quel tipo di verità che nessun tribunale per fortuna potrà mai stabilire: non quella del sig. Antonio Moresco (né il perché il sig. Nicola Lagioia non sia andato al fare il reading).
    @ sergio
    anche a me piace Caravaggio, però non ammiro meno il Dante dell’Inferno che quello del Paradiso, o uno che ha saputo creare sia Stavrogin e Raskol’nikov che il principe Myshkin, la mite e Aljoza Karamazov. Sono esempi banali, lo so. Ma in letteratura c’è spazio per tutto e per tutti, a prescindere dalla sensazione che oggi raccontare in modo convincente e credibile un personaggio innocente e puro sia assai più azzardato e difficile che calarsi dentro l’umanità di un cattivo. Il che non è giusto un’osservazione a margine…

  15. Per me lo dicono bene Helena ed Alcor: è questione di verità “letteraria” e di bellezza dell’opera – sottinteso: per chi possa accedere all’una e all’altra. Prerequisiti ovvi: disposizione culturale (agli ozi letterari) tempo libero e, forse, anche una disposizione affettiva favorevole (amicizia, simpatia) nei confronti di Moresco. Ciò che mi è sempre sembrato fallito, ancora nei tempi della restaurazione, in queste faccende, è il tentativo di porre la questione su di un piano un poco più universale, ovvero su robuste argomentazioni logiche, che poi sono quelle che ti costringono ad ingoiare anche le verità affettivamente sgradite, e magari agire di conseguenza. Ad ogni scavo, io ho ritrovato invece sempre tanti affetti, affabulazioni, ed una marea di incongruenze (che sarebbe stato pedante ed impopolare evidenziare) segno che le “pastoie della ragione” venivano validamente superate, come proprio dell’arte.

  16. Ho letto il libro quando era uscito da boringhieri ma non leggero’ la versione aumentata di einaudi. A distanza di anni mi ricordo ancora benissimo alcune immagini potentissime e anche qualche battuta non male su Fofi e Raboni.

    @ Tash

    da anni, molti ormai, guardo al futuro come a un momento in cui quello che faccio (ricerca universitaria & scrittura) si rivelerà per quello che già so che è: assolutamente inutile, sia dal punto di vista del pane che da quello del pene (altrimenti detto: “riconoscimento sociale”). E vado avanti cosi’, serenamente.
    Se credessi possibili i discorsi sulle generazioni, direi che ci sono generazioni che il fallimento ce l’hanno alle spalle, altre che invece l’hanno integrato.

  17. Welcome back, elio! (commentatore un tempo noto come Wovoka)
    Mi sono accorta che probabilmente per correggere la grafia del cognome di Nicola, mi ero tagliata via mezzo articolo. E non me lo dice nessuno!
    Ultima cosa- poco seria, anzi pochissimo: il commento di sf. me lo sono vista come fascetta sulla copertina, e senza per questo voler prendere per il culo niente e nessuno (soprattutto nessuno), mi ha fatto ridere….

  18. In uno dei commenti precedenti Sergio Garufi distorce alcuni fatti che mi riguardano.

    Scrive che io avrei ritrattato le tesi sostenute nel libro “Il tradimento dei critici” a proposito del caso Martone, e che Antonio Moresco nel raccontare l’episodio in Lettere a nessuno ha compiuto una mistificazione. Entrambe le cose sono false.

    Primo. Io non ho mai ritrattato nulla.
    Fui citata in giudizio, con una richiesta di risarcimento di un milione di euro, per aver ricostruito, in un capitolo del libro, attraverso articoli di giornale e altri documenti di dominio pubblico, un caso emblematico di comportamento degli intellettuali in una vicenda di interesse pubblico, come quella che aveva portato alle dimissioni di Mario Martone dalla direzione del Teatro di Roma. A citarmi in tribunale fu Walter Pedullà, di cui riportavo e commentavo una dichiarazione da lui rilasciata ai giornali mentre rivestiva la carica di presidente del Consiglio di Amministrazione del Teatro. Non lo accusavo né di falsa testimonianza né di scorrettezze amministrative ma di aver lasciato intendere il falso all’opinione pubblica: Pedullà aveva infatti dichiarato in un’intervista al “Corriere della sera” che Martone si era dimesso per le gravi perdite economiche provocate dalla sua direzione artistica, mentre in realtà il teatro godeva di ottima salute. Perché aveva fatto questa dichiarazione fuorviante? Perché aveva voluto far credere che Martone fosse un direttore fallimentare quando non era vero? Pedullà preferì non rispondere pubblicamente ma nel chiuso di un’aula di tribunale dove, con un gesto di intimidazione e di arroganza, ero io ovviamente a essere imputata. La sentenza di primo grado ha dato torto a Pedullà. Il giudice mi ha assolta in nome dell’”esercizio della libertà di critica”. Il testo della sentenza è un documento pubblico che chiunque può andare a consultare al tribunale di Torino e che fu pubblicato in parte anche su “Nazione indiana”.

    Dopo questa prima sentenza a me favorevole, Pedullà ricorse in appello. Ma poi fece marcia indietro, accettando la proposta del giudice di giungere a un accordo tra le due parti: egli rinunciò ad andare avanti nel processo, rinunciò alla pretesa di risarcimento, in cambio di un mio dichiarararmi dispiaciuta, di non aver inteso ledere la persona, né accusarlo di scorrettezze amministrative: cosa vera, perché la mia critica a Pedullà non verteva sul suo comportamento di amministratore, ma sul suo comportamento pubblico, per le dichiarazioni non veritiere rilasciate ai giornali, e questa mia critica io non l’ho mai ritrattata, nemmeno nel testo di quell’accordo, che Garufi cita.
    Garufi lo spaccia per la sentenza, ma quello che lui cita fra virgolette è solo il testo dell’accordo, e solo una parte di esso, quella che riguarda ciò che io concedo alla parte avversa, il “contentino” grazie al quale Pedullà ha deciso di fare marcia indietro dopo aver perso il primo processo. L’unica sentenza che c’è stata è quella che mi ha dato ragione.

    Secondo. Ciò che scrive Moresco a pag. 500 di “Lettere a nessuno” è esattamente la verità. Egli dice che la vicenda giudiziaria si è conclusa “in primo grado con una sentenza favorevole alla Benedetti e infine con un accordo”. Tra l’altro, l’avvocato Alberto Mittone, che fu mio difensore nel processo contro Pedullà, prima della pubblicazione del libro di Moresco, ha controllato la correttezza di questa frase.
    Come si vede, le mistificazioni non sono né mie né di Antonio Moresco, ma solo di Sergio Garufi.

  19. La sensazione che mi hanno restituito le due lettere, quella di Lagioia e quella di Moresco, mi rimanda a quell’aria da perbenismo aristocratico, tipico della nobiltà o dei circoli bene (qualcuno ha presente le serate del Rotary o i raduni della Croce Rossa?). Durante questi lieti eventi, si incrociano persone che si odiano, non si sopportano, si azzannerebbero come lupi rabbiosi, se solo avessero a disposizione un recinto isolato. Uomini o donne non fa distinzione. Purtroppo non succede mai; l’atmosfera, l’ambiente, la dignità da conservare, il bon ton (che non è il miglior tonno del mondo) glielo impediscono e così, invece di mandarsi fraternamente a cagare con un bel vaffanculo e liberarci tutti in un amen, ci propinano le loro pene, gli stati d’animo consunti, i loro più intimi conflitti. Arsenico e petali di rosa, conditi con una buona dose di bromuro.

    Eddai: un po’ di viagra e ditevi chiaramente, almeno per una volta, cosa pensate. Magari noi, poveri lettori, ci si diverte una volta tanto.

    Blackjack.

  20. «La prof.ssa Benedetti si dichiara dispiaciuta che i contenuti del suo libro “Il tradimento dei critici”, nel capitolo dedicato alle vicende del Teatro di Roma, siano stati percepiti con carica lesiva nei confronti del prof. Pedullà, di cui aveva inteso soltanto criticare alcune dichiarazioni ai giornali, ma non muovere accuse di falsa testimonianza né tanto meno di scorrettezza amministrativa. Avendo poi preso visione della documentazione versata in atti, la prof. Benedetti ha preso ulteriore atto che quelle accuse non trovano fondamento nella realtà. La prof. Benedetti dichiara inoltre che non intendeva comunque ledere l’onorabilità dell’uomo né la dignità dell’intellettuale».

    questo sarebbe “un contentino”? sicuramente non per pedullà, si veda che ne dice qui: http://www.ilcaffeillustrato.it/numero_29_pedulla_tradimento.html
    ad ogni modo, io ero intervenuto sul brano del libro di moresco, non sul processo, e per me tacere il fatto che l’accordo giudiziario sia stato raggiunto unicamente sulla base di quel “contentino” non significa dire “esattamente la verità”. ma le mistificazioni sono come l’alitosi, riguardano sempre gli altri.

  21. UN MILIONE DI EURO??? Cazzarola. Chi non preferirebbe un accordo? Garufi per primo, I suppose…

    A proposito. Pochi conoscono la parola “sicofante”.

    “SICOFANTE: In Atene, accusatore di professione. Il termine, spregiativo,
    designava quei cittadini che sostenevano accuse a scopo di lucro. Questa
    attività rappresentava la degenerazione di una norma del diritto attico che consentiva a qualsiasi cittadino di accusare i delinquenti. Ai sicofanti
    veniva concessa una percentuale sugli introiti che lo stato recuperava
    grazie alle loro accuse.

    1.. Nell’antica Grecia, era un sicofante chi si faceva pagare per
    sostenere accuse in tribunale. Il nome deriva dal greco ????? (fico) e
    ?????? (mostrare, rivelare), dato che l’aggettivo in origine designava
    coloro che erano pagati per denunciare gli esportatori abusivi di fichi e
    grano.
    Estratto da “http://it.wiktionary.org/wiki/sicofante” ”

    Ciao e buona alitosi a tutti dall’autore di “Lettere a Orietta Fatucci”:- )

  22. “Che pratica imbarazzante e disdicevole la letteratura”. forse si. ma forse quando ci sono righe come queste che tutto consolano, tutto illuminano e tutto incuriosiscono a me sembra di non aver cercato altro che imbarazzo. per lettere a nessuno aspetto di chiudere il volume per dirne. intanto mi emoziono.
    chi

  23. Sergio, scusami. Il tuo discorso generale non lo condivido e ho pure cercato di esporrti perché, ma non ho nulla da eccepire che tu lo faccia. Per te Moresco è uno che vede la pagliuzza della mistificazione negli occhi altrui e non nei propri, ho capito.
    Mi pare invece francamente brutto che tu tiri in ballo come prova questioni giuridiche. Per principio, al dilà del caso singolo.
    Tu mi dirai che è lo stesso Moresco, riportando quella frase nel suo libro, ad autorizzarti ad esporrla in un modo che per te non è più “mistificatorio” ma la verità intera. Invece anche quella io non la vedo al di fuori della sua rappresentazione. Tu chiami “atto di contrizione” quel che Benedetti chiama “contentino”. Dipingi come una sconfitta (o perlomeno come qualcosa che ci si avvicina) quel che Benedetti descrive come un onorevole compromesso. Questi- di qua e di là- non sono fatti, ma possibili interpretazioni. I fatti sono solamente una sentenza in primo grado a favore di Benedetti e un accordo, ossia una conciliazione che prevede per sua natura un venirsi incontro delle due parti. Così, quando tiri in ballo ciò che dovrebbe essere verità inconfutabile (giuridica, per bacco!) in questo modo, rischi di delegittimare ben oltre a tuo esempio e al pensiero espresso colui con cui ti trovi in dissacordo. E’ questa la scorrettezza inaccettabile.
    E infine, soprattutto: è di questo che dobbiamo, che vogliamo discutere?

  24. Non ho letto la versione ampliata di “Lettere a nessuno”. Ma ricordo un semplice fatto. La prima versione di “Lettere a nessuno” esce nel ’97. E’ il terzo libro di Moresco, uno scrittore poco conosciuto, che ha finora pubblicato un libro di racconti (Clandestinità, 1993) e un romanzo breve (La cipolla, 1995), per una casa editrice, Bollati Boringhieri, che si occupa prevalentemente di saggistica.

    Lagioia non entra nel merito letterario del libro di Moresco, ma sceglie il terreno etico, per avanzare una dura critica all’autore.

    Ebbene, proprio rimanendo su questo terreno, non si puo’ disconoscere una virtù che il libro del 1997 incarna: il coraggio. Ora grandi virtù si accompagnano anche a grandi vizi. Credo che in una persona come Antonio Moresco si potranno individuare contraddizioni, debolezze e vizi, come in tanti altri esseri umani. Ma nessuno puo’ con serietà negare a Moresco la virtù del coraggio. Ebbene, questa virtù, nel contesto culturale e intellettuale italiano, è MOLTO RARA. Forse anche in altri contesti e paesi. Ma che il coraggio non sia una delle virtù più facilmente riscontrabili tra gli intellettuali italiani, anche questo mi sembra assodato.

    C’è ovviamente chi minimizza, ma appunto da noi non sono mai mancati i cantori del “tutta va bene cosi’ com’è”.

    Ora, il coraggio di Moresco me lo renderà sempre preferibile come autore (e persona), a coloro che hanno atteggiamenti più sfumati e moderati, ma che sanno sempre come evitare ogni rischio. E questa affermazione vale sia su di un piano strettamente etico sia su di un piano letterario.
    Il coraggio è una delle più importanti virtù che un grande scrittore deve avere. E Moresco ce l’ha. Non so se Moresco è in assoluto un grande scrittore. Ma fa parte dei pochissimi romanzieri italiani che in questi dieci anni è stato per me fondamentale leggere.

  25. Ho letto l’intervento di Helena Janaczeck che trovo equilibrato, esaustivo e condivisibile.
    “Lettere a nessuno”, per restare all’aspetto etico, ma io direi anche antropologico, è un libro sui costumi degli italiani che consiglierei a chiunque voglia dedicarsi alla scrittura perchè, descrivendo e in qualche misura spiegando alcuni aspetti culturali e umani di determinati comportamenti del mondo intellettuale nel nostro paese, contiene alcune informazioni essenziali sul paesaggio antropico che s’incontra.

  26. “Moresco… fa parte dei pochissimi romanzieri italiani che in questi dieci anni è stato per me fondamentale leggere.”

    Ricopiato e sottoscritto.

    fm

  27. Helena, non sono entrato nel merito della questione giudiziaria fra Pedullà e Benedetti per il semplice motivo che non ho elementi per giudicare. In assenza di questi (e si tratta di documenti contabili relativi alla gestione del Teatro di Roma), schierarsi dall’una e dall’altra parte equivale ad adottare quelle logiche di schieramento che la stessa Benedetti rimprovera a buona parte degli intellettuali italiani (come per es. i 120 che firmarono l’appello in favore di Pedullà). Mi sono limitato a rettificare un brano di “Lettere a nessuno” di Moresco in cui, secondo me, veniva fornito un resoconto inesatto o parziale dell’esito di quella vicenda giudiziaria. A mio avviso sorvolare sui termini di quell’accordo, che fu raggiunto in base a quelle dichiarazioni di Carla Benedetti, equivale, nel migliore dei casi, a dire una mezza verità. Per citare la stessa Benedetti (il caso Martone, ne “Il tradimento dei critici”, Bollati Boringhieri, pag.190): “una mezza verità e quindi, nella sostanza, un falso”. L’unica opinione che espressi allora, e che ribadisco adesso, è che la richiesta di risarcimento milionario avanzata da Pedullà fu un grave atto intimidatorio, qualcosa di simile alla minaccia di torture, che avrebbe indotto chiunque, me per primo, a confessare qualsiasi cosa. Quindi posso capire benissimo che unicamente a causa di quella minaccia Carla Benedetti rilasciò quelle dichiarazioni, ma negare che siano una ritrattazione è negare la realtà. Il libro di Moresco “Lettere a nessuno” è perfettamente allineato a quella poetica militante, non a caso Benedetti e Moresco sono molto amici e si stimano. Lui da lei è proposto come esempio da seguire, e siccome quel libro è un violento atto di accusa verso buona parte degli intellettuali italiani, ai quali vengono imputate mistificazioni e logiche da clan, io mi sono permesso di evidenziare una contraddizione presente nel testo. Non sono io che la metto sull’etica. Manganelli e la sua letteratra come menzogna, che non c’entra niente con tutto questo, era quanto di più lontano da questo approccio ideologico alla letteratura, tant’è che sono memorabili le sue polemiche con Pasolini, questo sì vero nume tutelare di Moresco e Benedetti.

  28. Visto che in questa sede si può DAVVERO contribuire al dibattito, posto qui il commento che il Riformista invita a lasciare per poi, evidentemente, cestinare, a meno di non essere tra coloro che il Riformista già conosce. E meno male che fra costoro c’è stata Helena Janeczek, così almeno una risposta (e che bella risposta) è riuscita a filtrare fino a Nicola Lagioia.

    L’uscita contro Moresco del direttore di nichel mi suscita una profonda tristezza. Mi domando se Lagioia non si renda conto di comportarsi ESATTAMENTE come i meschini funzionari che Moresco racconta, coloro che gestiscono rendite di posizioni anche microscopiche, e che se le tengono ben strette pur di poter dire: eccomi, io qui sono arrivato.
    Ma non lo imbarazza raccontare d’avere accettato di partecipare a un reading senza manco sapere cosa ci fosse nel libro? La lettera a Fofi, che tanto scandalizza Lagioia è nelle prime 15 pagg. e c’era già nell’ediz. del 1997. Ma se non sai neppure cosa c’è dentro, che senso ha andare a sostenere un libro? (se non quello di poter dire: ecco, c’era questo c’era quello e ci sono stato
    pure io).
    Sembra di leggere le pagine di “Fratelli d’Italia” in cui Arbasino irride i “firmaroli” del giro Moravia-Morante, in giro dal primo pomeriggio, con qualche petizione sempre “importantissima”, sempre “decisiva” per cui raccogliere adesioni, con Gadda che sghignazza sotto i baffi e li evita imbarazzato… E dire che “Fratelli d’Italia” è uno dei libri che Lagioia deve conoscere bene (Occidente per principianti gli deve moltissimo).

    E la difesa di Genna… Fra tutti coloro che sono menzionati in “Lettere a Nessuno”, Lagioia chi sostiene? Guarda caso proprio Genna, curatore dell’ultimo best off di ‘nichel’ la collana MinFax (diretta da Lagioia, guarda
    caso) e trasmigrato armi e bagagli a MinFax dopo che Mondadori gli
    aveva respinto il pastrocchio “De profundis”. A parte che per Genna
    continua a valere la celebre frase del suo amico Sandrone Dazieri (che, a una presentazione del 2003, disse “Giuseppe è un eccellente thrillerista che fa l’errore di credersi Scrittore”), la difesa di un autore da parte di chi lo pubblica, non è solo inopportuna, ma costituisce proprio un esempio lampante di quel malcostume, di quel vezzo della consorteria che Moresco denuncia. E poi ridurre quella lettera, così piena di affetto, di delusione, di autocritica anche alla “merdificazione” di uno scrittore, a un sassolino levato dalla scarpa è proprio sminuire e tradire il significato di un brano.

    A me Lettere a Nessuno era piaciuto nel ’99 quando un’amica me lo regalò, ed è piaciuto ancora di più oggi in questa edizione rinnovata, ampliata e così piena di forza, di stimoli e di riflessioni sull’Italia e sul mondo che (Moresco
    ha ragione) Lagioia non prova nemmeno ad analizzare.
    Alla fine ho perso il reading e mi è spiaciuto moltissimo ma non penso proprio che sarà pesata l’assenza di uno scrittore che ci sarebbe venuto senza nemmeno aver letto il libro e che di tutte queste 700 e rotte pagine, ha attaccato proprio quelle in cui si toccavano gli interessi dei suoi sodali.

    Buone Lettere (e buone letture, letture vere) a tutti,
    Pietro Ferraris

  29. @ Pietro Ferraris: ma scrivendo che Lagioia avrebbe difeso solo i suoi amici o meglio sodali, non ti accorgi di comportarti proprio come Lagioia accusa Moresco di fare, riducendo tutta la storia di una persona e un’argomentazione, a merda?

    Massì, tanto è uno sport nazionale. Getta, getta merda sulla consorteria, sulla mafia dell’editoria italiana. Fosse anche solo perché dà la stura a queste polemiche, e getta benzina sul fuoco dell’invidia diffusa e della frustrazione (ché, oltre all’invidia, io dietro questa tendenza a immaginare una mafia degli editor, null’altro vedo) Lettere a nessuno è un libro da non avallare.
    Poi, sono qui pronto a prendere tutti gli insulti dei difensori di Moresco che sentiranno nelle mie parole un’offesa al Maestro.
    E non mi offenderò ché voi fate letteratura. Voi.

    E la Benedetti che nel suo intervento nomina il suo avvocato fa davvero tristezza.

  30. ah, e ancora una cosa: è bello il fatto che quando Genna si lascia andare scriva “pastrocchi”. Bello, bravo. E l’appuntino pieno di meschina soddisfazione al fatto che Mondadori glielo avrebbe rifiutato è proprio coerente con l’assunto di chi si scaglia contro l’omologazione delle grandi case editrici. E già, perché il monopolio della libertà d’espressione, e delle sperimentazioni, ce lo avete solo voi.

  31. Come contenuti è superato (molto più intriganti le lettere a nessuno), ma come stile secondo me erano meglio i raccontini anni ’70 su Servire il polipo.

  32. onestamente?
    non se ne può più.

    di Tizio che scrive a Caio, di Caio che risponde, di Sempronia che ri-risponde.
    come dice Caio: la letteratura è sangue. e anche merda, aggiungo io.

    tutto ciò mi ricorda la “lite” di qualche tempo fa per la primogenitura di Gomorra, tra “Il primo Caio” e “Sempronilla”.

    il punto è che tutti qui siamo convinti della stessa cose, ovvero che il momento culturale di questo povero derelitto Paese è il peggiore possibile.

    che stiamo al delirio delle fiere del libro e delle presentazioni con dolcetti, mentre tutto intorno il deserto emotivo e culturale avanza e rade al suolo i pochi alberelli che avevan resistito.

    besta: con le beghe da pollaio e con le liti smutandate.
    io stimo Caio e stimo Sempronio. e Tizio, pure.

    la si smetta…

  33. Grazie dell’accoglienza, Helena :-)
    Commentanto un poco quanto sopra, io penso che l’impressionante dissonanza fra il “contentino” riferito da Carla e l’irridente ma intrigante pezzo di Pedullà – opportunamente riferito da Sergio – apra uno scorcio affascinante sulle lizze culturali e le dinamiche di legittimazione. Quel “ma di che possiamo discutere se lei ammette di non sapere cosa scrivo e cosa penso” mi sembra punti ad un problema formidabile, la cui natura “darwiniana” viene costantemente nascosta dallo slancio sentimentale, che lo banalizza facendone una questione di buoni e di cattivi, di puri ed impuri, o ben formati e mal formati, se vogliamo, eccetera, ma che forse rappresenta anche l’unica forma in cui la partita può venire “smerciata” al di fuori del cerchio (degli “intellettuali italiani”, diciamo) davvero in grado di giocarsela. E’ nei pressi di questo gradino, o rottura, forse ineliminabile, che io di solito avverto l’addensarsi di un po’di mistificazione, nel momento in cui la questione “integrale” si tramuta in materia per i “fan”.

  34. @aldo.
    Scusami ma non ho tanto tempo per lunghi thread, volevo solo farti notare che
    1) anche tu non hai letto bene quello che ho scritto e cioè che mi fa specie (anzi, mi rattrista) che Lagioia aderisca a una iniziativa senza sapere neppure di cosa si tratti, e che in un secondo tempo motivi il suo rifiuto senza entrare nella profondità e nella ricchezza del libro, ma limitandosi a una difesa d’ufficio e banale di due persone a lui molto vicine (e, potrei aggiungere, usando espressioni inutilmente aspre e aggressive come “crimine antropologico e letterario”, “vizio etico”).
    2) Di quale invidia parli? Potrei con altrettanta facilità insinuare che casomai se c’è un post da cui tracimano accenni d’invidia è il tuo, così livoroso e pieno di sguardi su supposti complotti e sedicenti “sport nazionali”. Io parlavo di un libro che è stato una bella lettura 8 anni fa e che mi pare ancor più ricco e stimolante ora, ridurlo (come fa Lagioia) a una rassegna di antipatie e sgarbi, significa aderire supinamente al tacito accordo per cui “cane non mangia cane”. Se ti dà fastidio il mio post, mettiti in gioco almeno su quello di Andrea Inglese. Chissà perché le Lettere a Nessuno sembrano destinate a restare sempre “a Nessuno”, appunto. Inascoltate, negate o rifiutate a priori. Cos’è che fa così paura in questo libro da far scrivere che non lo si deve “avallare”?
    Ultima cosa: “Voi fate letteratura. Voi”: a quale letteratura ti riferisci? Solo perché cito Arbasino? O Gadda? Prova a leggerli, Aldo. Te lo dico davvero con il cuore. Vedrai che ne vale la pena!

  35. @ Sergio Garufi.
    Se è per questo, il resoconto della disputa giudiziaria leggibile alla voce “Carla Benedetti” su wikipedia:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Carla_Benedetti
    è ancora più… orientato in una certa direzione.
    Tanto che gli amministratori di wikipedia hanno messo sulla voce una segnalazione di “non neutralità”.

  36. Interessante il link segnalato da Grassini. Questo è il testo di wikipedia relativo all’episodio giudiziario Benedetti vs. Pedullà: “In giudicato, i giudici hanno dato ragione all’autrice, rafforzando così l’immagine della rinascita di un autentico e battagliero spirito critico, contrapposto allo status quo.” Gli amministratori di Wikipedia hanno messo sulla voce una segnalazione di “non neutralità” a causa dei “toni apologetici e promozionali”. Ecco, io quei toni un po’ fanatici li ho riscontrati spesso discutendo con estimatori di Moresco e Benedetti, e mai quando ho discusso con estimatori di altri autori.

  37. Guarda Garufi che tu su Lipperatura hai scritto:
    “[…] l’autore [cioè Moresco] scrive una falsità in difesa dell’amica […].
    Questo non è un giudizio di valore, è un fatto preciso che attribuisci a Moresco e che può essere lesivo della sua onorabilità.
    Così quando scrivi qui a proposito di Carla Benedetti “[…] negare che siano una ritrattazione [alcune parole dell’accordo] è negare la realtà.”

    Quando parli di “falsità” e “ritrattazione” devi pensare che sono parole con un significato molto preciso.

  38. E se, in questo caso, cotesti “estimatori” coincidessero col medesimo autentico e battagliero oggetto della voce di wikipedia? Mah. O forse è il qui sopra autentico e battagliero Barbieri.

  39. Helena, tu scrivi: «…il suo libro ci dimostra che partita crudele e ad alto rischio sia sempre in fondo la letteratura. Che pratica imbarazzante e disdicevole. E quanto, per questo gioco di carta, ci si possa fare male veramente». Se questo fosse (e questo dovrebbe essere!), la discussione sulle lettere di Lagioia e Moresco dovrebbe essere una discussione sul senso della letteratura: e in alcuni momenti, per fortuna, lo è. Ma anche: i sassi che si aspettava di togliersi da anni da una scarpa che si porta più (ma che importa?), lo schizzo di fango rappreso per la lunga attesa, se pubblichi con quello ti tirano le pietre e se quello non ti pubblica ti tirano le pietre. E le consorterie, sempre le consorterie: esci e vedi gente e fai consorteria, stai da solo in mansarda e fai la consorteria dei non-consorti, fai un salto a Viggiù e sei nella consorteria dei pompieri. A rileggerla, l'”Odissea del rancore” di Cioran sembra un fresco testo sociologico sulla blogsfera e il popolo dei lit-blog.

  40. Ecco, quando parlavo dei “toni un po’ fanatici riscontrati spesso discutendo con estimatori di Moresco e Benedetti” pensavo proprio a Barbieri, che puntualmente è intervenuto adottando lo stesso tono intimidatorio dell’odiato Pedullà, tanto per ribadire quanto gli estremi si somiglino. A questo punto allora faccio una ritrattazione anch’io: quello che fa capo a Moresco & Benedetti non è un clan, l’ho capito leggendo il commento minaccioso di Barbieri e i toni apologetici della nota su Wikipedia. No, è una setta.

  41. scusate se insisto, ma “Le pellicce di Pavia” di Moresco su Servire il pollo del ’72 sono meglio delle lettere a nessuno

  42. Il dizionario Garzanti, alla voce “setta”, dice:

    “Insieme di persone che seguono una dottrina filosofica, religiosa o politica
    che si discatta e dissente da una dottrina già diffusa e affermata: *sette scismatiche*”.

    Non mi pare che sia così negativo appartenere a una setta, anzi.

    Certo, può esserlo per chi appartiene a una dottrina già diffusa e affermata e tollera male il dissenso.

  43. Riassumendo, vedo che sono state accolte le mie fondamentali indicazioni: chiedere un milione di euro è roba da sicofanti. Garufi stesso ha ammesso che preferirebbe un accordo*-°

  44. In realtà Garufi muore dalla voglia di essere il prossimo destinatario di una delle lettere di NESSUNO di Moresco. Potrebbe così diventare immortale!!!

  45. Che vi devo dire? Che avevo temporeggiato un po’ a postare questo pezzo, temendo che andasse a finire esattamente così? Questo brutto film che ho -che abbiamo- già visto e rivisto?
    Volevo riflettere sul senso di un certo modo di intendere la lettertura e l’essere scrittori che emerge da questo libro in un modo per cui – per me-vale la pena farci i conti. Con Nicola Lagioia e non contro. E non mi importa che Nicola sia editor e/o amico di Giuseppe Genna, né mi scandalizza che possa essere stato questo uno dei motivi che lo hanno spinto a scrivere la sua lettera. Semplicemente questo non mi/ci riguarda. Non è questo di cui dobbiamo parlare, ma di quel che dice.
    In più “Occidente per principianti” è un libro che consiglio, così come Genna ne ha scritti più di uno che ritengo importanti. E trovo desolante tirar fuori come argomento la pubblicazione con un editore grande o piccolo, come se questo fosse criterio di alcunché. “Italia de Profundis” ce l’ho, ma non l’ho ancora letto, quindi non mi pronuncio: ma uno dei libri più belli di Genna “Assalto a un tempo devastato e vile” era uscito con la piccolissima Pequod.
    Visto che mi pare che qui bisogna mettere in chiaro cose che dovrebbero essere ovvie, aggiungo solo questo: io posso difendere il libro di Moresco e continuare ad avere idee diverse. Sia sul modo di intendere la letteratura, sia nello specifico sulle persone di cui racconta. E non credo – giusto per fare un esempio- di venir meno alla stima per Pontiggia né persino al debito personale di riconoscenza che ho nei suoi confronti- se apprezzo “Lettere a nessuno”.
    Non c’è alcun bisogno di smerdare caio per esaltare tizio. Non lo dico perché tengo al bon ton o perché voglia mettermi in una posizione super partes ponziopilatesca. Ma perché ogni discussione che voglia essere tale, non può che partire dal rispetto.

  46. puemm de la carte postale

    (dedicato da Torino un Po’ a tutti)

    ke l’effeffe ne comprenais comme
    c’etait possible a stu tiemp
    que les gens communiquent cum lo esseMesse
    culla mail e cullo feisbuk cull’ Ether
    que los amizi scriba seulement
    piglier la carta blancha cum la penna
    (et pure lo francubullu) par escribire letter

    Se commenzea cum lettre à personne
    que nun tene cunto der postino. der factor
    ca se trove missiva ‘n borza sine adresso
    et ni destinatario fa lo male al cor
    et pure l’adda rà a quelqu’un lo pak ke l’est l’istess

    à celui ou meker celle qui est à la fonte
    de la parole qui se veut lui dire a mment
    et j’imagine lo povre en bicyclette
    se faire l’Italia sine cumpletà l’azione
    (et meker riske pure lo licenziamiento)

    au fur et à mesure et manu a manu kella
    que l’era na letra simple une ambassada
    se facette telegrama pour les unes
    et pour les autres aringa et puis cartela
    fin ke addeventa letra raccumandata

    cum tanto d’avocado – mais pas lo fruto-
    nein nein, je parle de la prufessione
    dell’azzeccagarbù des tribunali
    ove est question de tirar for millione
    et todo prender et puis de de perder tuto

    et la carta qui era blancha et bien stilata
    fecit reaziun de derma et contro er karma
    et alors que l’era grave et de leger desarma
    se fecit tiut d’un trait une brief bollata.

  47. E’ curioso come persone che sostengono di conoscere tanti libri non abbiano imparato negli anni delle loro letture a distinguere tra la persona e l’opera.
    Se anche l’autore parla di sé e sembra che spinga avanti la sua soggettività e la sua vita privata, l’unico risultato a cui tende è il libro e l’unica cosa che va giudicata è il risultato.
    Fraintenderlo è pericoloso soprattutto per il lettore, lo fa diventare un contabile delle ragioni e dei torti altrui, un biografo del buco della serratura, un combattente per cause improprie. Per cosa poi? Non certo per la letteratura. Solo per affermare a sua volta il proprio io in tono minore, e non importa che sia apologetico o accusatorio, sono toni che si equivalgono. E’ un tale privilegio essere solo un lettore di opere che se mi passa vicino un autore e c’è il rischio di conoscerlo di persona cambio strada. Qui invece vedo il desiderio di avvicinarsi aggressivamente o amorosamente al corpo della persona, non al corpo delle idee. Da cosa venga questa illusione di identità tra l’una e le altre non riesco a capirlo. La mia domanda è sempre la stessa, il libro è buono?
    Che sia buono o cattivo Moresco non mi interessa, anche a dispetto di Moresco stesso che essendo la persona e lo scrittore insieme può pensare che vadano insieme anche le cose.
    Ho letto fin qui, e devo dire che la piega che ha preso la discussione, che era partita da una lettera a mio parere bella ed equilibrata sulla natura della scrittura è una delle più mortificanti degli ultimi tempi, nonostante alcuni interventi “sani”.
    Ha ragione Helena, è un brutto film, anzi, è molto peggio, un film di una noia mortale.

  48. d’accordo con Alcor, pur dissentendo sul dato iniziale.
    ovvero, se Helena scrive quella lettera – come ogni altra lettera sull’argomento – non può che nascere una discussione del genere.
    e quindi ha ragione anche Helena, quando dice, più o meno: me l’aspettavo.

    be’: certo!

    c’è questa idea di una letteratura che non scende a compromessi versus una letteratura invischiata nell’editoria (editor, consulenti ecc.).
    guerra tra poveri, aggiungo io.
    antipatie sciocche e sassolini nelle ciabatte, come ha scritto qualcuno qui sopra.

    penso anch’io che sia diverso dire:
    – l’editoria fa schifo
    – Tizio fa schifo.

    perché e per come, dovrebbero essere oggetto di un’analisi – perdonatemi – più profonda.

    se volete un consiglio, evitate queste rese dei conti. fanno ridere, e non di gusto.
    è una risata amara; è una misera imitazione della politica, quella con la p minuscola.

  49. Io no che non mi annoio, non mi annoio :-)
    Molto ben detto, cara Alcor, ma non sarà un po’ illusoria anche la tua distinzione fra idee e corpi? Io per “idee” intenderei qualcosa di molto più astratto di quanto si incontra in questi ambiti, non dico le idee della matematica, ma della scienza almeno.. Le idee “letterarie” mi sembrano troppo intessute di fabulazioni e di carismi personali per poter operare il tuo distacco ideale: in fondo si tratta proprio e precisamente di corpi, nervi e sangue, che reagiscono in un certo modo in quanto pazientemente (auto-)formati, e in parte predisposti, a reagire in un certo modo. Dunque ciò che viene messo in concorrenza in queste lizze non sono affatto “idee”, ma bensì “modi di sentire” (e quindi genealogie, modi di vivere) in buona sostanza irrapportabili, cosa che ne spiega il limitatissimo raggio di ripercussione. Senza una sufficiente dose di incentivi “spurii” (mediati e nascosti dall’affettività) l’offerta evidentemente non attrae, non attecchisce. Difficile accettare che sia per carenza di universalità, molto più naturale (e probabilmente anche utile) immaginare ampie congiure. Il punto è che alla fine si invoca semplicemente l’accesso alle demoniache “macchine di ottundimento delle menti”: rendetemi presente in ogni libreria! anzi insegnatemi subito nelle scuole! allora vedrete quanto grande sono! Saviano in fondo ce l’ha fatta, però era abbastanza evidente che aveva una marcia in più.

  50. @ Alcor. Dici: “la discussione… è una delle più mortificanti [ma ‘dde che????] degli ultimi tempi, nonostante alcuni interventi ‘sani’.”
    Va da sé che tra questi ultimi metti i tuoi. A me – sinceramente – pare insano già il porre in discussione lo scazzo Moresco-Lagioia in sé, con buona pace della bella Helena.

  51. cara helena, credo che la tua lettera sia importante e dica cose vere che moresco ha ben evidenziato sull’ambiente letterario e i suoi potentati, sul gesto della scrittura che a queste cose vorrebbe essere estraneo e sul senso dello scrivere come necessità. poi scaldarsi tanto non ha senso. queste discussioni dai toni troppo accesi- parlare di sette è veramente ridicolo- si esauriscono in ambito letterario tra scrittori e aspiranti tali e purtroppo si spengono rapidamente nel mondo esterno in mancanza di ossigeno. Indicare l’esistenza di potentati e dinamiche di marketing nell’editoria italiana non è segno di frustrazione ma fotografia dela realtà e uno scrittore, chiedo a tutti voi, di cosa altro dovrebbe occuparsi se non di indagare la realtà?

  52. L’unica cosa veramente comica, però involontariamente comica, di questa discussione è il tono apologetico ed esaltato della voce
    “Benedetti” su wikipedia, che ricorda gli opuscoli di Dianetica.

  53. @impertinente,

    ma no, non mi tiro fuori, anche i miei sono noiosi perchè partono dall’irritazione e non da un’idea, e non mi sono nemmeno impegnata, mettiamola così, DISAPPROVO I MIEI COMMENTI, salvo il primo, la lettera di Helena mi è piaciuta, però ha ragione @finale, e anche @helena, l’esito era prevedibile.

    Ripropongo il mio auspicio: fine.

  54. Ciao Elio:-)

    Guarda, prendo in prestito un pezzetto dall’ Imitatore di voci di Bernhard e mi scuso se è lungo ma è difficile tagliarlo, si intitola Venerazione:

    “La nostra venerazione per uno scrittore al quale per tutta la vita non avevamo osato avvicinarci era indubbiamente al suo culmine allorchè un giorno, … potemmo incontrare sulla terrazza dell’albergo l’uomo da noi tanto ammirato e fare la sua conoscenza… Quanto più, dopo quel primo incontro, ci siamo avvicinati al nostro scrittore, tanto più e con uguale intensità ce ne siamo allontanati. nella stessa misura in cui ci siamo addentrati nella sua personalità ci siamo allontanati dalla sua opera, ogni parola da lui pronunciata in nostra presenza, ogni pensiero da lui pensato in nostra presenza sono stati una parola e un pensiero che di pari passo ci alllontanavano dalla sua opera. Alla fine la sua opera egli ce l’ha resa repellente, l’ha fatta a pezzi, l’ha dissolta e ritrattata. Dopo aver lasciato l’albergo, contenti se non altro perché potevamo di nuovo cavarcela senza quello scrittore, avevamo l’impressione che per noi lo scrittore e la sua personalità si fossero tolti di mezzo per sempre, esattamente come la sua opera. L’autore di quelle centinaia di pensieri e idee e intuizioni, al servizio del quale ci eravamo messi per decenni con la nostra intelligenza e al quale eravamo rimasti fedeli col nostro affetto, nel momento in cui non si era rifiutato di fare la nostra conoscenza ma in fondo l’aveva cercata contro la nostra volontà, aveva distrutto la propria opera. In seguito, anche a sentire soltanto il suo nome, ci prendeva un senso di ribrezzo.

    Il consiglio di Bernhard ai lettori – e anche agli scrittori – è chiaro, statevene alla larga gli uni dagli altri, se non sulla pagina.

  55. Io, invece, ho appena fatto l’esperimento contrario. Sono andato a sentire Gianrico Carofiglio, venuto a Venezia a presentare “Né qui né altrove”, senza aver mai letto niente di lui (il legal thriller non è esattamente il mio genere, benché per Mondadori abbia tradotto “Oggetti di reato” di Patricia Cornwell). Risultato: mi ha divertito, l’ho trovato intelligente e simpatico e per premiarlo ho comprato il suo libro, che sto appunto finendo. Molto carino davvero…
    Quello che mi preme dire è questo: bando alle regole! Chi vuole, stia alla larga dagli scrittori. Chi preferisce accostare la conoscenza di un autore a quella delle sue opere, lo faccia in tranquillità e senza crearsi aspettative di nessun genere. Può succedere che un autore si riveli migliore delle sue opere, opure il contrario, oppure altrettanto interessante di ciò che ha scritto, e chissenefrega?
    In conclusione: LET IT BE.

  56. Alcor carissima,
    certo, hai ragione, la pratica letteraria, il buon senso anzi, dovrebbe guidarci versi la chiara distinzione fra testo e autore, ma non dimentichiamo che vivere sullo stesso territorio, respirare la stessa aria, mangiare le stesse cose, condividere pari immaginari o analoghi sogni di chi ci affianca come scrittore (o architetto, artista, musicista, regista, etc.) è ben diverso che prendere in mano Tolstoj, Dante o quanche altro indiscusso grande del passato, ormai “piedistallato”. E’ la contraddizione di muoversi nella foresta del contemporaneo, e anche il suo fascino periglioso. Non possiamo esimerci dai corpi, dai volti, dalle voci, non possiamo fare a meno (anche se sappiamo quanto sia deleterio, pericoloso, folle) cercare il sangue, la carne, la vita. Quella che nulla c’entra con la autonoma vita dell’opera, ma che è a noi contemporanea quindi più irrimediabile, irrecuperabile, labile, preziosa perciò, nella sua vacuità (il singolo respiro, la stretta di mano rubata dopo una fila interminabile per farsi firmare una copia, una birra, una battuta…) perché a noi, magari solo virtualmente, magari solo illusoriamente, sincrono, simpatetico. Si cerca l’aruspice, il maestro anche se non lo si ammette. Si cerca una risonanza, uno sguardo negli occhi, una conferma. Spesso lo si trova nel peggiore degli artisti, ma nel migliore degli uomini. E lo si cerca al di là delle sue stesse parole. E molti scrittori (che lo siano o meno non importa) si sentono investiti di tale maledizione taumaturgica. Gli stessi che comunque tengono famiglia, che vivono nel mondo, che hanno l’alitosi, che aprono crepe nella loro coerenza di artisti. E’ questa fragilità del quotidiano che me li fa amare (perversamente?) più che le loro stesse opere. Le quali, se avrò fortuna, forse saprò capire al meglio fra molti anni. O forse no, mi accorgerò che avevo sotto gli occhi opere di gran lunga più durature del bronzo, ma non le vedevo, abbagliato dallo stagno ben cesellato di qualcun’altro. E quella sarà la mia esperienza dovuta, in quel momento, non sarà, perciò una sconfitta. Ma oggi tutto, insisto, tutto, mi coinvolge, non ostante so che nulla è più sbagliato che farsi coinvolgere da tutto ciò che non sia il libro in sé, l’opera in sé.
    (non oso rileggermi, ho paura di aver delirato)

  57. credo come biondillo all’importanza del contatto. lo scrittore è un uomo e in lui si cerca una corrispondenza, un sentire uguale al nostro. si crede che abbia un qualcosa in più perché riesce a dare un ordine all’esistenza attraverso le storie o a raccontarla con parole che sembrano nostre. altrimenti non si spiegano gli affollati incontri con l’autore: c’è una ricerca di contatto e una ricerca di senso. poi dipende dagli scrittori: alcuni hanno la generosità e la capacità di uscire dai confini delle righe e di coinvolgere con il discorso oltre alla parola scritta, altri si nascondono e a farne le spese sono i libri. anche un solo momento di autentica corrispondenza e “quotidiana fragilità” vale la pena, non si fa che cercarsi in fondo.

  58. Alcor è una merda.*

    *NB: è un passaggio del libro che sto finendo di scrivere, tra Celan e Céline (dedicato a Celine Dion) – titolo: “E-mails to nobodaddy”.

  59. Alcor, pensa che la prima volta che ho parlato con Voltolini era proprio su una terrazza, a Rimini. C’era anche Lucarelli. Dario mi portò da Lucarelli e disse una cosa tipo: lui è fantastico legge gli scrittori italiani. Poi mi parlò di Genna, della Benedetti, di Nazione Indiana… cavolo era esattamente come i suoi libri. Stessa gioia conoscendo Mozzi, Moresco, Scarpa, Montanari, la Benedetti. Helena l’ho vista a Bologna con Saviano. Era il periodaccio post scissione di NI. Abbiamo discusso un po’, e lei che non risparmia mica i fendenti, me ne disse una che porca balla me la ricordo ancora. Eppure è sicuramente una gran persona. Roberto Saviano non sto nemmeno a dirlo, lo immaginate. Poi tanti altri. Con Moresco ho conosciuto Evangelisti. Ancora, quelli di Maltese narrazioni e quelli di Fernandel, Biondillo, Cornia, Raffaini, Nori, Morozzi (con cui sono andato a vedere un sacco di concerti), il maestro Furlan. I fumettisti, uno per tutti Igort. Nessuno ha deluso le mie aspettative. Gentili, intelligenti, alla mano.

    ps, lo so sicuramente ne ho dimenticati la metà… infatti per esempio manca la Lipperini (a Ravenna), con cui continuo a litigare sia chiaro, però in un altro modo.
    ps2 WM1 invece si è sempre nascosto, deve temermi molto, ovvio… :-)

  60. OT per chiamata in causa

    @sf
    Non mi arrabbio, purché naturalmente il libro sia buono:-)

    @Biondillo & Barbieri

    Non mi verrebbe mai in mente di intromettermi tra voi e gli scrittori che vi piace frequentare, né penso che me lo permettereste, cerco solo di far cadere una goccia di angostura nella zuppa.

    @Agata
    Ecco ben dette quasi tutte le ragioni per cui non sono mai stata a Mantova.

  61. Vada per la goccia di angostura. Così la smetto di desiderare di essere la pera al cioccolato cui allude l’impertinente. (spero che un po’ di cazzeggio vada bene a tutti)

  62. Ecco, poi dovrei rispondere a Garufi.
    Ma ha già risposto Helena nell’ultimo messaggio che gli rivolge, che ha come fuoco il rispetto umano e intellettuale. Le mie parole parlavano di ‘onore’ che in definitiva è la stessa cosa. Tutto qui. Forse Garufi pensava che evocassi processi, invece evocavo solo il rispetto.

  63. Helena, a Bologna mi hai fatto venire dei sensi di colpa per una settimana almeno. Altro che pera al cioccolato!!!

  64. liebe Helena, m’è dispiaciuto molto non terminare su NI il polpettone “Gioventù tedesca”. elaborato il tutto, ho trasferito il lutto su rebstein.wordpress.com , dove tengo la rubrica fissa “Il pezzullo di sf”, ogni lunedì sera. vieni a trovarmi, che parliamo un po’ tedesco, io te e Arno Schmidt.

  65. Aveva conosciuto il geometra Bottazzi, finalmente.
    Fu alla spiaggia libera di Castel Porziano.
    L’aveva tanto ammirato da lontano.
    Con lui quel giorno c’erano Porcacci Ugo, carrozziere della Maglianella, che s’era portato un grosso panino con parmigiana dentro uno di quei contenitori di plastica stagni, sai, da frigorifero – nella calura la parmigiana aveva prodotto del vapore acqueo ¬– e Pelliccioni Ernesto, famoso, anzi mitico elaboratore di motori.
    Bottazzi vinceva praticamente tutte le corse clandestine.
    Porcacci gli modificava le carrozzerie.
    Pelliccioni gli trasformava i motori.
    Pelliccioni c’aveva un costume Port Cross, anni sessanta, col gancetto, tutto scolorito.
    Probabilmente gli tirava al cavallo, perché se lo maneggiava in continuazione, talvolta anche a crudo: furtivamente, si metteva la mano nel costume.
    Bottazzi, peloso all’eccesso, aveva detto piascere.
    Poi s’era girato dall’altra parte, a dormire sul lettino.
    L’ultima corsa che aveva visto, Bottazzi se l’era pappati tutti già dopo meno di mezzo chilometro.
    Si aspettava super-eroi, invece…
    Gente qualsiasi, gente come lui.
    Pure le donne che erano con loro, insomma…
    Tutto così-così, simpatici, alla mano.
    S’era detto Se loro sono come me, allora pur’io posso fare le cose che fanno loro.
    Ecco, quel pensiero era sbagliato.

  66. Ho improvvisamente capito qual’è il peccato che vizia i miei ragionamenti: cercare di impostarli da un punto di vista astratto, medio (anzi mediocre) in altre parole: generalizzabile. Come si fa a conoscere tutta questa bellissima gente mantenendo al contempo una famiglia? Bisogna certo trovare qualche bell’espediente, che però, come tale, difficilmente potrà essere generalizzato. Che sia questo genere di scaltrezza la vera tassa d’ingresso nel mondo culturale? Forse è questa contraddizione strutturale, apparentemente ineliminabile, a rendere le intellighenzie (per quanto proletaroidi possa essere) dei dubbi rappresentanti dell’umanità nel suo complesso, e ad aggiungere un’eco di falsità ed ipocrisia a tanti loro appassionati appelli rivolti, appunto, all’umanità nel suo complesso. Forse è per questo che tutti si indignano mortalmente, gridano al sacrilegio, ogni volta che l’oggettivazione si avvicina al problema di una ripartizione equa del “tempo libero”, cioè della “vita vera”, fra tutti quelli chiamati a condividerla. Il problema è talmente complesso che non arriverà mai all’ordine del giorno, ma nondimeno esiste e rende illusorio ogni lacrimoso proclama. Meglio sarebbe che il cinismo implicito nei fatti si esprimesse anche nelle coscienze, il gioco sarebbe molto più pulito.

  67. Io resto dell’idea che un grande scrittore non si fa il fegato amaro se non è invitato al ballo della “misera corte delle lettere nostrana”. Anche perché non farebbe nulla per essere invitato. Se invece sbatte risentito il piedino, allora lo scrittore non è grande.

    In ogni caso… Il vostro dibattito è da estetiste. Dite che devo limare le unghie e sfoltire i capelli?

  68. E magari se asciugaste i vostri interventi e formulaste frasi di senso compiuto, senza elusivi rimandare a diatribe da cortigiane ossigenate, sarebbe anche meglio per i vostri umili fruitori. Perché vi interessa averli, non è vero?

  69. @ morgillo. Massimo rispetto per le estetiste (tra l’altro il mestiere della protagonista del mio secondo libro).
    Io so di molti scrittori parecchio grandi del passato che invece l’eslusione e il misconoscimento lo risentivano parecchio.
    E non mi viene in mente nessuno che non avesse sentito il bisogno di avere degli interlocutori e degli amici fra gli altri scrittori contemporanei. Nemmeno Kafka, per dire. Che è cosa ben diversa e più seria del desiderio di essere accolti a corte.

  70. Certo. Io adoro le estetiste. Dai loro centri estetici esci che sembri un UFO. Ma ti senti tanto figo… La cosa più inquietante è l’arco sopraccigliare!

    In passato forse i Grandi Scrittori sentivano l’esclusione e il misconoscimento perché il mondo dell’editoria era parecchio diverso, non trovi? Ti pare che oggi un Grande Scrittore si strapperebbe tutte le sopracciglia per essere acclamato da Lagioia? E a Lagioia interessano davvero i Grandi Scrittori? In questi decenni così minori, un Grande Scrittore sarebbe assolutamente improponibile. Ha ragione Lagioia quindi.

  71. Morgillo, no, di solito leggo le tue frecciate e le condivido, ma… l’estetista no, sorpassata da manager londinesi strafatti di coca (con relative penne di pavone nell’ano) o, se preferisci spostare leggermente il tiro, dai discorsi tra mazzettari. Mai sentiti? Appena torni in Italia cercati un’occasione utile, l’immaginario non può restare datato.

    Ghega

  72. “perché (al di là del problema del pane) quello che facciamo ha così disperatamente bisogno di riconoscimento altrui?
    Perché, se presso gli altri non esiste il nostro lavoro, la nostra stessa esistenza si dissolve?”

    ecco, qui sta il nodo da sciogliere.
    e di coloro i quali o le quali sono riusciti a scioglierlo, non sapremo mai nulla, perchè questi quali e queste quali non sentiranno più, e i più “innocenti” non sentiranno mai, il bisogno di comunicare al mondo lo scioglimento del nodo, per il semplice e facile motivo che questi quali e queste quale si sono ri conosciute/i
    alcuni/e grazie, si fa per dire, all’ orgogliosa caparbietà nel ri conoscersi degni di riconoscimento, altri per una sorta di Culo innato.
    io ho conosciuto poche persone bisognose di riconoscimento, in verità una sola, ed era analfabeta ma ho conosciuto e conosco persone che avrebbero tutte le qualità e possibilità per star bene, per far star bene, davvero bene, direi benissimo, se solo incominciassero a sciogliere questo maledetto modo.
    non lasciamoci dissolvere da amenità, ci sono cose molto più dure da affrontare, una a caso, noi, medesimi, noi.
    dichiariamoci fieramente falliti e finiamola lì una volta per sempre.
    un bacio grato
    la funambola

  73. Tash è un grande scrittore, e non credo che il suo sia, in realtà, un pezzo satirico. C’è dell’autentico (e se volete del patetico, ma autentico) in quello che scrive.

  74. scrivere è un atto comunicativo. non esiste chi scrive per non farsi leggere, e quindi comunicare. somiglia al mito, chi scrive fottendosene dell’altro, nel senso che non è consapevole di entrare in relazione attraverso le proprie parole.
    a mio parere moresco è uno dei grandi scrittori contemporanei, uno per cui scrivere è l’essenza, il fine. uno che offre un importante resoconto soggettivo sull’esistenza. e in questa sua totalità, probabilmente consapevole, non può che dividere.
    e ne scrive

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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