Ana Gorría: un’altra lingua, un altro sogno
Di Anna Papa
Procedere a cancellare (male) parti di uno dei primi testi di Nostalgia dell’azione è un gioco che serve a isolare ed evidenziare le parole che con più forza legano il lavoro di Ana Gorría a quello di Maya Deren: gesto, fiore, mano, ombra, chiave, coltello.
Leggere Ana Gorría provando a far riaffiorare le immagini dei film di Maya Deren non è difficile, il meccanismo è quasi automatico, spesso il referente è particolarmente esplicito; eppure non basta e non è scontato.
Trovare parole attraverso cui dire (anche) le immagini mute di Maya Deren richiede attenzione. Ana Gorría è capace di un equilibrio che non vacilla, la parola non eccede, non straborda, non è mai troppa o di troppo. Lo stesso vale per le illustrazioni di Marta Azparren che, attraverso il nero e l’uso di segni grafici, sembrano fissare ricordi e impressioni di immagini: del detto e del rappresentato solo qualcosa è dicibile/evidente, ed è sicuramente meno di quello che si lascia percepire. Mi è sembrato, insomma, che costruendo il libro si sia lavorato a un qualcosa che accade attorno alla soglia, in momenti di limbo tra il visibile e l’invisibile, l’esplicito e il percepito, elementi che rappresentano i punti centrali del lavoro di Maya Deren.
Nel libro non ci sono titoli che titolano, non didascalie che spiegano, non narrazioni che narrano, niente words, words, words (1), la lettura è spesso una caduta vertiginosa sulla ferita bianca della pagina, in cui nessuna storia – nessuna trama – si costruisce tra le parole, le illustrazioni e le immagini evocate, ma tutto serve alla costruzione di un nondefinibile che accade e si avvicina per frammenti.
I corpi di donne, gli scenari riconoscibili, l’esperienza quotidiana e domestica, i sogni e i loop, il rito, le spiagge, gli oggetti intorno a cui ruotano le immagini di Maya Deren, riaffiorano nelle parole e nei disegni di Nostalgia dell’azione, curato nella sua veste italiana da Beatrice Seligardi e Lorenzo Mari per Aguaplano. Nel libro la parola non sovrasta l’immagine, anzi, in questa cade a distruggere e si ri-crea; entrambe necessitano l’una dell’altra, senza alcuna sudditanza, per girare intorno a qualcosa che inizia ad accadere, come può, sul bianco oscuro del foglio, nella costante ricerca di una lingua nuova.
Se il cinema di Maya Deren fa spesso della danza, della fuga, del gesto, quindi del movimento, il punto centrale, le parole di Ana Gorría sembrerebbero, invece, analizzare i micromovimenti dell’immobilità, come un lavorio vagamente percepibile in qualcosa che sta fermo: la pagina. Se le immagini filmiche di Maya Deren lavorano sulla percezione del movimento e quindi dell’azione, le parole di Ana Gorría e le illustrazioni Marta Azparren – ferme su pagina – non possono far altro che lavorare sulla nostalgia di quell’azione. È come se l’immagine filmica fosse la scena primaria che manca e il libro, invece, l’esperienza di quella perdita dicibile solo per accenni: l’infinito ha sulla pagina un punto.
1) «Artistic freedom means that the amateur film-maker is never forced to sacrifice visual drama and beauty to a stream of words, words, words, words, to the relentless activity and explanations of a plot, or to the display of a star or a sponsor’s product», Amateur Versus Professional, Maya Deren.
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Ana Gorría, Nostalgia dell’azione, (Aguaplano 2023), a cura di Beatrice Seligardi e Lorenzo Mari, con le illustrazioni di Marta Azparren.