Evviva Sud. Nuovo numero 24: Itinera
di
Francesco Forlani
Come ogni anno, con salti mortali e piccoli miracoli tra amici, fresco di stampa il nuovo Sud esiste, su supporto cartaceo in una tiratura limitata e disponibile gratuitamente in edizione digitale insieme all’intera serie a questo indirizzo.
Per l’occasione vorrei proporre un pezzo su Venezia secondo me bellissimo di Mirco Salvadori e Giusy La Serissima, giunto in redazione quando ormai le macchine della tipografia già sfornavano i larghi fogli della rivista e che purtroppo non abbiamo potuto inserire in questo numero dedicato al senso del viaggio.
Buona lettura.
Venezia Sub Reale
Uno stravagante racconto di quotidiana reale assurdità
di Mirco Salvadori e Giusy La Serissima
Venezia è un pesce, scriveva ben ventiquattro anni or sono Tiziano Scarpa che in questo luogo di paura e delirio, come me vive. Qui però non siamo a bordo di una enorme decapottabile che sfreccia lungo il deserto verso Las Vegas, qui non usiamo droghe per alterare il nostro stato di coscienza, qui alterati ormai lo siamo stabilmente perché questa è Lagunaland, un PDP: Parco Divertimento per Poveri, una stazione di disservizio mangia e deponi i tuoi scarti ovunque, un gioco mortale al ‘vediamo se oggi riesco a salire sul vaporetto senza maledire i morti ai mille rintronati con zaino che gremiscono il carro bestiame galleggiante’, una sfida continua alla propria integrità psicologica, messa a rischio sei giorni su sette, dentro le anguste mura di un luogo che si trova sotto le Procuratorie di una che sarebbe anche la più bella Piazza del mondo, non fosse per loro: i foresti e per chi da sempre non sa governarli e governare questo sputo di isola, un tempo Regina dei Mari.
Mi chiamo Giusy, da oltre vent’anni e ancora non so ancora per quanto, faccio la commessa in un negozio di Piazza San Marco. Vendo ciarabatoe made in Ciaina per i turisti che non sa gnanca de esser al mondo. Questa è la storia della mia tragica vita a contatto con l’overturism o come casso se scrive!
Ho lasciato a Giusy l’onere della presentazione, sapevo ci teneva come qualsiasi local lagunare quando si tratta di parlare della propria città invasa. Io sono un semplice narratore che ogni tanto appare nelle pagine dei romanzi o dei racconti. Il mio è un mestiere per nulla redditizio ma decisamente soddisfacente dal punto di vista dello scambio, del dialogo. Ogni pagina che frequento, ogni pensiero con il quale vengo a contatto, è fonte di piacere perché mi permette di conoscere mondi nascosti, realtà altrimenti impossibili da scoprire e soprattutto, mette alla prova la mia pazienza perché lo assicuro, avere a che fare con Giusy chiamata Ea Serenissima, una casteana nata e tutt’ora residente in Cae dei Preti, un frammento del sestiere più popolare di Venezia, lì dove in tempi neanche tanto remoti, se per sbaglio ci passavi e non conoscevi nessuno del posto, ti chiedevano cosa ci facevi lì e dove stessi andando, è compito per nulla facile.
La storia comunque non può che raccontarla un veneziano vero, non quello che sta oltre il Ponte della Libertà che per fare il figo dice di essere figlio della Laguna e magari è nato ed abita nelle campagne vicine, quello che il sabato sera cala in città per gli addio al celibato con cinquanta sui consimili, tutti sventurati alcolisti e futuri disperati mariti ma anche mogli, inconsulti giovani che mai reciterebbero quella grottesca tragedia di vino da poche lire, urla, canti sguaiati, peni fluttuanti nell’aria e vuoto mentale, nella piazza del loro paese così devoto e pudico, un veneziano vero insisto, quello nato e ancora miracolosamente residente in centro storico, colui che si aggrappa con le unghie ai muri scrostati e contaminati dalla salsedine, pur di non finire a vivere in quelle piazze così devote, colui che va a formare quel numero in costante discesa che appare nei contatori di fine vita lagunare, posizionati in due farmacie del centro storico, unici luoghi nei quali trovare la chimica capace di calmare l’ansia da invasione costante. Un tempo esistevano le pause, qualche mese di pace, il silenzio! Ora è un continuo arrivo, senza sosta. Le strade sono intasate, non si cammina, si fa lo slalom tra trolley e gruppi sconfinati di invasori ai quali basta giungere in Piazza San Marco, convinti sia Piazza San Pietro, per vedere il Papa affacciarsi al balcone: questa l’ho sentita dalla Giusy ed è vita vera, reale, che il local veneziano tocca con mano ogni santo giorno.
No sta darme el foresto che se mette a far el paeadìn de Venessia! Ti vara se dovevo beccarme un naratore che me cava via l’aria. Come no ghe fusse già bastansa gente che me cava l’aria ogni santo giorno!
Insomma, lui vi ha già informato sul mio conto per cui non sto a dilungarmi. Molte però sono le cose che ignora perché il lavoro da commessa in Piazza, ha lo stesso valore che possiede quello di uno sceneggiatore di fama a Hollywood. Siamo tutti figli di Truman e la sostanza tossica nella quale ci immergiamo ogni santo giorno ci rende parimenti cinici e taglienti.
Quando, alle dieci del mattino inserisco la chiave nella serratura della porta che dovrà rimanere spalancata tutto il giorno e parte della notte, visto che qui si chiude alle undici, di notte dico, attorno a me prende vita un mondo che solo uno schermo cinematografico potrebbe ospitare e questa assurda e unica città sopportare.
Il rito è sempre lo stesso: apri, fai ordine, pulisci e togli la polvere dalle vetrine, rimpiazzi ciò che manca dagli scaffali e prima che giunga la piena umana che tutto spazza via, attendi il passaggio dei tuoi colleghi, persone che lavorano tutte nei negozi sotto le Procuratorie ma di cui non conosci il nome perché in questo far west serenissimo, ciò che conta sono i soprannomi.
L’elenco che segue conterrà molte parole in dialetto veneziano che non sto a tradurre, fate uno sforzo che tanto siete sempre in debito con noi, lo siete ogni santa volta che decidete di venire qui in visita andando ad ingrossare le fila del turistame, quello mordi e poi fuggi perché: Venezia è bella ma non ci vivrei… aeora perché casso ti ghe vien?! Testa da battipai che no ti xe altro!
Quello che segue è un elenco parziale della fauna che incontro ogni mattina che il Santissimo ci porge in dono e sempre o quasi sempre, sia lodato.
Punto e virgoa. Nane per gli intimi. Raccoglitore seriale di inutili scarti altrui che andava a cercare nei cestini della spazzatura della Piazza. Da sempre veste il suo metro e forse neanche cinquanta con ricercata sapienza, usando anelli in numero spropositato e foulard anche e soprattutto annodati alla tracolla dell’immancabile borsello. Dopo aver beccato una multa salata per furto di monnezza, si è riciclato come cantante/ballerino ma non a richiesta, nel senso che è lui a chiedere un euro formulando a chiunque lavori in zona, ambulanti in primis, la domanda: ti me da un euro se canto e baeo? Dileggiato via social ma anche amato dai più, è odiato dai “bangla”, la nuova dinastia di ambulanti che pian piano sta soppiantando i local: una stirpe con storia ultra decennale alle spalle che ha le sue radici nei banchetti che coprono la Riva degli Schiavoni e li ha resi benestanti, grazie alla vendita di soffocante paccottiglia veneziana made in China.
Tacchetti. Un tempo commessa in carne e, dopo miracolosa dieta dimagrante, agile camminatrice che puntualmente e con uno sciocco sorriso stampato sul viso, va ad aprire il negozio quando ancora il silenzio regna lungo le Procuratorie. Ecco che ea riva, senti dire dai colleghi riuniti per la colazione al Caffé Quadri e lo capisci dal rumore assordante prodotto dai quei tacchi (da qui il soprannome), indossati dopo la miracolosa dieta dimagrante e mai più abbandonati.
Uomo Colonna o Uomo Zucca. Lui è un commesso che, dopo aver aperto il negozio, esce, si appoggia ad una colonna delle Procuratorie e lì ci passa la giornata, con i suoi bei completi immancabilmente color giallo zucca.
Cultura Italiana. Cultura italiana è il collega del negozio di fianco al mio che dispone di un alto grado di scolarizzazione e conseguente cultura. I suoi discorsi, che immancabilmente finiscono in furiose discussioni con il Ragazzo Cavallo, così chiamato per la sua non eccessiva bellezza dei lineamenti del viso, vertono esclusivamente sullo sport, la figa e la politica, segnatamente di destra, motivo valido per far infuriare il Ragazzo Cavallo, di vedute politiche opposte.
Matrix. Alto quasi due metri, sempre fasciato in un lungo trench di pelle nera, indossa stivali texani di coccodrillo e cravatte fluo, utili per le giornate di nebbia che qui chiamiamo caigo fisso. Solitamente si accompagna a Lupin, altro esemplare della fauna di Piazza San Marco, chiamato così perché veste esattamente come il ladro del manga creato da Monkey Punch.
Il Dottor Pometti, soprannome dovuto alla sua precedente attività di fruttivendolo in quel dell’Isola dee Foche, così noi veneziani chiamiamo l’isola della Giudecca, ed ora magazziniere di una storica bottega della Piazza, specializzata in vendita di oggetti votati all’assoluto cattivo gusto, tipo stole di volpe immancabilmente sintetiche e altamente infiammabili. Il Dottor Pometti ha una qualità indiscutibile, sprizza simpatia e ironia da ogni poro, non per nulla è il mio compagno preferito nelle pause caffè, quando ce lo permettono.
Signora La Nutria. La Signora La Nutria è una commerciante che assomiglia incredibilmente ad una nutria. Stazza notevole, il modo di procedere e il colore dei capelli che ben si avvicina alla sfumatura del mantello di questo mammifero. Ricordo ancora il giorno nel quale giunse in negozio una giovane nuova commessa, per farla adattare senza traumi all’ambientino di lavoro della Piazza, iniziai a spiegarle chi erano i vari personaggi che si aggiravano nei paraggi e che ben presto avrebbe conosciuto, compresa La Signora La Nutria. Il MOSE ancora non era stato manco pensato per cui, nella stagione autunnale, l’acqua alta la faceva da padrona. Un po’ come ora quando il più delle volte non lo alzano per i troppi costi da affrontare, inaugurando così il massimo divertimento che un turista può sperimentare in questa Disneyland lagunare: la corsa a piedi nudi nell’acqua che vede una concentrazione di coliformi manco riscontrabile nelle fogne di Parigi. Un mattino particolarmente ventoso e con molta pioggia che cadeva costantemente, la Signora La Nutria si palesò senza stivali di gomma, ai confini tra la terra asciutta e l’entrata sommersa del suo negozio. La giovane e altruista commessa la vide e iniziò a gridarle: ATTENDA SIGNORA LA NUTRIA! PRENDO UN PAIO DI STIVALI E GLIELI PORTO! NON SI MUOVA SIGNORA LA NUTRIA! Non mi sono più palesata con la Signora La Nutria che tutt’ora continua a cercarmi per avere delle spiegazioni.
L’Ispettore Gadget. L’Ispettore Gadget possedeva il dono dell’allungamento degli arti e delle parti mobili del corpo, collo compreso. Ricordo quando passava, ho ancora presente il movimento del collo che permetteva alla testa di girarsi verso il negozio mentre lui continuava a camminare ma, cosa eccezionale, si allungava man mano che il passo lo allontanava dall’obbiettivo che, per i duri di comprendonio, ero io. Ora è molto che non lo si vede in zona, dicono sia andato ad allevare finti pesci rossi affogati nei fermaporta di puro cristallo made in Taiwan.
Ciò che avete letto, lo si nota, è scritto al presente perché al presente è stato vissuto. Il narratore, diversamente dall’autore che il racconto lo scrive in prima persona, sopravvive. Noi narriamo in eterno, la nostra scadenza dipende solo dalle capacità di scrittura dell’autore che, con il tempo, possono andare a scemare o improvvisamente scomparire, come in questo caso.
Quando successe, Venezia contava ormai neanche 500 abitanti e quasi tutti sfollati dal Centro Storico all’Isola del Lido. Le continue ondate turistiche erano via via scomparse, trasformandosi in una definitiva invasione che andava a colpire i residenti lasciando dietro di sé macerie mentali e vittime sacrificate sull’altare del malessere psichico. Alcuni local si erano organizzati formando piccoli gruppi di assalto che agivano nella clandestinità: usavano l’AI inserendosi nei circuiti turistici che proponevano la città lagunare anche e soprattutto fuori stagione, quando la stagione ormai non era più un periodo limitato di tempo ma durava 365 giorni all’anno. Riuscivano anche ad impressionare, con i loro terribili ed estremamente verosimili video decisamente splatter, qualche turista in procinto di scegliere la città lagunare come meta ma: le pantegane che azzannavano alla gola il viandante sperduto tra calli e campielli, il veneziano ormai alla deriva mentale che girava con l’ascia a caccia di foresti, il cuoco cinese che cucinava gatti importati dall’estremo oriente, il buttadentro rumeno che spezzava le braccia al turista indeciso se entrare o meno, convincendolo sbrigativamente ad oltrepassare la soglia del ristorante, il bagarino che vendeva i biglietti per l’accesso al Campanile di San Marco, minacciando con una lama puntata alla carotide il malcapitato portatore di zainetto, le montagne di spazzatura abbandonata ovunque, che copriva fino al polpaccio gli sfortunati viandanti giornalieri, nulla di tutto questo fermava la maggioranza di umani sciamanti da ogni parte del globo a raggiungere questa città unica al mondo.
Xe drio piover che Dio ea manda da oltre un mese! Già nassemo coa artrosi ma de sto passo ne saltarà fora anche e branchie! Ciò Luisa, i ga speso miliardi par el MOSE, i se ne ga messo in berta altrettanti coe bustaree, i ga devastà quea po’ po’ de beessa che gera e dighe e tutto el paesaggio intorno, al Lido digo ma, miga i ga pensà che sta roba del climat ceng podeva cambiar tuto. Desso l’acqua no entra più in casa dai gatoi o dal cesso no, ea riva dai copi ormai sfondai da quee po’ po’ de naranse che casca a duxento chimoetri al’ora dal cieo, giasso assassin, grandine che massa!
Ne sono certa, quando il narratore troverà le mie memorie, avrà un moto di stizza perché non ho tradotto questo passaggio in italiano ma, tesoro mio che no ti xe altro! Tu non hai la minima idea di cosa sta succedendo, di cosa stiamo vivendo. È un evento talmente enorme e assurdo, che perder tempo a tradurre ciò che si può ben dedurre tra una parola e l’altra, sarebbe solo una perdita di tempo.
Ormai l’acqua ha invaso perennemente i locali e gli appartamenti al livello della strada, gli sfollati non si contano e non li conta neanche una Giunta Comunale che incredibilmente ancora impera incontrastata con il suo inossidabile Sindaco, colui che ha deciso di costruire il nuovo Comune di Venezia oltre il Ponte della Libertà, al centro del suo Bosco dello Sport inaugurato ormai molti anni or sono. Quest’isola ormai assomiglia al relitto di un decrepito veliero in preda delle correnti, le vele lacerate dalle troppe tempeste superate, lo scafo con il legno marcito e l’acqua che da ogni parte sgorga, portando con sé la decomposizione, la corruzione, la dissoluzione di questa mia povera città nella quale ho avuto la fortuna di nascere e molto probabilmente di morire.
Ovviamente il lavoro l’ho perduto da molto tempo, la Piazza è stata la prima ad assaggiare il gelido impatto dei chicchi di grandine delle dimensioni di un arancio che cadevano dal cielo. Passavo ore in negozio senza che nessuno entrasse, tutti impazzivano per la ‘new liquid xeperience’, come la chiamava un’agenzia turistica perspicace e in grado di capire quando fosse giunto il momento di accelerare sull’inventiva, in fin dei conti era tutta una questione di sopravvivenza, possibile a patto di comprendere cosa di assurdo si poteva inventare, continuando ad usare una città che pian piano stava sprofondando nel mare, di pioggia e di acqua salata.
Giusy La Serissima si aggrappava ormai al ricordo, alle mille storie vissute e a come si era, tutto sommato, divertita con le migliaia di foresti che erano passati nel suo negozio, ora sommerso fino al soffitto. Le bastava fermarsi un momento e le visioni partivano:
la vecchietta sudamericana dormiente e abbandonata tutto il giorno sulla sedia vicino alla vetrina e recuperata solo all’orario di chiusura.
Come mai riusciamo a vendere le borse di coccodrillo Hermès a soli 35 Euro? Il proprietario ha un allevamento di alligatori vicino a Spinea, nella campagna veneta e sa come, questo abbatte i costi.
Ma se lei che è così, mi scusi sa, bassa di statura. Ma ci chiediamo, quando sale l’acqua oltre il metro e quaranta, come fa?! Beh, noi qui abbiamo il pronto intervento pompieri subacquei. Più di una volta mi hanno ripescato.
Il TAX FREE compilato sul foglietto del bloc notes scrivendo tipo: acquisto ornitorinco acquaticus imbalsamato, usando il timbro scordato dal tecnico del condizionatore e informando il cliente che poteva ottenere il rimborso solo in aereoporto.
Salire sopra lo sgabello e con un fischietto, mettere in fila un gruppo di coreani ubbidienti e farli entrare con ordine.
Orario di chiusura passato da quindici minuti, pavimento lavato, moccio e secchio bene in vista, scopa messa di traverso all’entrata. Mi scusi sta chiudendo? Vorrei dare un’occhiata, dice la turista da crociera Vedi l’Italia In Un Giorno E Mezzo Per 128 Euro Bibite Comprese, mentre sposta la scopa entrando. No no tranquilla, sa io faccio la notte come le infermiere, se guarda bene fuori, sullo stipite, può notare la H di Hospital.
Tutte le t-shirts sono Taglie Uniche, c’è scritto in un cartello enorme vicino allo scaffale espositivo. Mi scusi avrebbe una media?
Camerini terra di nessuno, scambiati per: cessi pubblici dove fare i propri bisogni, nei quali lasciarsi andare a rapporti di sesso o tagliarsi le braccia in preda ad astinenza da droghe e via andare.
Panini, bibite, gelati, tutti consumati dentro il negozio: sa come, fuori fa troppo caldo.
Il mirror ghosting da noi chiamato: entrano, si specchiano, si pettinano, si truccano, si girano e se ne vanno.
Mi scusi ma. A che ora chiude Venezia?
Mi scusi, dove posso prendere un taxi ma non acqueo, costa troppo! Un taxi di quelli normali, con le ruote.
Mi scusi ma qui esistono case dove si vive?
Mi scusi ma per fare la spesa voi andate con le moto d’acqua?
Mi scusi, per il Ponte Vecchio da che parte?
Mi scusi, per Piazza San Pietro sono giusta?
Mi scusi, dove possiamo mangiare bene pesce ma fresco, spendendo poco? Guardi, giri a sinistra uscendo, avanti troverà un ponte e oltre il ponte un cartello di indicazione con su scritto Betania. Ecco, segua l’indicazione e poco più avanti lo troverà.
Mi scusi, è tutto il giorno che camminiamo, non è che avreste un bagno? Abbiamo provato ad andare in qualche bar ma ci chiedono di consumare almeno un caffè e costa un euro e cinquanta centesimi e poi il caffè lo bevo solo io, i miei quattro figli, mio marito e mia suocera non lo bevono mica.
Sono decine e decine gli episodi che esplodono di assurdo, sopra questo palco galleggiante che sta lentamente affondando. Affollano continuamente i pensieri di Giusy mentre posa la penna, chiude il quaderno e lo ripone nel cassetto sotto la cassa. Fuori tempesta come al solito, indossa la tuta stagna, il casco ed esce chiudendo la porta a chiave. La Serenissima non tornerà più in quel piccolo teatro nel quale quotidianamente andava in scena la commedia dell’assurdo, Giusy non tornerà più neanche in Calle dei Preti a Castello, uno dei sestieri più popolari di Venezia.
VENENZIA SUBREALE è il nome che i visitatori hanno stampato sulle tute da sub. Ora di mestiere faccio la guida subacquea, anche se mi manca il poter narrare.
Il turismo non ha mai smesso di frequentare questo luogo, neanche dopo che il mare se lo inghiottì. Panico, commozione, ricordo delle vittime e poi, pian piano, il ritorno alla normalità della follia turistica e subreale, con continue immersioni alla scoperta di una Venezia altra, sommersa, silenziosa, ancor più immobile di quanto non fosse nelle notti di, rara ultimamente, fittissima nebbia.
La Piazza ovviamente è la più gettonata e il tour comprende la visita della Basilica e tutto il perimetro delle Procuratorie. È proprio in uno di questo tour che mi sono imbattuto nello storico negozio della Giusy. La porta con il tempo si era aperta ed era preda delle correnti marine che seguiva muovendosi sinuosamente come la pinna di una affascinante sirena. Sono entrato in punta di pinne in questo sacrario del ricordo nel quale ancora qualche borsa Hermés di alligatore allevato a Spinea, galleggiava silenziosa mostrando il suo interno di cartone sventrato dall’azione dell’acqua. Mi sono guardato in giro notando subito quell’unico cassetto ancora chiuso. Il suo diario era ancora lì, ben racchiuso in un sacchetto stagno. Mentre commosso mi avviavo verso l’uscita, ho sentito uno strattone alla corda che mi teneva unito al resto dei subacquei che accompagno nella visita. Girandomi vedo il più intraprendente di loro porgermi la lavagna data in dotazione nel caso di emergenza. Mi fa cenno di leggere indicando qualcosa fuori dalla porta d’entrata: mi scusi, c’è scritto, è quello il balcone dal quale si affacciava il Papa?