Marabecca
di Daniela Sessa
In “Marabbecca”, ultimo romanzo di Viola Di Grado, persino la copertina sa di naufragio. E la donna di spalle con la testa spettinata dentro una gabbia è un relitto ammassato dall’onda. Della barca nemmeno una traccia, tanto è il relitto che ci interessa. Ci interessa quello che siamo, frantume. Si passa tra le cose della vita, facendosi il più delle volte male, e i pezzetti da ricomporre prima tagliano e poi formano un enigma sgangherato, superstite. Chi se non Athanasius Kircher poteva provare a decifrarlo? Non quell’Athanasius Kircher: i geroglifici egizi sono ben più semplice cosa dell’imbroglio della mente. Ma Athanasius Kircher, il pappagallo e la sua unica frase “ti amo, ti amo, ti amoooo“. L’amore è dunque l’enigma. Per tutti e per sempre. Anche per chi scrive. Occorre saperlo raccontare, l’amore. L’amore, con tutto il corredo di violenza o di passione altrimenti rischia di sgusciare nel già detto, già pensato, già…
Solo che “già” non esiste nel mondo di Viola Di Grado, cui appartiene invece il “giammai” ossia il dono della sorpresa fino al limite dello sconcerto. Sconcerto per l’originalità dell’invenzione, per la sorprendente declinazione dei personaggi, per il viaggio in un realtà talmente dura da esigere il surreale, per la meraviglia di una scrittura che si fa lama. Lucida e pronta a ferire. Fa tagli netti e corti, la frase una sincope della mente prima che della scrittura, un bisturi le parole, chirurgia e poesia. Dalla pagina zampilla sangue rosso buio: se fosse possibile inventare un colore, sarebbe la monocromia della marabbecca. Il mostro femmina nascosto nei pozzi pronto a mangiare i bambini: questo racconta la fiaba popolare. Marabbecca e sugghiu sono creature orrende e misteriose del folclore siciliano: il sugghiu ha una forma ibrida di rettile antropomorfo e viene dal mare mentre della marabbecca non si sa l’aspetto. E’ una femmina d’ombra, il buio è il suo destino e il suo potere. Viola Di Grado sceglie lei nelle leggende della Sicilia, per tornare nella sua terra e tornarvi a suo modo, con una storia che fagocita l’epica dentro l’inconscio. Che “Marabbecca” abbia il respiro dell’epica, il lettore se ne accorge man mano, procedendo dentro una storia apparentemente lineare. Il lettore entra dentro un labirinto dove nulla è come appare, dove non capisce se la marabbecca è fuori dal pozzo o è lui a esserci finito dentro, dove crede di sapere che la Marabbecca è Angelica, la ventenne in festa tutta glitter e abitini fiorati, o Clotilde, la protagonista col braccio e il cuore rotti. Oppure la marabbecca è Catania, la città nera come la lava o la Sicilia, l’isola che imprigiona. In ogni caso non si esce indenni da questo romanzo in cui la scrittrice ritorna a casa e la racconta con ferocia e alto tasso di letterarietà. D’altronde, per chi vuole uscire indenne dalla letteratura, può accomodarsi altrove. Quando Viola Di Grado scrive, essere lacerati dalle sue storie è il minimo che può accadere. E va bene così. Perché Viola Di Grado sa lo scarto tra la trama e l’invenzione. La trama offre la storia di un amore tossico e violento, di un incidente, di una malattia, di un nuovo amore: Igor e Clotilde prima, poi Clotilde e Angelica. Ci sarebbe materia per un mucchio di talk sulla violenza di genere, sul patriarcato, sulla fluidità di genere, sulla famiglia. Ma tutto questo è infilato dentro una casa piena di uccelli, è agito da personaggi incredibili e precipita come spinto giù da una scala disegnata da Escher, quindi dentro l’inconscio. Laddove è finita tutta la letteratura dal ‘900 in poi. “Marabecca” rientra dentro questa tradizione (il lettore attento saprà scovare le ombre lunghe delle letture della scrittrice) con una voce originalissima, giocata tutta sull’inattendibilità, della storia e della scrittura. E’ Clotilde, è la sua voce a portare il narrato nel prima e nel mentre, da una casa all’altra, da un personaggio a un uccello. Dal dentro al fuori? Ecco un geroglifico davvero ostico anche per il buon Athanasius Kircher. Clotilde è la scrittura che segue e insegue la menzogna: del narratore, dei personaggi, dei luoghi. E’ la casa voliera, in cui l’accudimento coincide con il possesso e le ali non si spiegano mai davvero: il volo è un precipizio, da cui chi si salva, si salva male. Mentre Athanasius Kircher, incerto anch’esso sulle ali della verità e della menzogna, sacerdote del buio, continua a parlare la stessa frase. Che sia lui la marabbecca?