VULCANO + Manifesto : Roberto Donatelli
Quella mattina era passato da vulcano, aveva ordinato tre fulmini con lo sguardo, gli aveva chiesto urgenza, adesso si rimboccava la giacca, si aggiustava i capelli, le mani leggermente umide facevano da gel, si sedette, accavallò le gambe la testa all’indietro aspettava il suo turno.
Arthur Rimbaud par Ernest Pignon Ernest
Aveva gli occhi sbarrati su quel manifesto, l’avevano incollato da poco, la viscida colla passata frettolosamente scorreva, goccioloni sul selciato, la puzza del gas di scarico nell’aria, il traballante rumore su tre ruote in fondo, lucidando i talloni sull’asfalto si posizionò, il cemento faceva strane smorfie e il collo ciondolava.
più M A N I F E S T O
di
Roberto Donatelli
Aveva gli occhi sbarrati su quel manifesto, l’avevano incollato da poco, la viscida colla passata frettolosamente scorreva, goccioloni sul selciato, la puzza del gas di scarico nell’aria, il traballante rumore su tre ruote in fondo, lucidando i talloni sull’asfalto si posizionò, il cemento faceva strane smorfie e il collo ciondolava. Non aveva dormito granché, pulendosi le ciglia mise a fuoco con interesse: con energia sicura congeli insieme il prezzo di elettricità e gas fino al 2010. I cubetti di ghiaccio stringevano lampadina e fiammella. Il vento era leggero, i capelli si muovevano armoniosamente, erano cresciuti un po’ troppo, gli davano un senso di sicurezza e poi, davanti agli occhi si muovevano equilibratamente; li fermò con la mano, teneri, li teneva tirati dietro. Accarezzando la calda nuca pensava, acqua allo stato solido. Il suo volto, quello di un pugile ammaccato. Dormiva sempre di meno. Si voltò guardando le cose, le immaginava incapsulate nel ghiaccio, visioni interessanti, cominciò ad agitare l’inquieta luce interna. Unico sapore in bocca, la gomma passava da un’arcata all’altra, velocemente senza tregua, ogni tanto stringeva di più il lato destro, non voleva spiegazioni andava bene così. Vedeva grumi di colla, depositata, piccoli ammassi pericolosi; si distraeva volutamente. Lungo il viale, uomini indaffarati, tagliavano rami, producevano un rumore insopportabile; più avanti sullo scheletro di cemento, pannelli prefabbricati, il mondo multietnico si dava da fare; la gru connessa, duro intreccio giallo, dal becco appuntito, allungava il grigio carico. Sul lato destro quella coppia con le mani tessute fra loro, li vide, le occhiaie inclinate, parole premute, malleabile carne, affettuose punture sul corpo. Passi brevi, ma sguardo veloce lo portavano a frugare ovunque, l’urbana strada adesso aveva monchi alberi, altri aspettavano la stessa sorte, corpi tozzi, cilindri fuoriusciti dal tronco bicolore. Erano in pausa i boia, motoseghe spente, gesti con fumo sparso, strano ritmo diviso, tra fronde e geometrica esecuzione. Bah, doveva provare, si soffermò sul quel piccolo cingolato naturale, concentrandosi formò in un attimo pareti translucide, solido cubetto trasparente privo di uscite. Si riteneva un fortunato, non tanto per quello che gli stava accadendo, ma per quel dolce ozio che si poteva concedere, aveva venduto quadri, incassato soldi, fresche banconote, bello vedere gli occhi di gazza ladra cadere nei morbidi tranelli. Il profitto lo eccitava, la testa in aria, ruotava, aveva diverse voci; bello avere gli occhi innamorati ti fa penzolare gradatamente, nessuna nota stonata. Aveva scavato molto, si, scavato ovunque molta terra buttata; i gomiti angolo del corpo, bianchi, ossuti, portano lontano. Energia dei nervi, scelto tra i guerrieri caduti sul campo di battaglia. Si Walchiria tiratrice fra i tavoli, chimica biologica, mento allungato, sporgenza dove depositare piriche polveri. Calce viva, articolazione trascinata nell’angolo del divano. Spingeva troppo, ma stava andando così, toccandosi le tempie si accucciò sul marciapiede. Sopraggiunse quel felino, agile, strisciante, lo voleva cogliere di sorpresa, argutamente schiacciato sul terreno, le unghie leggermente in avanti pronte a colpire, le pupille iniettate di niente, solo acqueo umore insignificante, folla vuota di immagini, traballante inutile figura andava modificata.Il mammifero, colpì per primo, schivò leggermente, con il gomito un semplice colpo secco, lo spazzò via, piegato in due, aveva il polmone perforato tra flutti devastanti, pesantemente a terra. Gli occhi girarono lentamente in alto, rigida constatazione del trapasso. Si allontanò con passo rotto, quella figura non gli apparteneva più. Aveva ghiaccio sotto il palato, il giorno cresceva. In fin dei conti gli dispiaceva, non aveva usato mezzi termini, cercò di calmarsi, ondeggiò, allargò le braccia; profondo respiro di nuovo in forma. Poi si soffermò su un particolare. C’erano stati spettatori? Era stata così veloce l’azione, l’immagine, il botto, quel rantolo convulso, quel corpo velocemente immobile. Poca importanza, legittima difesa. I colori perturbati dell’atmosfera davano nuova luce, i mezzi toni esaltavano le forme, sulle facciate, buchi più o meno profondi, cornicioni che evidenziano contrasti vivi, intensi, giacenti sui volumi. I rumori dall’alto agitavano il profondo, tuonava tutto ma non pioveva, il sole a sprazzi apriva le sue valigie, scudi nero avorio chiudevano. Strana battaglia, senza dardi, almeno per il momento; credeva? Si toccava il labbro superiore, fermo immobile socchiudeva leggermente i globi lunga corda sonora, lo sguardo, ineccepibile stinto, puntava il corpo con estrema precisione, si bloccò. Per lui lo scontro era imminente, lo percepiva, sovrappensiero osservava quei latrati fatti da fauci infette. Era una zuffa violenta, sbraitavano trasformandosi in continuazione, ogni tanto leggere interruzioni per proseguire con offese maggiori. Tutti avevano forme aguzze con roboanti occhi rossi, non avevano regole l’uno contro l’altro, dai davanzali forme sbigottite attendevano, sui cornicioni volatili; piume al muro inclinavano la testa. Piccolo episodio disgregante, nessuno interveniva, scorrevano deviando mani davanti fazzoletti sul naso, dita nelle orecchie, giornali aperti appositamente, finestrini chiusi velocemente, radio col volume al massimo. Nessuna tregua, si stavano massacrando, violenti rumori sui corpi, s’intravedevano taglienti, ricurve spaventose armi abbattersi fra loro, non c’era scampo, il sangue toccava i bordi dei marciapiedi. Quella negativa insopportabile vista lo faceva sudare, possibile era l’unico a sudare? No, vide quell’esercito di persone sulle sdraio, il sole li accarezzava dolcemente, affusolate figure, limati sguardi, addominali perfetti, plastiche superfici artificiali.
Ti Voglio Bene – il gomito si accostava al suo, non c’era più spazio tra loro.
Assai – si scioglievano lentamente non volevano il ghiaccio, volevano affondare; non volevano ritorno, nel cielo videro una biga infuocata, veniva giù violentemente, le mani serravano le briglie, spalle grosse, frecce dietro. Molti cominciarono ad alzare il volto, gambe sollevate dai ginocchi, flessuosi tatuaggi, bicchieri rovesciati, strade zeppe di cicche, non ebbe il tempo nemmeno d’infilare gli occhiali graduati, il primo dardo gli spaccò la fronte.
Assai – si scioglievano lentamente non volevano il ghiaccio, volevano affondare; non volevano ritorno, nel cielo videro una biga infuocata, veniva giù violentemente, le mani sognavano ali sulle spalle, molti cominciarono ad alzare il volto, gambe sollevate dai ginocchi, flessuosi tatuaggi, bicchieri rovesciati, strade zeppe di cicche, infilandosi gli occhiali graduati li vide, carezzò i gomiti, s’infilò pregando la sua anima tra le sue labbra. I due mondi hanno terminato tra dardi conficcati, lingue intrecciate, scavalcando bighe franate.
Ti Voglio Bene e Assai presero il loro ascensore, saliva in maniera diversa, era inclinato, ultimo piano, ridendo chiusero insieme la loro cerniera lampo, non avevano nulla da congelare. Sul pianerottolo trovarono due oggetti da sostenere con i gomiti. Ti Voglio Bene strinse la sua valigia, Assai infilò lo scudo nero avorio. Si baciarono teneramente eseguendo un doppio vivo salto cambiarono pianeta.
VULCANO più Manifesto
di
Roberto Donatelli
Quella mattina era passato da vulcano, aveva ordinato tre fulmini con lo sguardo, gli aveva chiesto urgenza, adesso si rimboccava la giacca, si aggiustava i capelli, le mani leggermente umide facevano da gel, si sedette, accavallò le gambe la testa all’indietro aspettava il suo turno.
Turno, impossibile lui aveva diritto, dal finestrino scrutava era il primo e poi da Dio ne aveva bisogno. Vulcano lunghi capelli spalle come rocce pelle spessa, mani mai viste. Cosi’ precise… taglienti.. aguzze. I pollici due sculture inquietanti come i suoi occhi incuneati in quella fronte, risultato mappa geografica, per il suo Dio sobbalzò, tirò dritto nervosamente preparò tutto meno di un’ora, cicche a terra neanche una, aveva smesso e poi l’attesa piacevole, immobile, i rumori gli avevano fatto compagnia tutto era pronto gli vennero consegnati di media grandezza cinquanta centimetri circa lucidi e abbaglianti li ordinò nei loro foderi, dal finestrino giungevano suoni, prima di andare si voltò, i riverberi della luce frammentavano il sorriso di Vulcano.
Adesso era carico, si diede energia, scese lampo avvolgente, si trovò subito nella folla, circondato da stivali veloci, calze corpi compressi, visi allacciati, profumi, creme sparse un po’ ovunque, occhi in salita, corpi lanciati chissà dove, tutti un po’ sbilenchi ognuno con la propria traiettoria. Si schivano si toccano, si scontrano rumori gracili, ogni tanto feroci poli negativi poli positivi, ognuno in salita qualcuno in discesa lateralmente, diametralmente. Era contento gli piaceva immergersi, farsi toccare sentire i piccoli frastuoni della mischia, rumori odori le contraffazioni della vita erano lì invischiate, in quella folla veloce e sfuggente si faceva trasportare da essa, lui non aveva alcun obiettivo gli piaceva osservare, vedere percepire i colori di quella massa lo aiutavano a distendersi. Era improponibile in quel momento far capire l’importanza dei fulmini, forse era meglio scrivere un piccolo manuale. Sì in quella confusa giornata in mezzo a quella folla che cercava ordine, organizzò la sua idea. Si tirò fuori, adesso aveva bisogno di calma e di sole, si fece trasportare volentieri dal suo intuito, lasciò alle sue spalle il calpestìo veloce.
Quella mattina la luce aveva una forza diversa, si incideva di più, lasciava più tracce carezzava, lo faceva emergere, galleggiando lentamente si adagiò, il fiume scorreva lentamente adesso disteso allargò’ le braccia. Quante orecchie abbiamo? Altre possibilità. L’udito e’ importante, ognuno ha la sua zona i propri deserti o le proprie caverne. Sì sono il precipizio della caverna due piccoli buchi, entra di tutto, gonfia il cervello. Lentamente inclinando la testa abbandonò i pensieri, adesso ascoltava, tiepido il corpo acquistava energia, sorrisi leggeri illuminavano il volto. L’umidità’ del terreno dava ombra alla schiena, la tempesta è sempre dietro, sono i colori scuri a dare luce, a creare contrasto; ultimamente le mani avevano sfiorato diversi corpi, gli era rimasto ben poco. Colori schiacciati, premuti, ammassati dentro, incredibile! Stratificava tutto sul precipizio, sull’orlo, sul bordo più scosceso; si agitano figure si intreccia la vita, linea di confine tra il bianco e il nero tra il chiaro e lo scuro, le finestre lentamente scendono, permettono di vedere meno, riducono a fessure gli oggetti.
Il nero così abbagliante, rasoio tagliente ingoia tutto. Sì, aveva pensato molte volte, quella specie di scivolo un coltello gigante lama estrema, travestito da fachiro poteva attraversare indenne il filo tagliente, non era importante organizzandosi avrebbe trovato la soluzione, adesso annusava l’aria, le sue componenti. Gli odori fanno rincorrere le cose, toccò lievemente i suoi fulmini, adesso erano quasi carichi, sì non bastava Vulcano a forgiare, serviva anche quella elettricità raccolta, quella elettricità sparsa, disseminata ovunque dove gli altri non arrivano. Suoni, odori, colori, intestini con lente di ingrandimento, dilatate immagini sul confine abbracciate o leggermente incollate estetici pattini pronti per l’uso, paziente attesa ,violento color lacca di garanza, carica effettuata. L’ora aveva un interesse relativo, i palazzi circostanti brulicavano di esseri indaffarati, tutte le trappole della giornata erano scattate, tra cerchi, angoli, vapori dei bar, vetrine pulite, tutti conficcati nei propri spazi. Le lancette scandivano secondi, minuti, ore, fogli girati con pazienza, messi in ordine, le lezioni con leggeri sbalzi di pressione, accarezzò di nuovo i fulmini, caldi, più caldi del solito, aspettavano comandi, silenziosi, emettevano luce freddissima, dovevano avere un nome, un numero, era un particolare importantissimo, dimenticato, sì quel giorno aveva strane sfumature, la sua testa un po’ imbrogliata, soffusa, allungò la mano, ad uno ad uno li pressò sul terreno con voce leggera, sfiorò la materia, registrò in loro formule prive di ombre.
Avere la testa calda e i piedi freddi, tra equazioni matematiche e pittura grondante, cercare di scivolare o di spaccare i numeri, dar fuoco al colore, ogni tanto bisogna mordere, vedere sdoppiato. Si alzò, il pomeriggio incalzava, aveva tutto pronto, era su una sfera, vedeva tutto, lucido e attento, i colori tersi del cielo piccole luci penetranti, luce zuccherina, pioggia luccicante della testa. Il luccichìo, riverberi, luci nascoste, penombre inesplorate, il fascino dell’assoluto doveva aspettare ancora i confini, gli orizzonti troppo delineati, bisognava attendere la giusta miscela, con passo verticale si avviò verso il mare. Mentre i toni si abbassavano, la sicurezza aumentava, aveva di nuovo oscure voci e colmi giardini dietro le spalle, tutto scorreva velocemente, non aveva bisogno di freni. Dimenticava volentieri tutto quello che fino adesso aveva indossato, tanti cubi, possibile? Cubi o altro non riusciva a distinguere, le forme si accavallavano, avevano consistenze diverse, si confondevano tra linee e punte, le lasciò rotolare tutte tranquillamente distrutte.
Gli restò la sensazione, dovuta a vibrazioni irregolari; quel fragore esterno, intenso, adesso totalmente estraneo. Togliere, aggiungere, elettrocardiogramma della mente, in quanti edifici si trovano acquari? Flutti compressi con Sirene fasciate, tutti dentro a navigare cercando di affogare il meno possibile. Il tallone gli aveva offerto molte possibilità, frantumato il vetro, senza bussare adesso aveva il mare fra i piedi. Il nostro corpo: settanta per cento acqua, perchè preoccuparsi se piove? Pioggia intermittente, infinita, non da’ avvisi o avviso, la trovi lì, te la porti in tasca, la devi tirar fuori al momento giusto, il preludio sono dei fulmini, si svolge tutto in cielo. Ormai era arrivato, si distese tra i due mondi, abbracciò tutto, due numero naturale, le sostanze astringenti hanno diversi fenomeni, puoi rischiare di restare schiacciato o di trovarti tutto nella mano. Strali minacce, universo, stringendo ed aprendo puoi precipitare, adesso la notte tingeva lo spazio, tutto combaciava, i colori fosforescenti dei fulmini sollevavano i mondi. Emanavano una luce astrattamente metallica, lui si era spostato osservava lo spettacolo con occhi strizzati, in posa felina sottile attesa, voleva vedere alzare il sipario. I fasci abbaglianti facevano evaporare tutto, perplesse azioni continuano, proseguono, le interruzioni fanno riprendere,aveva caricato la macchinetta del caffè, tazza da uno, il giorno saliva formando bolle, il liquido nero bollente piano si adagiò nella tazza.
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Finalmente un po’ di scienze naturali su NI!!! ;-)
Ps mi è piaciuto molto Vulcano.
Una meraviglia. La scrittura mi proietta su un’altra pianeta: pianeta mobila, pianeta di colore, pianeta di luce e di buio. Si sente un’energia
Una meraviglia. La scrittura dei due testi mi proietta su un’altra pianeta: pianeta mobile, pianeta di colori, pianeta in movimento. Vedo i colori che fano la danza, la lotta nel sotterraneo della creazione. Il testo ha la bellezza selvatica di un felino, l’energia degli elementi, l’incontro tra il mondo moderno in metamorfosi e il mito antico del fuoco.
Mi sembra che evoca anche Napoli attraverso l’indizio lasciato da effeffe.
Ernest Pignon Ernest che ha tirato dall’ombra dei muri di Napoli, la bellezza della sua tradizione culturale, il suo splendore venuto della pietra nera. I muri raccontano la storia: è la parte invisibile della memoria che si stacca dall’oscurità.
Bellissima l’incontro tra il testo e l’immagine di Napoli ( sul sito di Ernest Pignon Ernest). Ho pensato anche alla rivolta, al fuoco dentro le città, all’arte della rivolta, fiume che scorre nella folla in movimento.
Mi sono sbagliata primo e pensavo avere cancellato, invece no…
Grazie Verò
per la tua presenza. Avere anche solo una voce di risposta – e la tua è più che una voce, almeno due, e due lingue- ai testi che mettiamo in rete per noi è importante. A volte rimaniamo delusi di come testi per noi importanti passino quasi sotto silenzio, a giudicare dai commenti. Come il racconto di Azra per esempio che avrei volentieri visto commentato da cento persone.
Poi mi dicono – e ci credo- che il numero dei commenti non corrisponde al numero dei lettori, e da quella discrezione, da quel silenzio, cerco di attingere le energie per un nuovo post.
Per quanto riguarda Roberto hai colto nel segno. Pittore molto apprezzato in Italia e all’estero,insegna all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, fucina di veri geni, e trasgressori dei codici “donnés”. Quello su NI si può definire il suo esordio letterario. A breve metterò anche una nota critica che il grande Michele Sovente (poeta che puoi trovare anche in Sud) gli ha dedicato
grazie ancora
effeffe
ohps, dimenticavo, con Ernest Pignon Ernest e con Louis Sclavis facemmo un intervento al Grenoble, institut français de Naples, assolutamente memorabile.
ti linko un video di uno dei pezzi che Sclavis ha dedicato a Ernest, nel disco naples’walls
effeffe
http://it.youtube.com/watch?v=WY0xBqp9ohk
http://it.youtube.com/watch?v=WY0xBqp9ohk
dal disco Napoli’s walls che LOuis Sclavis ha dedicato a Ernest Pignon Ernes. Insieme facemmo una presentazione a Napoli e a Procida di Sud,
effeffe
Grazie a te, effeffe.
Il silenzio è fatto ( lo penso di ammirazione, di commozione). Quando si legge un brano magnifico, qualcosa entra nel cuore, la gola si stringe, la tua parola è come un murmuro. E’ molto difficile scrivere con la sua emozione. Il post di Azra si legge nel silenzio sacro, perché tocca al dolore di una memoria, a un dolore vivo che la parola di un commento non puo placare, solo la musica di un violoncellista puo dare una presenza a questo dolore, a questa perdita.
Grazie anche per i post che parlano della tua terra dove si scrive l’arte della bellezza e della rivolta.
Effeffe.
Che ti lamenti perchè non abbondano i commenti a questo post.
Come si fa a commentare una cosa cosi?
1. Ci vuole tutto il tempo per riprendersi dalla lettura.
2. Ci vuole tutto il tempo per rimettere a posto i neuroni.
3. Ci vuole tutto il tempo per pensare.
4. Ci vuole tutto il tempo per scrivere.
E poi ti accorgi che non sei capace di scrivere niente, su questo post. Perché, per dire qualcosa di serio:
“[…]mente e discorso devono corrispondere all’oggetto;
mente e discorso debbono essere così come è ciò
che è stato visto e udito”.
E questo non mi è possibile.
Troppo splendide divinazioni: racconto/i di Roberto Donatelli e musiche di Louis Sclavis!
Grazie a Roberto e Francesco.
[ma che sara ‘sta Napoli!].
Vi leggo dall’inizio alla fine, ogni riga che pubblicate.
spesso non si commenta per senso di inadeguatezza.
ma se ne gode, te l’assicuro.
Bellissimo dono, la musica di Louis Sclavis.
Monsieur effeffe, un pezzo del commento di soldato blu, ed uno di Natàlia potrebbero formare il mio: ci vuole tutto il tempo per scrivere commenti sensati. Non tutti siamo provvisti del carico passionale di véronique, così emotiva e intensa, rapidamente liberatoria delle proprie emozioni nella scrittura dei commenti. Spesso il senso di ciò che vorrei scrivere, per me chiaro in testa, non viene tradotto altrettanto chiaramente in bit da quello strano sistema andata-ritorno che collega la testa ai polpastrelli picchiettanti la tastiera. Insomma, inadeguatezza.
Per quanto riguarda il post di Azra, ho letto quello ed anche tutti i precedenti. Ho pensato più volte di intervenire sull’argomento che lei tratta, il più delicato di tutti: la guerra fra popoli. Ma non me ne sono mai sentito all’altezza da qui, seduto sulla mia bassa pieghevole sedia, davanti un monitor e dietro un termosifone, col sapore del caffè ancora in bocca. E una voglia di fumare che ancora alberga in me a distanza di parecchio tempo dall’ultima sigaretta.
Quanto al brano proposto nel post, l’ho trovato piuttosto ermetico. Un patchwork di periodi che non capisco dove voglia andare a parare. Una sorta di flusso di coscienza, plurisensoriale, trasversale cielo-cellula, anarchicamente convogliato in parole e regolato tachicardico nei ritmi di lettura. Se era un tentativo di mettersi in comunicazione con il lettore, da queste parti il segnale è giunto spezzettato in una moltitudine confusa.
Ecco, per dirvi più precisamente: tra la lettura del post e la formazione di queste quattro modeste righe ho visto che è passata un’ora. E ho tralasciato la fase di decantazione del commento, che consiste nello staccarsi dal monitor e ritornarvi almeno dopo mezz’ora, dopo aver fatto e pensato altro.
Saluti, e salute a tutti
non capisco questo passaggio
#Si Walchiria tiratrice fra i tavoli#
la seconda parte del post: sono in dubbio se considerarlo bello per l’uso ‘anachico’ del virgolettato
#Era contento gli piaceva immergersi, farsi toccare sentire i piccoli frastuoni della mischia, rumori odori le contraffazioni della vita erano lì invischiate, in quella folla veloce e sfuggente si faceva trasportare da essa, lui non aveva alcun obiettivo gli piaceva osservare, vedere percepire i colori di quella massa lo aiutavano a distendersi#
per l’atmosfera onirica e molto sperimentale
#Emanavano una luce astrattamente metallica, lui si era spostato osservava lo spettacolo con occhi strizzati, in posa felina sottile attesa, voleva vedere alzare il sipario#
per la flussica dandy metafisico-pittorica
#dilatate immagini sul confine abbracciate o leggermente incollate estetici pattini pronti per l’uso, paziente attesa ,violento color lacca di garanza, carica effettuata.#
non lo so se sia bello in sé oppure se è la cornice in cui è scritto, NI, che cerca di convincere della sua bellezza. ma questa è una domanda che mi pongo per tanti altri post. se la bellezza del post è indipendente dal blog che lo ospita, non capisco perché non possano essere pubblicate anche le mie cose che continuo a mandare ricevendo la solita risposta automatica tipo segreteria lasciate un messaggio l’utente da lei desiderato non sarà mai disponibile e forse la desiderabilità dell’opera propria non fa pendant con la fruibilità della medesima di altri per conto terzi fino a che la tua opera non sarà desiderata da quei terzi e ciò mi fa illanguidire il cuore in una pozzanghera cristallina di metallo in cui il mio volto si specchia e ci ritrovo un volto che sarebbe stato quello di un muratore molto meglio che almeno a fare case ti chiaman tutti. per il resto resta una sorta di predestinazione generale ma affatto generica sottile come i capelli sottili del tipo del post che se li porta dietro ed è esattamente quello che vorrei far io con un rogo di libri e memorie scritte e scaraventando via quest’inutile macchina con tastiera e monitor che ti dice dai! ce la farai! e lo farei se bastasse questo a farmi dimenticare che la dura legge del leggere travalica almeno qui nel più europeo dei paesi meno europei l’obbiettivo e si spiaccica contro una Cosa che giudica. dappertuto in chiesa a scuola a casa all’università nei blog in televisione in parlamento e chi non è giudicato è semplicemente un numero peridico convinto che diventerà un giorno intero e lo diventerà con la morte e insomma io non saprei più cogliere la differenza “tra il più cieco amore e la più stupida pazienza” e continuerei così all’indefinito fino a fare una frase lunga quanto un paese e lì la cancellerei bip bip bip bip bip il mercato da lei chiamato è momentaneamente irraggiungibile la preghiamo di non richiamare più e #perplesse azioni continuano# le mie quelle degli altri sembrano sempre “gradevoli, sempre imprecise”
@ gianluca&teronimivari
ti capisco. oh come ti capisco!
ma vedi gianluca, io ho aspettato
venticinque anni perché mi venisse
pubblicato qualcosa.
e non c’era nemmeno un blog
in cui lamentarsi.
né un blog in cui ricevere solidarietà.
e poi, sinceramente, pubblicare in N.I.
o comunque pubblicare
non cambia nè la vita, nè la scrittura:
se sei bravo, sei bravo.
e sei mediocre, come me
resti mediocre.
perché non ti fai un blog?
perdonatemi se vado fuori tema, ma vorrei cercare di capire una cosa.
quello che non capisco è perchè uno “scrittore” o pseudo-tale si nasconda dietro un nickname…
posso capire i vecchi “fortebraccio”(di cui tra l’altro si conosceva perfettamente l’identità) … ovvero quegli scrittori/giornalisti che facevano della propria penna un’arma da guerra “intelligente” ma tagliente…
ma chi scrive per diletto, passione, professione… perchè doverebbe nascondersi dietro un falso nome quando esprime le sue idee?
so bene che non è la sede adatta, ma leggendo i commenti che N.I. riceve mi sono sempre posta questa domanda e mi prendo il lusso di girarvela.
natàlia
@ Natàlia
Vedi, il nickname, in auge soprattutto con la recente tecnologia internettiana, ti conferisce una libertà inedita, puoi dire la tua senza le etichette o i pregiudizi applicabili al tuo nome vero, è una sorta di nuova identità scevra del tuo passato, una verginità che puoi ottenere in qualsiasi punto o momento della tua vita, uno spiazzamento vertiginoso rispetto alla tua quotidianità. Cmq il nickname, quando ancora si chiamava pseudonomo, vanta una illustre tradizione in letteratura. Un nome, scontato, tra tutti: Pessoa. La cosa importante è utilizzarlo con criterio e avvedutezza, e non lasciasi andare all’anarchia di possibilità che ti offre.
Errata corrige: PSEUDONIMO. Eppure avevo inforcato anche gli occhiali per scrivere il post…
macondo… consentimi la battuta… non sapremo mai il tuo nome, ma sappiamo che inforchi gli occhiali.
ti dirò, sono bene informata sull’uso storico degli pseudonimi, in famiglia ne conservo buona traccia storica, ma erano altri tempi ed altri gli scopi.
tuttavia, per quanto mi riguarda, preferisco la trasparenza del pensiero pur accettando e rispettando l’esigenza di librtà nell’anonimato di chiunque…
dici bene, però, quando sottolinei che l’uso di tale libertà debba coincidere con una forma di etica che ne faccia fare uso con avvedutezza e raziocinio, onde evitare che dalla singola libertà scaturisca solo un’enorme confusione.
grazie della risposta, apprezzata.
Pessoa uno pseudonimo? Altri erano gli eteronimi (Caerio, de Campos, Reis, Soares, Search) usati per creari poeti diversi e sollevare problemi, temi, etc. Penso proprio che sia improponibile l’accenno a Pessoa…
OT
giorgio ti ho scritto
effeffe
@soldatoblu: no, con la bloggheria ho chiuso. è vero che nessuno ti pubblica ma quanti copioni!
in realtà mi sarebbe piaciuto un parere di effeeffe.
quanto al nickname: siamo in italia e non in un paese demo-meritocratico e senza pregiudizi. il nome li puoi usare se sei una persona normale, se sei etero, se non hai mai fatto riferimento alla tuas vita privata che magari è lontana mille miglia dall’etica cattolica e piccoloborghese dove anche una canna è tragedia.
è anche vero che il nome conta, soprattutto nei blog: non importa cosa dici ma come ti chiami.
se fossi Famoso Scrittore e dicessi che la tale ministra è un oscilloscopio ermeneutico, mi pubblicherebbero, mi posterebbero in contemporanea a blog unificati, (dopo le reti unificate del pensiero unico televisivo, è nato anche il pensiero unico blogghisivo), ma se sono Qualunque Scrittore, la stessa cosa scritta da dio non verrebbe minimamente cagata. Purtroppo i lettori medi italiani, che non brillano certo di acume critico, leggono cose di marca ed è interesse delle varie reti blogisive mantenere l’audience alta. Però tenendo presente che in italia c’è il più alto numero di lettori di blog, è ovvio che la moda detta il medium. Però non mi preoccupo: come dice soldatoblu.
Per ora, non ho ancora letto niente che sia estetico come quello che scrive Busi ed etico come quello che scrive Saviano.
Ma la mia è solo ignoranza e preferisco farla restare tale per illudermi che sono io il paranoico e non il sistema letterario ad essere arido.
Ciao a tutti. Non credo che si risentiremo mai più. In fondo un nome in più un nome in meno non farà molta differenza nel Macchinario.
Salute.
è vero giorgio, i miei erano eteronimi che usavano blog differenti per parlare di cose differenti in stili differenti. ma io non sono pessoa, e soprattutto questa è l’italia.
bimodale\dis-ramon\leo bloom\g.g.\giuliano joyce\
però ho scritto anche a te e non mi hai risposto…
effeffe
scusa francesco, ho letto solo ora…
beh allora che aspetti ? manda
effeffe
Effeffe: non ho ricevuto nulla. Ieri e oggi sono stato impegnato con il Ventennale di Adriano Spatola.
ho letto il tuo omaggio Giorgio
più che doveroso
il più veloce del gruppo 63 con la Giulia Niccolai (folgorante)
come al solito i pittori in Italia arrivano dieci anni prima dei poeti e degli scrittori.Le avanguardie soprattutto in italia le hanno fatte loro, altro che.
effeffe
ps
il mio fraterno amico Tommaso Cascella mi aveva fatto dono dell’intera collezione del Cervo Volante. Volata via un pezzo alla volta e me ne rammarico tu non sai quanto
leggere è un piacere che in certi casi diventa affascinante, questo è uno di quei momenti. alice savona
complimenti innanzitutto per questo sito scoperto grazie al grande prof.roberto donatelli.vorrei esprimere poche parole ma importanti.non voglio adulare nessuno però davvero donatelli o ti piace o non ti piace,e anche se pensi che non ti piace comunque hai un motivo di interesse e piacere nei suoi confronti.scusate il gioco di parole ma davvero emoziona molto ciò che scrive.inoltre è una persona acculturata ma non saccente,ironico ma non volgare,penetrante e realista.il tempo passa troppo in fretta qundo si sta li ad ascoltarlo…onore riconoscenza e gratitutine a donatelli!