L’intellettuale di fronte a casa o Gaza

Di Adele Bardazzi

L’intellettuale, se è ciò che sono, è colui che parla in terza persona singolare, maschile. L’intellettuale che scrive e che voi state leggendo – perché l’intellettuale si rivolge a un voi, non un tu (e sto dicendo questo indossando il mantellino in tweed del critico letterario ossessionato dall’apostrofe) – un voi presente in tutta la sua bulimia semantica. In ogni caso l’intellettuale che scrive pensando a voi che leggerete le sue parole si trova nell’ultimo giorno dell’anno 2023 su una freccia diretto a nord del paese in cui è nato ma dove non vive più – la qual cosa viene capita pure da Renzi. L’intellettuale è sempre straniero. Questo è vero, fino a quando, tenta di fare un esercizio, ormai assodato: una critica rivolta verso l’esterno ma completamente ripiegata verso l’interno; e proprio lì, esattamente in quel momento, perde la sua posizione di straniero al trono – si chiarisca lo statuto – e ne diventa parte. Parte del voi, un noi che è sempre solo io. In questo caso, un io, o dio, dell’Occidente. In questo paese che diventa così a pochi chilometri dalla capitale del nord, tutto l’Occidente, vuole pensare che scriverà ciò che non gli è stato permesso e nel farlo, diventerà donna, ancora una volta, l’occidente ritornerà paese, il paese Italia, e così via.

È ormai noto l’atteggiamento di chi si fa chiamare intellettuale di fronte all’oggetto osservato: scriverne da intellettuale. Ovvero, reclamando una libertà e indipendenza del pensiero che il proprio linguaggio comunicherà all’altro, anzi a voi. Voi che 1. non sapete osservare tale oggetto come l’intellettuale o 2. non rischiate come l’intellettuale ha il coraggio di fare investito dalla sua responsabilità tutta sentita fino ai calzini bucati perché poco si cura di alcune faccende quotidiane essendo preso da ben altre più urgenti. Ma cosa avviene se l’intellettuale non sa di cosa stia parlando? L’intellettuale non sa mai ciò di cui scrive, soprattutto potete esserne certi, se lo scrivere è rivolto a voi. Tuttavia, l’intellettuale ne scrive. Di cosa scrive oggi, nell’ultimo giorno dell’anno 2023 l’intellettuale? L’intellettuale scrive di ciò che è davanti a sé, ma a distanza di sicurezza. La distanza che lo divide dall’oggetto e che lo rende importante ma anche già storia. È come se fosse già a saldo: scontato del 40 per cento. Lo compriamo non tanto perché lo reputiamo di un certo valore, non è nemmeno di questa stagione, ma perché davanti a tale sconto ci sentiremmo in imbarazzo a non farlo. Per questo, l’intellettuale ritorna a cercare i post che sono ormai seppelliti sotto le prime settimane di chiacchiericcio sulla Palestina.

Dove è la Palestina? La Palestina è in sicurezza, là e, pure, qui accanto a me. La prima volta, ufficialmente, l’ha portata qui il mio capo di facoltà dell’università in cui lavoro insieme a tantissimi altri intellettuali che conoscono la questione 1. molto meglio dell’intellettuale o 2. molto peggio. Ma stanno tutti insieme. Perché anche l’intellettuale è sempre plurale soprattutto se responsabile e impegnato. Ritornando al capo di facoltà, il gruppo di intellettuali di cui vi sto raccontando ha ricevuto delle linee guida chiare e precise su come comportarsi in una serie di scenari ipotetici. Il comportamento dei corpi degli intellettuali in università, non troppo in forma e non solo perché sono le vacanze natalizie e si muovono più del solito, sono le parole – e questo il capo di facoltà lo sa molto bene. Ogni intellettuale che parlerà non potrà mangiare il panettone, né a prezzo pieno, né a sconto. Romperà il patto di sangue che ha firmato con la propria università. Tradirà parole come, per prendere un esempio, ‘genocidio’. L’intellettuale salva l’email sul desktop insieme a screenshot di tagli di capelli da farsi prima dell’ultimo giorno dell’anno 2023 perché in realtà i buchi nei calzini stanno bene insieme a un bob francese fresco di piega. L’intellettuale riceve tantissime email importanti e in alcune che non c’entrano niente con la questione di cui vi sta parlando legge: Shabbat shalòm. L’intellettuale non sa cosa fare perché 1. non sa niente 2. è sempre plurale 3. scrive sempre a voi 4. questo scenario non è stato menzionato dal capo di facoltà. L’intellettuale decide così di togliersi il mantello da critico letterario e mettersi il cappotto di alpaca da vero intellettuale e risponde all’email: Shabbat shalòm & Jumu’ah Mubārak. Come se si potesse non cadere nella trappola di a versus b. Lo fa in realtà perché non sa niente né di a né di b e questa è la scelta più sensata data la natura di a e b che in realtà conosce bene. L’intellettuale a cui non importa niente 1. di essere il più stupido 2. di essere il più furbo 2. del cappotto di Max Mara Icon 101801 color cammello 3. il destinatario dell’email sopramenzionata 4. il capo facoltà 5. voi – si sente meglio per qualche momento fino a quando non fa un po’ troppo caldo e si toglie il cappotto riappendendolo sul gancetto vicino alla scrivania vuota.

Adesso, chiedo: l’intellettuale sta scrivendo 1. al capo di facoltà 2. a voi 3. ai palestinesi 4. agli israeliani 5. all’Occidente 6. alla Noia che bella grassa ingombra tutto lo spazio del posto accanto per le intere due ore e mezzo prima del cambio a Verona. Perché l’intellettuale viaggia in treno da sempre ma oggi si lamenta dello spazio del silenzio che non viene più rispettato. Sono domande importanti, che riguardano tutti, quello spazio di silenzio dove i palestinesi sono in 3D – li abbiamo aggiunti noi a costo zero nella nostra casa su Spatial. In questo spazio ci sentiamo al sicuro, troviamo case a prezzi stracciati e siamo tutti uguali davanti alla morte come in ogni storia che si rispetti. L’intellettuale è ormai arrivato alla stazione di cambio prima dell’arrivo nella città del nord del suo paese, e di tutto l’occidente, dove in bagno si cambierà (basterà rossetto e velluto) e si sente già soddisfatta in quanto è riuscita a non dire niente. L’intellettuale non dice niente, ma solo buon anno! e senza chiedere niente in cambio se non il pane quotidiano che tiene lo spirito saldo e fa volare qualsiasi atto di critica in alto di fronte a casa o Gaza.

 

 

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3 Commenti

    • In molte università europee è vietato manifestare solidarietà con la Palestina, e questo finisce per favorire una infelicissima sovrapposizione tra diritto alla pace e all’autodeterminazione degli ebrei e ultra-nazionalismo sionista di Netanyahu. Chi lavora in una istituzione accademica in nord Europa deve fare attenzione a come interrogarsi pubblicamente sulla guerra, da qui l’indirection di questo contributo, che certo riguarda più lo stallo della giovane intellettuale che la lettura del conflitto. È meglio il silenzio? Io non lo credo affatto, anzi, interrogarsi pubblicamente e far emergere complessità mi pare quanto mai necessario.

  1. Grazie del chiarimento Renata. In effetti ne ho anche parlato con amici italiani che lavorano in istituzioni universitarie, e vi sono direttive esplicite dai rettori su cosa non si deve dire, ecc. Forme di prudenza accademica che vanno fino alla censura bella e buona. Ho comunque un appunto da fare all’autore dell’articolo: il suo pezzo lo trovo assai “cifrato”, ed è un peccato, perché tocca un tema importante, quanto mai sentito nella situazione attuale. Nonostante le comprensibili difese fortiniane dello stile oscuro, io credo che più i temi sono di ordine politico, più si dovrebbe “rischiare” la parola chiara. Ma questo è un altro tema. E capisco che non tutti si sia d’accordo su questo punto.

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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