Articolo precedente
Articolo successivo

La follia dei numeri #1

di Antonio Sparzani

la fetta che vedete sarà un settimo della torta?

In tutta la mia vita adulta i numeri e la scienza che li tratta, la matematica, mi sono stati piuttosto familiari, e spesso necessari, data la mia professione di fisico teorico alla milanese università. Ma in queste settimane, ripensando ai numeri, anche in occasione di una mia recente pubblicazione, mi è venuto da ripensare al ruolo e alla sorte che tutta, diciamo, la teoria dei numeri ha avuto nella storia della matematica.
Tutti i manuali dicono, e sembra abbastanza plausibile, che la necessità di avere i numeri, nella propria lingua ancorché primordiale, sia stata quella del contare: io ti dò tre peperoni tu mi dài quattro melanzane, hai mancato di rispetto a mia sorella meriti dieci frustate sulla schiena, e così via. E questi sarebbero quelli che oggi chiamiamo numeri interi positivi (ancora senza lo zero, beninteso, che fu inventato ben più tardi) e sul loro senso e la loro utilità non mi pare si sollevino dubbi. Però: una volta che uno comincia a contare gli viene voglia di andare avanti: supponendo di aver adottato il cosiddetto sistema decimale, è facile accorgersi che non si riesce a nominare un numero intero più grande di tutti gli altri, perché posso sempre “aggiungere uno” e salire un altro gradino nella scala. E già qui ci si potrebbe porre il problema del significato di numeri molto grandi: milioni e miliardi vanno ancora bene, c’è gente al mondo che guadagna le cosiddette cifre da capogiro, oppure contiamo le stelle della Galassia o tutte le stelle dell’universo che conosciamo e avremo qualche miliardo di miliardi, un 1 con una ventina di zeri, contiamo gli atomi, gli elettroni, i quarks, gli sfuggenti neutrini che scorrazzano per l’universo e andiamo su ancora di una decina di zeri. Sì, ma poi? Se scrivo, dato che formalmente ha senso, un 1 con diecimila zeri, cosa vuol dire? Formalmente lo sappiamo cosa vuol dire, vuol dire 10 moltiplicato per se stesso diecimila volte, sì, ma abbiamo qualche vago esempio concreto? Certo che no. È un simbolo che alla nostra mente, che l’ha inventato, dice qualcosa, ma certamente nulla di praticamente pensabile. Senza dire poi che, con questa sfrenata illimitatezza, possiamo pensare 1 con miliardi di zeri, quanti ne vogliamo, allontanandoci sempre più da qualsiasi cosa concreta.

Si potrebbe forse, sul filo di queste considerazioni, mettere un limite? Già, ma dove e perché? Credo che qualsiasi limite andrebbe incontro a obiezioni e problemi formali e anche non formali.
Detto con una parola fin qui non scritta, i numeri interi positivi – detti anche, udite udite, numeri naturali – sono infiniti. Cosa vuol dire questo aggettivo che percorre anche la nostra lingua naturale (“ti amo infinitamente”, “un appartamento nel centro di Parigi costa infinitamente di più che una casupola sull’Appennino”) e in essa significa “tanto tanto”? Vuol invece dire letteralmente “non finito”, cioè vuol dire che non si arriva mai in fondo, che non c’è limite, che si può andare avanti finché si vuole: con la fantasia certo ma in nessun senso materialmente praticabile. Possiamo chiamarla astrazione, giustificata da una necessità logica, per esempio dalla necessità di poter definire la somma e il prodotto di due numeri interi qualsiasi: se ci fosse un limite N, il numero più grande di tutti, non potremmo eseguire somme o prodotti di numeri minori di N che diano un risultato maggiore di N.
Ma poi? Questa non è che una piccola follia rispetto a quant’altro ci siamo inventati: il fatto stesso che io li abbia chiamati poche righe fa “numeri interi positivi” indica già che c’è dell’altro, numeri non interi e/o non positivi. Quelli non interi fanno ancora parte dell’esperienza comune: io ti voglio dare un peperone e mezzo se tu mi dài due melanzane. E quell’uno e mezzo, tutti lo sappiamo, possiamo ormai scriverlo 1,5 (in Italia si usa la virgola, altrove si usa il punto, ma poco importa, pur di saperlo). Se vogliamo però dividere 10 mele in tre persone, abbiamo qualche difficoltà in più: se ne diamo 3 a ciascuna, ne rimane una, che bisogna equamente dividere in 3. Bisogna imparare a fare le divisioni. 1 : 3. Cioè dare a ognuno un terzo di mela, che scriviamo talvolta 1/3; sì, ma c’è un modo per scrivere questa quantità con un numero? Se applichiamo le regole che ci siamo già inventati per eseguire le divisioni, otteniamo 0,3333. . . ., non riusciamo a scriverlo tutto, questo numero, perché, per quanto andiamo avanti troviamo una fila di 3. E allora? Allora ci inventiamo i numeri decimali periodici, ovvero che hanno infinite cifre dopo la virgola però che si ripetono, magari a gruppi:
per esempio 1/7 = 0,(142857) dove con la parentesi – o il trattino sopra, a seconda delle convenzioni – si indica il gruppetto di cifre che si ripete. Si ripete, capite, si ripete infinitamente. Come faccio se devo dividere una torta per 7 persone? Certo non posso usare quel bizzarro numero periodico, piuttosto “vado a occhio” con eventuali proteste di chi avrà una fetta di qualche millimetro più piccola.
E allora a cosa serve preoccuparsi dell’esistenza di quel quoziente? Serve, risponde il matematico, per far sì che l’insieme dei numeri che maneggiamo sia un po’ più “completo”, cioè che si possano fare sempre le addizioni, le moltiplicazioni, ma anche le divisioni, vi pare? Eh sì, così oltre alla moltiplicazione è fattibile la sua inversa, la divisione, per carità, non la divisione per 0, che non dà alcun risultato (supponiamo di aver passato sotto silenzio l’invenzione del numero 0, com’è noto di provenienza araba).
E l’operazione inversa della somma, che sembra molto più innocua? 5 – 3 siamo capaci di farlo, ma 3 – 5 no. E allora ecco perché c’era quell’aggettivo “positivi”, perché si è voluto aggiungere degli altri numeri per rendere possibile sempre anche l’operazione inversa della somma, la sottrazione. Ed ecco che 3 – 5 ha un risultato, che chiamiamo -2, i numeri non si chiamano più interi, ma relativi, e formano una fila che non solo non finisce, ma neppure comincia: . . . .- 4, – 3, – 2, – 1, 0, 1, 2, 3, 4 . . . . numeri negativi prima dello zero e positivi quelli dopo.
E così s’è costruito un bel mucchio di oggetti, che chiamiamo sempre numeri, con aggettivi vari, nei quali si possono eseguire le operazioni che conosciamo normalmente (tranne s’intende, la divisione per 0, bisogna sempre ricordarlo). Questo “mucchio” è quello dei numeri razionali, così denominati perché si possono sempre mettere sotto forma di frazione, ovvero di divisione di un intero per un altro. Infatti si dovrebbe aggiungere a quanto detto che qualsiasi numero decimale, anche con infinite cifre dopo la virgola, purché ci sia un gruppetto di quelle cifre che sempre si ripeta, può essere rappresentato sotto forma di frazione, c’è l’apposita regoletta che avete tutti imparato alle medie, e subito dimenticato. E molto di quanto detto, notate, è stato motivato da questa esigenza di completezza: poter fare sempre, in tutti i casi, le quattro operazioni che capitano anche nella vita quotidiana.

Ma non è facile accontentare un matematico, che ha sempre nuove pretese, di cui ci occuperemo alla prossima puntata.

Print Friendly, PDF & Email

7 Commenti

  1. Non vedo l’ora di leggere la prossima puntata, Sparz! Con la speranza che ce ne sia almeno una dedicata all’invenzione dello zero. Da questa intanto si deduce con chiarezza la tua preferenza per i peperoni, che valgono sempre più delle melanzane…

  2. Grazie, cara @Ornella, del tuo interesse. Devo un po’ deluderti sullo zero, perché quanto dice ad esempio wikipedia alla voce 0 è ben più di quel che so io, che invece andrò avanti a spiegare la follia (o no) di definire altri numeri oltre quelli qui descritti, che sembrano già troppi. Quanto ai peperoni, è vero che li ho sempre amati e preferiti alle (pur buone) melanzane; purtroppo ora il problema è che non posso assolutamente più mangiarne perché sono diventato terribilmente intollerante ad essi. Sigh.

  3. Sparz dovremmo organizzare un’andata al Casinò e puntare i soldi del Premio di Gianni dove ci dici tu. effeffe

  4. grazie molte giacomo e se la coppia Gianni-Furlèn è d’accordo, why not? (Mi sembra un periodo ipotetico che richieda però molti congiuntivi . . .)

  5. Un paio di nipoti erano stati arruolati per far prendere il diploma di scuola media a una zia attempata. Pertanto, in matematica, gli esempi tratti dalla vita quotidiana si sprecavano. Quando la preparazione matematica sulle quattro operazioni con i naturali fu abbastanza solida, scattò il tentativo di farle apprendere il concetto di intero e di numero negativo. Toscana anni 70.
    – Zia, te hai 100 lire. Vai dalla Peppina (la salumiera) e compri 1 etto di salame, du’ mele e spendi 90 lire. Ti ri’ordi che devi ‘ompra’ ‘l pepe. Il pepe ‘osta 20 lire. Quanto hai in mano?
    – Eh, ho 10 lire: ’l pepe un lo ’ompro.
    – Ma via, fa’ finta di paga’. Quanto ti resta?
    – None, ‘l pepe un lo ‘compro!

    Non ci fu verso di farla “indebitare”: la zia rimase ancorata ai numeri naturali (però riuscì a diplomarsi)

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Mostri sacri e complicanze storiche

di Antonio Sparzani
I miei mostri sacri della letteratura italiana sono Calvino e Gadda, rigidamente in ordine alfabetico. L’altra sera mi sono saltati addosso insieme. Cominciavo a leggere la quinta delle Lezioni americane di Italo Calvino: sappiamo che egli accuratamente scrisse le Lezioni prima di andare negli USA per portargli un po’ di cultura...

La follia dei numeri #3, però . . .

di Antonio Sparzani
“L’italiani sono di simulato sospiro”, dice il Gadda nelle sue fantasmagoriche Favole e aggiunge “L’italiani sono dimolto presti a grattar l’amàndola: e d’interminato leuto”. Bene, l’italiani matematici non son da meno: i nomi di Gerolamo Cardano (pavese, 1501-1576) e di Rafael Bombelli (bolognese, 1526-1572) sono tra quelli più implicati nella ulteriore follia che esaminiamo adesso.

Visti dall’Oltre

di Fabrizio Centofanti
In potenza siamo molte cose: un’energia allo stato puro che tende verso una realizzazione. Ma è l’atto che ci definisce. È l’idea di progetto: chi siamo veramente? Conosciamo il nostro destino, ciò per cui siamo al mondo? Ci interessa?

La follia dei numeri #2

di Antonio Sparzani
Dove siamo arrivati con la follia dei numeri: siamo arrivati a costruire una classe di numeri che sembra li contenga tutti, visto che possiamo scrivere un numero qualsiasi di cifre prima della virgola e una successione qualsiasi di cifre dopo la virgola, anche una qualsiasi successione infinita, cosa vogliamo di più folle ancora?

M’è venuto un sospetto. . . .

di Antonio Sparzani
Spero abbiate tutte e tutti notato come e in quali efferati e rivoltanti modi la polizia italiana (comprendo in questo termine carabinieri, polizia, urbana e non, e qualsiasi altro cosiddetto tutore dell’ordine) stia, come dire, alzando la cresta, ovvero il livello della brutale repressione dei “diversi” in qualsiasi modo essi si presentino: i fatti di Verona e poco prima i fatti di Milano, quattro agenti che pestano di brutto una transessuale ecc. ecc.

Le parole della scienza 3: da Tito Livio alla terribile “formula”

di Antonio Sparzani
La prima puntata qui e la seconda qui. Che cosa hanno in comune una Ferrari e il censimento della popolazione nell’antica Roma? Non molto, sembrerebbe, salvo che c’è una stessa parola che è implicata in entrambe. Nell’antica Roma, due millenni prima dell’epoca delle Ferrari, Tito Livio, storico di età augustea, scrisse un’opera immensa, cui si conviene di dare il titolo Ab urbe condita – dalla fondazione della città–per–eccellenza
antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: