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Non fare come Cesare Pavese

di Simone Redaelli

I. Il nonno mi fa promettere e poi crepa.

Promettimelo, dimmelo, devi dirmelo, forza, è l’unica, dico l’unica cosa che ti chiedo, dimmelo che non farai come lui, non fare assolutamente come lui, l’uomo è contagioso se letto in tenera età, e tu sei poco più che un bambino, l’uomo, l’uomo scrive stupende poesie (prendi, per esempio, ma non leggerle, promettimi di non leggerle, prendile ad esempio, ma non leggerle, hai capito, sei un bravo giovanotto, prendi ad esempio La terra e la morte) l’uomo scrive stupende poesie ma è anche meschino, e autocommiserante, l’uomo ride di se stesso e ne soffre e ne fa letteratura, e allora tu impara queste mie parole e stampatele bene in testa, devi promettermi che non farai come Cesare Pavese, e questo è tutto, è il mio testamento, è davvero tutto e io lo lascio a te, che ancora non sai cosa vuol dire amare, e amerai di certo come tutti gli altri poeti, come tutti gli altri romanzieri, e saggisti, ma mai, dico mai come lui, che ha scritto cose stupende, che ha scritto le più stupende cose sull’amore, che nulla sapeva sull’amore, che l’ha desiderato, che l’ha capito, che non l’ha vissuto, e te lo dico qui, in questo giardino che odora di uve, di nespole e di fichi, che pende sul Verbano, che brilla su Arona, te lo dico qui perché è il mio solo testamento, e tu sei il mio solo nipote, e questo è tutto, è davvero tutto, hai capito?

 

II. Anni miei di studio e di matto approfondimento letterario del concetto di amore (il che significa, letteralmente, imparare dai classici come un uomo descrive una donna, quale donna lo attrae e perché, esattamente che cosa sentono un ragazzo, un adulto e un vecchio mentre si innamorano, mentre amano, mentre perdono la donna amata, cosa significa disperarsi per amore, desiderare la fine, e poi ancora capire senza sentire, imparare senza provare, sapere nel profondo del cuore che amare non significa emozionarsi leggendo ciò che amore è e poi andare nel mondo, ma significa commuoversi esteticamente leggendo ciò che l’amore dovrebbe essere e poi leggere ancora, e fare di questa condotta una filosofia di vita, e di questa filosofia di vita una condotta, e restare nei libri, e non andare nel mondo.)

 

III. Rivoluzione (parlando e basta, ovviamente, con me stesso, ovvero leggendomi nella mente)

 Ho trovato la soluzione.

A cosa?

Ho risolto l’Amore.

Cioè?

Martin Amis.

E chi è?

L’inglese post-moderno che sa tutto sulle donne.

Che cosa sa sulle donne?

C’è questo auto-romanzo, La storia da dentro, nel quale Martin mischia stralci della sua biografia a finzione pura, intervallando momenti romanzati del suo vissuto a veri e propri consigli di scrittura.

Come ci aiuta?

Martin ci insegna come si fa a introdurre una persona reale, nella fattispecie una donna amata, in un romanzo, cioè come si trasforma un essere umano in un personaggio di finzione.

Okay, non ci aiuta. Noi abbiamo bisogno di trasformare un personaggio di finzione, nella fattispecie una donna amata, in una persona reale.

Esatto.

Sbagliato.

Okay, dobbiamo solo fare esattamente quello che Martin fa nel suo libro:

Adesso immagina per un istante che la stessa Phoebe sia immaginaria: ispirata alla vita solo molto vagamente, un personaggio inventato in un romanzo inventato. Mentre mi accingo a modellarla, come procederei?

 

IV. Tanto vale (come direbbe Martin Amis) cominciare dal primo appuntamento.

Era il 2016.

Simone incontrò Giulia, anzi no la stregò, anzi no le mandò in pezzi quella sua ordinaria vita, proprio sotto un ordinario cielo di un ordinario settembre.

A Milano, infatti, c’era il vento: il vento si agitò in un mulinello, il mulinello (sullo sfondo il campetto da basket di viale Argonne) turbinò in una colonna di foglie secche, brunastre, e Giulia, seduta sul muretto (di fronte a lei il campetto da basket di viale Argonne) non vedeva nulla perché assorta ma sentì un fruscio e tornò come alla realtà.

Guardavo Giulia che guardava il mulinello. Non assomigliava a nessuna donna che avessi mai letto.

Del tutto smarrito, Simone non ci capì nulla, allora aspettò. Aspettò che il mulinello cessasse: e poi Giulia, finalmente, si accorse di lui.

Simone invece le guardò i capelli per non fissarla negli occhi.

Bene: non vedevo in quei capelli nessun colore che avessi conosciuto leggendo. Non erano, per esempio, con le parole di Martin Amis:

 

“biondo rame […] recentemente e professionalmente pettinati.”

 

“Oh, penserai che sono matta” disse Giulia d’un tratto.

“Oh no, solo non riesco a credere che tu sia reale.”

“Beh, ti perdono se esci con me.”

“Lo fai spesso? Intendo: lo fai spesso di osservare mulinelli d’aria per poi chiedere cose così? Agli sconosciuti che hanno letto mille volte queste cose nei libri, intendo.”

A Milano c’era il vento, ho detto: il vento si alzò di nuovo, passeggiò sulla ghiaia e sulle polveri del parchetto di viale Argonne, si arrampicò sulle gambe di Giulia e provocò un fruscio: allora Simone abbassò lo sguardo sulla fonte del fruscio e vide svolazzare le pagine di un libro, il libro che Giulia teneva in grembo.

“No, non lo faccio spesso, ma sì, in effetti hai ragione, è esattamente quello che ha appena fatto Martin Amis con Phoebe Phelps nel 1976 da qualche parte nei pressi di Notting Hill Gate, a Londra”, rispose Giulia chiudendo il libro, “e allora ho pensato che se a due personaggi si assegnano delle parti, beh, essi dovrebbero comportarsi bene, non dovrebbero mai discostarsi dalla parte loro assegnata, per nessuna ragione al mondo. E se i due personaggi sono destinati a incontrarsi, a piacersi, ad amarsi e infine, per volontà di chi scrive, a essere felici almeno per una parte significativa della loro vita, allora forse gli esseri umani dovrebbero comportarsi come dei personaggi di finzione, dovrebbero cioè incontrarsi, piacersi e amarsi. Dovrebbero, in altre parole, essere felici.”

“Credo di amarti già… Ma come faccio a sapere che sei reale?”

“Beh, non è forse giunto il momento di leggere un po’ di Pavese?”

Il vento, ripetiamolo: una terza folata venne giù per via Gaspare Aselli, si infilò sotto i vestiti di Simone e lo fece rabbrividire, al punto che Simone fu costretto a stringersi le braccia al petto nel tentativo di farsi caldo e allora le sue mani ricordarono di aver stretto fra i palmi, fino a quel momento, un libro, un libro di poesie.

 

V. Oggi leggo Pavese e d’un tratto mi torna qualcosa alla memoria, e guardo a questo ricordo come a qualcosa di lontano, e nel ricordo sono sul lungolago di Arona, e l’acqua brilla e mi acceca, allora distolgo lo sguardo e lo butto verso l’alto, verso le colline, e come nel centro di una lente messa bene a fuoco c’è mio nonno, è in giardino, è seduto sul ceppo di un fico e sorride a mia nonna, lei è in piedi, lui ha un libro di poesie fra le mani e sorride, e io sento l’odore dell’uva che mi brucia la gola esattamente come quando leggo dell’amore nei libri e vivo una sorta di estasi contemplativa, ma nel ricordo succede anche qualcos’altro, cioè mi viene da lacrimare, non oso ancora dire sia un pianto perché non ho ancora smesso di capire senza sentire, ma ci sono vicino, non ho ancora smesso di capire senza sentire ma ci sono davvero vicino, e questo ricordo è un inizio, perché all’improvviso non ho più voglia di leggere nulla, e mi dimentico di come sono fatte le donne nei libri, e cosa cercano gli uomini nelle donne nei libri, e voglio solo leggere Cesare Pavese che è letto da mio nonno davanti a mia nonna, mentre lui le sorride, e allora all’improvviso esco da questo ricordo e davanti a me c’è Giulia che mi guarda, che mi guarda come si guarda qualcuno che sta piangendo, e finalmente sento di aver capito, perché in lei rivedo mia nonna, e in qualche modo sento che potremo andare a cena insieme, che potremo fare quello che fanno tutti gli altri, cioè piacerci ed amarci, con semplicità, ed essere felici, almeno per un po’, come ha detto lei, esattamente come ha detto lei, e questo, nonno, è il mio testamento, ed è tutto, è davvero tutto, ma penso che tu lo sappia già.

 

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3 Commenti

  1. Per Simone.

    “Non fare come Cesare Pavese
    e i suoi occhi muti dagli occhiali rotondi
    a cui venne la Morte e li ebbe
    solo a sancire una morte profonda,
    già vissuta, già realizzata.

    Non fare delle colline intime,
    dei viali, della tua ragazza,
    passi di guerra o possesso,
    come la sua anima
    senza lune d’amore,
    come la solitudine della sua stanza,
    dove non valeva esser solo
    per essere sempre più solo.

    Non fare come Cesare Pavese
    della rassegnazione
    una ragione di canto.
    Non fare ragione del gorgo,
    o dell’assurdità del vizio,
    perché non è assurdo.

    Non fare come Cesare Pavese,
    non dire:
    non scriverò più,
    perché un’altra Morte
    è stata decisa per te sulla terra,
    tra uomini ciechi.”

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