LE DUE AGRICOLTURE: LE RAGIONI DEL DISAGIO
Pubblichiamo questa lucida analisi di un gruppo di agricoltori lombardi, impegnati da tempi per delle soluzioni agroecologiche, sulle due agricolture italiane, apparsa ieri sul blog STORIEDELBIO, molto utile per capire le ragioni delle rivolte di queste settimane, e le possibili soluzioni (G.S.)
TRATTORI IN GIRO PER L’EUROPA… CONTRO L’EUROPA?
In questi giorni stiamo assistendo ad imponenti manifestazioni di agricoltori di tutta Europa, spesso spontanee e non facenti riferimento ad organizzazioni professionali e sindacali rappresentative, che portano all’attenzione della opinione pubblica e delle Istituzioni un profondo disagio della categoria.
Disagio legato in primis al profondo divario che c’è tra la quantità di lavoro e di passione presente nel ciclo produttivo agricolo e il reddito che ne deriva che, spesso, è pura sussistenza.
In moltissimi casi e in modo diffuso in tutta Europa queste manifestazioni hanno individuato la Politica Agricola Europea e, in particolare, la sua recente evoluzione greening, come la responsabile di questa dicotomia. E’ stato facile, per l’avanzante populismo e nazionalismo europeo con alcune tragiche presenze di estrema destra come in Germania, cavalcare queste proteste in funzione anti europea in vista delle prossime elezioni, nella speranza di un tornaconto elettorale.
Gli agricoltori firmatari di questa lettera credono che le ragioni del disagio siano molto più complesse e che sia necessario uno sforzo analitico importante per far che si che queste proteste creino il presupposto per affrontare il problema in modo serio e non in funzione del beneficio elettorale di qualche forza politica lasciando ai tantissimi partecipanti alle manifestazioni soltanto l’amaro in bocca.
LE DUE AGRICOLTURE
Fin dagli anni sessanta si è andata delineando una tendenza, ormai diventata strutturale, di una netta separazione tra una agricoltura delle grandi superfici, dei grandi numeri economici, della capacità di investimento e di accesso al credito, legata a commodities come cereali, carne, latte … ma anche frutta e orticoltura, che per semplicità chiameremo Agroindustria e, dall’altra parte, una agricoltura familiare molto legata al territorio, spesso marginale, di collina e di montagna ma non solo, con volumi produttivi spesso insufficienti a garantire investimenti, ma con un beneficio sociale immenso derivante dal presidio di un territorio spesso non agevole ma prezioso. Questa, sempre per semplicità, la chiameremo Agricoltura Contadina.
Le politiche agricole, nel corso degli ultimi 50 anni, hanno tendenzialmente trattato queste due agricolture nello stesso modo con il risultato di renderne sempre più forte il divario.
Dai dati ISTAT dell’ultimo censimento, si evince che le aziende familiari di piccole dimensioni si sono dimezzate, mentre le altre si sono rafforzate, non nel numero, ma nelle dimensioni, diventando sempre più grandi, più efficienti, con grandi capacità di avanzamento tecnologico e di incidenza sui mercati.
Una parziale risposta delle piccole aziende alla crisi è stata l’introduzione delle cosiddette “attività connesse”: quali la trasformazione e vendita diretta dei prodotti, l’agriturismo, l’ospitalità, le attività didattiche e sociali ecc, che hanno dato respiro a quelle aziende che, per vari motivi, si sono trovate nella condizione di utilizzare questa opzione creando non solo reddito ma anche occupazione.
Il rapporto diretto con i cittadini ha creato possibilità di scambi culturali e progetti condivisi.
LA POLITICA COMUNITARIA
Fino a pochissimo tempo fa e cioè prima della proposta del nuovo regolamento comunitario, la politica comunitaria, attraverso l’applicazione del sistema dei contributi, non ha quasi per nulla tenuto conto delle differenze tra le due agricolture: tanta più superficie avevi, tanto più contributo prendevi (primo pilastro) indipendentemente dalla tipologia della produzione, dal valore ambientale di questa, dal beneficio sociale in termini di occupazione ecc, riservando la parte di aiuto o all’investimento strutturale o al beneficio ambientale (es. biologico) una quota minoritaria del suo bilancio (secondo pilastro).
Questo bilancio, che in termini relativi assorbiva ben il 50% di tutte le risorse comunitarie e oggi si attesta sul 25%, in termini assoluti è rimasto invariato intorno ai 55 miliardi di euro l’anno (provenienti dalle tasse dei 400 milioni di cittadini).
Con la nuova programmazione, la UE ha cercato di invertire la tendenza consolidata diminuendo progressivamente i contributi a superficie (primo pilastro) e creando sistemi di integrazione al reddito vincolati ad alcuni obiettivi di carattere generale e legati ad bisogni di protezione ambientale, di benessere animale e di salute del cibo e dei consumatori.
LA QUESTIONE AMBIENTALE
Mentre il settore agricolo in questi anni si dibatteva da un lato nella ricerca di sempre maggiore produttività ed efficienza (agroindustria per semplificare) e dall’altro nella diversificazione e nella territorialità (agricoltura contadina sempre per semplificare), nella società europea prendeva sempre più rilievo e consapevolezza la questione ambientale.
Aree vaste con problemi di inquinamento delle acque superficiali e profonde, gravi carenze idriche, diminuzione della fertilità dei suoli, con alcuni casi di “desertificazione”, immissioni di CO2 e ammoniaca nell’atmosfera, presenza di metalli pesanti ecc. con conseguenze importanti sulla salute dei cittadini.
Una parte di queste problematiche ricade sulla responsabilità del settore agricolo, soprattutto in aree di grande concentrazione produttiva in corrispondenza di elevate concentrazioni antropiche (es. pianura padana, nord della Germania, Olanda e Danimarca, significative aree in Spagna e Francia ecc) per cui la UE, sotto la spinta dell’opinione pubblica e delle necessità epidemiologico-sanitarie, ha legato le sovvenzioni ai settori produttivi sia agricoli che industriali, a comportamenti ambientalmente sostenibili e ormai indilazionabili anche in funzione dei cambiamenti climatici.
Per il settore agricolo questo si è concretizzato in alcuni nuovi obblighi se si vuole continuare ad aver accesso ai contributi (rotazione obbligatoria delle colture, inerbimento invernale, diminuzione dell’apporto chimico di sintesi) e in alcuni obiettivi facoltativi coperti da risorse specifiche (agricoltura biologica, benessere animale, protezione delle api ecc). A nostro giudizio condizioni che, se correttamente sostenute e applicate, non vanno a deprimere i redditi (che sono depressi per altri fattori), ma addirittura li possono sostenere.
QUALI POLITICHE
A nostro giudizio sarebbe grave se la UE abbandonasse, sotto la spinta della protesta e rispondendo pavida a spinte populiste, la visione di una agricoltura agroecologica che fa la sua parte nella difesa dell’ambiente e contribuisce alla lotta ai cambiamenti climatici riducendo in modo progressivo la propria impronta ecologica.
Questo può avvenire se si tiene ben presente quanto esposto precedentemente: l’agricoltura “agroindustriale” ha bisogno di forte sostegno nella riduzione dell’impatto chimico, nell’adeguamento tecnologico al fine di ridurre le emissioni, nella diminuzione delle concentrazioni eccessive di animali da reddito in certe aree sensibili, nell’avere protezioni assicurative contro le calamità ecc; l’agricoltura “contadina” di piccole dimensioni, familiare, di aree interne, quella che si rivolge a mercati locali e che produce beni originali e fortemente legati alla territorialità e offre servizi ai cittadini, ha tutt’altri bisogni: semplificazione burocratica, servizi sanitari e sociali di prossimità, sostegno alle condizioni impervie (montagna), sostegno alle produzioni di nicchia, sostegno alla diffusione e implementazione di tecniche agro-ecologiche, servizi gratuiti di assistenza tecnica e soprattutto un sostegno al reddito che ne riconosca il valore sociale, ambientale ed ecosistemico. Senza di ciò questa agricoltura sparirà in un breve lasso di tempo.
Ci vogliono quindi due politiche differenziate, ma integrate.
Una riduzione della tassazione indifferenziata può diventare un ulteriore fattore positivo per grandi aziende che già fanno reddito, ed essere al contempo insufficiente per aziende che non superano la sussistenza.
L’Europa da sessant’anni, attraverso i denari impiegati nella Politica Agricola, ha contribuito ad una crescita complessiva del settore, ad una sua valorizzazione professionale, alla difesa degli spazi non edificati con il semplice permanere degli agricoltori sul territorio.
Oggi questo tipo di politica non risponde più ai bisogni del settore e può contribuire ad acuire le differenze tra le agricolture: contributi indifferenziati premiano solo le grandi aziende e marginalizzano le piccole. Ad esempio dare lo stesso premio capo/vacca sull’ecoschema1 ad una azienda di mille vacche e ad una di cinquanta, magari in zona svantaggiata, non ha senso.
Per affrontare con serietà queste problematiche ci vorrebbe una classe dirigente non legata a facili slogan e a interessi di brevissima portata e spesso in funzione di labili vantaggi elettorali.
Anche le Organizzazioni Professionali agricole hanno la responsabilità di non accodarsi a questi facili slogan, ma di guidare un profondo processo di ridefinizione del ruolo dell’agricoltura nella attuale fase economica, sociale e soprattutto ambientale.
Non è, a nostro giudizio, negando e ricusando una politica per altro moderatamente greening che si risolvono queste contraddizioni. Anzi il rischio è di dare un contentino alla protesta senza aggredire la sostanza dei problemi.
Dario Olivero Renata Lovati Cascina Isola Maria, Albairate
Gabriele Corti Cascina Caremma Besate
Alberto Massa Saluzzo Presidente Distretto Dinamo
Fabio Di Stefano Il Frutteto Botanico Albairate
Raffaele De Cechi Cascina Lema Robecco sul Naviglio
Alberto Bosoni Società Agricola del Parco Abbiategrasso
Giovanni Molina Agronomo Vigevano
Tommaso Gaifami Agronomo Milano
Niccolò Reverdini Cascina Forestina Cisliano
Massimo,Camilla Crugnola Orti bio Broggini Varese