Lola&Vlad – Piero Melati

Prologo del nuovo romanzo di Piero Melati, Polidoro Edizioni. Collana Interzona diretta da Orazio Labbate.

Chissà perché ho ripensato ai pidocchi. Anzi no, me lo ricordo bene. Pulci e pidocchi portano la peste. Una volta hanno scoperchiato la tomba di Apollo ed è saltato giù il flagello. Loro, pulci e pidocchi, sono i vettori, in groppa ai topi. Nosferatu, il film di Herzog del 1979: i moli del porto di Brema invasi dai ratti arrivati sulle navi, con parassiti al seguito. Una volenterosa coorte di sporcizia animata. E dopo lo sbarco, il contagio che bussa alle porte della città: toc, toc, reverendissimi umani, siete in casa?

Siamo venuti astecchirvi a peso morto. Quanto a me, il batterio Yersinia Pestis non mi tocca. Oppure guarisco. Ma quei bifolchi di scrocconi sanguisuga, che la peste ha sempre al seguito, mi infastidivano. I topi li sterminavo, ma quanto agli altri mantenuti… pulci e pidocchi… dovevo grattarmi o estirparli. Mi facevano indignare.

Mi sono grattato la cute nel sonno, per il ricordo. Ma al risveglio tutto è stato chiaro. Avevo sognato il demone Pazuzu, generatore d’incubi. Lui mi aveva rievocato i pidocchi. Al termine di una notte immobile, esattamente trenta minuti prima dell’alba, Pazuzu mi era apparso in tutto il suo fetore. Dovete sapere che c’era una volta, nella valle tra i due fiumi della Mesopotamia, che vide alle sue rive Isacco di Ninive (vi ricorda niente?) un terribile signore dei venti. Si chiamava Pazuzu. Oggi ne resta una statuetta al Louvre, un esile mostro con le ali, la cui iscrizione recita: «Io sono Pazuzu, il re degli spiriti malvagi del vento che sorge all’improvviso dalle montagne». Ma nessuno gli crede più. I turisti ci si fanno i selfie. È un idolo trapassato, come altre vecchie divinità che avevano una data di scadenza: Afrodite, Diana, Dioniso, Pan, eccetera eccetera. «Il grande dio Pan è morto» gridarono al marinaio egizio dall’isola di Paxos. Figuratevi: erano ancora i tempi di Plutarco e Pan, già allora, era acqua passata.

Pazuzu, in epoche più robuste, governava il soffio maligno che, da sud-ovest, porta tempeste, carestie, siccità, locuste. Si alzava dalle rocce e spandeva distruzione. Ma in Assiria, otto secoli prima di Cristo, il nostro Pazuzu era ancora invocato perché combatteva la demonessa vampirica Lamastu, che attaccava donne incinte e neonati. Una demone vampira. Personalmente, le sarei stato devoto. Il demone Pazuzu, nelle raffigurazioni, ha un pene eretto che culmina in una testa di serpente. Il linga della tradizione indiana, il fallo con cui Pan scopa le capre. E questo avrà avuto un suo significato, anticamente.

Ma questo oscuro diavolo antropomorfo era stato completamente dimenticato, quando mezzo secolo fa la sua figura inaspettatamente risorse. Nelle sale cinematografiche di tutto l’Occidente. Il cinema è un vascello dell’eterno ritorno. Proprio Pazuzu fu il simbolo satanico evocato nella saga de L’esorcista, la morbosa pellicola del 1973 che ha fatto epoca. Il film raccontava che nel sito archeologico di Hatra, nell’attuale Iraq, era stata rinvenuta per caso una statua raffigurante questo malvagio malandrino ctonio. Così, grazie a tale incauta “liberazione” dagli abissi della Terra, dove da tempo immemorabile esso giaceva, sarà proprio Pazuzu a impossessarsi del corpo della giovane protagonista del film, Regan MacNeil.

Che blasfema sceneggiatura. Tuttavia partorì una locandina pubblicitaria tanto apparentemente innocua quanto profondamente inquietante. Forse la più disturbante di tutti i tempi. In essa si vede un uomo immobile nella notte, ben vestito, con tanto di cappello e valigetta, fermo all’ingresso del giardino di una palazzina, circondato dalla nebbia, affiancato da un’alta lampada stradale fiocamente illuminata. Ma soprattutto, l’uomo è investito da un possente e innaturale faro di luce che divampa da una finestra al primo piano. Ivi è rinchiusa, nella sua linda cameretta da adolescente, la giovane posseduta.

Ora attenzione. Non vediamo mai l’indemoniata, nella locandina. Ma intuiamo che quell’innaturale diluvio di chiarore proviene indubbiamente da una sua metamorfosi. Siamo anche noi irrorati da quell’insano faro insieme all’uomo. Egli è un prete, l’esorcista padre Merrin, interpretato dall’attore Max von Sydow. Resta immobile nella sua postura, perché già congelato nella sua successiva, inevitabile sconfitta.

Quell’innaturale chiarità notturna lo paralizza. Colta nell’attimo precedente l’entrata in scena del personaggio, la presenza di quella luce che lo avvolge, di misteriosa e ultramondana provenienza, sentenzia l’imminente capitolazione di tutto ciò che è terreno e transeunte, di fronte a un incommensurabile fenomeno, che semplicemente non avrebbe mai dovuto esserci. Eppure c’è.

Ci sono fenomeni che non dovrebbero essere, eppure sono. Essi, come il suono di un gong, stabiliscono che ogni cosa terrena e transeunte è destinata a essere divorata da qualcosa di ultramondana provenienza. Se ci riflettete, è una cosa molto semplice. Dunque, fu una pessima idea da parte vostra far risorgere Pazuzu, grazie a quel film, e con lui risvegliare ciò che da millenni dormiva nelle fosse della Terra. «Ma era solo cinema» direte. Piantatela, vi prego. Rendetevi conto, piuttosto, di quanto siano incaute le mani umane, quando maneggiano antichissime potenze come fossero tagliandi di un Gratta&Vinci. Proprio tale vostra sprovvedutezza avrebbe presto contagiato altre menti perverse. Avrebbe piantato in loro la speranza di nuove resurrezioni, dopo quella di Pazuzu, rastrellando ancora una volta il ventre profondo del terzo pianeta.

Che follia, la vostra. Ci sono cose che sono state sotterrate, ma mai davvero sepolte. Esse permangono. Essi vivono ancora. In loro persino la morte è morta. È esattamente questo, come vi racconterò, il casino che avete combinato. A un certo punto del risveglio, mi sono toccato i canini con il pollice e il medio della mano destra. Ecco una cosa concreta, mi son detto. Altro che chiacchiere. Soltanto noi siamo la ribellione a questo deprimente ordine tanatologico del cosmo, la risposta alla sua, e alla vostra, vocazione mortuaria.

Ok, la pianto qui. Cercavo solo un modo semplice per introdurre la storia. Alla fine l’ho trovato. Si chiama Lola e Vladimiro. Che prendano loro la parola. I personaggi. Umani come voi. Più o meno. Questa storia è cominciata proprio all’alba di internet, quando ancora non c’erano i social network. A quei tempi, esistevano soltanto le chat, i forum, i primi siti, i primitivi motori di ricerca. Ma le chat, in particolare, segnarono l’inizio di una rivoluzione umana. Hanno inaugurato tutto quello che c’è adesso: i social network, gli influencer, gli youtuber, Facebook, WhatsApp, Instagram, Tik Tok, i like, i cuoricini,i followers. Fu allora che iniziò un percorso virtuale che non si è più fermato. Anzi, è dilagato con la geometrica potenza di una epidemia di peste. Quando l’artificiale ha cominciato a prendere il sopravvento sul reale e la realtà si è mischiata alla finzione. Peggio delle arti visive, della fotografia, del cinema, della televisione. Non c’è paragone con tutto quello che c’era stato prima.


Piero Melati è stato vicecaporedattore alla cultura del Venerdì di Repubblica. Attualmente collabora all’inserto Robinson di Repubblica, alle pagine culturali del Venerdì. Ha scritto Vivi da morire con Francesco Vitale (Bompiani, 2015), Giorni di mafia (Laterza, 2017), La notte della civetta (Zolfo,2020), Paolo Borsellino. Per amore della verità (Sperling&Kupfer, 2022), Il viaggio del camaleonte: Truman Capote in Sicilia (Le storie, 2023).

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