Da “Tok”
[Zest Edizioni sostenibili giovanissima casa editrice, propone pubblicazioni di poesia e saggi divulgativi che esplorano le connessioni tra umano e non-umano e propongono riflessioni sulle problematiche legate all’Antropocene. È costituita da due collane: I gradienti, dedicata alla poesia, e Ecotoni, dedicata alla saggistica. Al progetto editoriale appartengono anche i volumi della Rivista TELLŪS a cura di ZEST Letteratura sostenibile progetto divulgativo dell’Associazione We feel green. Presentiamo qui un estratto dal primo volume della collana poetica.]
di Gabriele Belletti
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tok tok tok tok tok tok Batte contro il vetro il ritmo di qualcosa, forse è solo un sogno che vaga nella stanza. tok tok tok tok tok Batte e ancora batte, – non è simulata la premura – si ripete per forza e dedizione. Provare a dire – se non si può dire – sempre è inizio di rivoluzione. * Verde partigiano appartiene ad arbusti e infiorescenze. Sembrerebbe di unica creatura acquattata, pensierosa. Una reale corrispondenza. Il bambino è fermo presso il punto dove il fiume si scioglie nella selva. Chiama – si intensifica il segnale – oltre la superficie un punto cardinale. * Si è sparpagliato da fronda a fronda – rapidissimo – un selvatico appello. Le nuove orme hanno dato vita a un anomalo fermento hanno sparso un’insolita gioia. *
7° Cerchio
Eravamo del presente
– rubicondo –
affamato di occhi
per guardarsi.
Divideva
e moltiplicava
i nostri corpi
– ripetendo
uno stesso scrigno.
[…]
Si vedevano emergere col verde
altri specifici colori
un armamentario delizioso
patrimonio dell’attesa.
* * *
105° Cerchio
Dell’antico prato
avevano fatto un parcheggio.
Mi avevano graziato
per essere albero
prediletto
di un poeta morto ammazzato.
Piangevo – piano –
del rumore e delle procedure
esistevo – solo –
nonostante la morte
di tante sorelle
creature.
[…]
Con pochi altri,
nella via trafficata
e insonne, scambiavamo
il nostro ricordo paesaggio
rinnegavamo i fabbricati
che con desideri altissimi
imprigionavano
tutti
i loro fiati.
* * *
163° Cerchio
Il popolo del mio corpo
era un rintoccare da ogni
parte. I sopravvissuti
tornavano, sotto altra forma:
dimenticati prati
e macerie di anni
si dicevano
con nuovi occhi
con ieratiche zampette.
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