La fuga di Anna
Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mattia Corrente, La fuga di Anna, Sellerio, 2022
La fuga di Anna ha come protagonisti personaggi biograficamente lontani dalla tua età. Come mai questa scelta, al tuo esordio?
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto? Se sulla soglia della fine ci si infatuasse della libertà, se tirate le somme ci si accorgesse che per una vita intera non si è davvero stati chi si voleva essere e si trovasse il coraggio di rincominciare? Il coraggio di cambiare, quando si è più saggi e consapevoli è un atto d’indescrivibile bellezza. Anche se è troppo tardi.
Il tuo è un romanzo che parla più che di una fuga, di una ricerca. Di cosa, esattamente?
Nel romanzo la fuga diventa una necessità per i personaggi: fuggire per non restare dove non si è mai stati bene. Fuggire per ricercare la libertà repressa per una vita intera. Una libertà che se arriva ti condanna allo spaesamento. Chi siamo davvero senza un destino dettato anche dalle scelte altrui? E che peso ha la libertà nelle vite di chi ci vuole bene? Ricercare la libertà può rivelarsi un atto di violenza per noi e per chi abbiamo a fianco. Egoisti o altruisti nella scelta o non scelta della libertà, comunque restiamo imperdonabili.
Metti in discussione, senza sconti, ruoli sociali all’apparenza indiscutibili: l’essere madri, padri, figli…
Viviamo in una dimensione sociale che ci vuole premeditati, in cui i ruoli familiari sono pretese e non sempre scelte libere. La maternità un destino biologico ineluttabile da portare a compimento, la paternità un dovere per garantire la prosecuzione della specie. Ma i figli possono sconfinare, infrangere i ruoli attraverso la disobbedienza. E rompere gli schemi. Il romanzo ce lo racconta.
Forse il tema è quello del rimpianto, del rimorso, della frustrazione per una vita che poteva essere “altra” da quella vissuta?
È un romanzo in cui le vite non vissute, nell’odissea al contrario del protagonista in cerca della moglie scomparsa, vengono disseppellite. Una estumulazione dei sé mancati che non porta rimorsi e frustrazione, ma consapevolezza: nessuno può liberarsi dalla versione di sé che ha scelto. O non ha scelto. Eppure c’è una speranza, dopo la scoperta di questa verità incontrovertibile: provare a fuggire con la versione di noi più coraggiosa e pericolosa di tutte, quando gli altri non ci fanno più paura, quando la vita che abbiamo davanti è più corta di quella che si siamo lasciati alle spalle.
(precedentemente pubblicato su Cooperazione, nel 2022)