L’egemone degli anelli
di Giorgio Mascitelli
Nei giorni scorsi l’apertura della mostra dedicata a Tolkien a Roma ha portato numerosi commentatori, italiani e britannici, a parlare di costruzione dell’egemonia culturale della destra, in particolare per la presenza della stessa Giorgia Meloni all’inaugurazione e per il finanziamento dell’iniziativa da parte del ministero della cultura. Per parte mia devo confessare che la fotografia della presidente del consiglio che gioca con un flipper che riproduce personaggi tolkieniani mi è parsa un’immagine bizzarra, ma non particolarmente egemonica. Più prosaicamente ritenevo che con l’espressione gramsciana i diretti interessati si riferissero all’ondata di nomine di giornalisti d’area nei consigli d’amministrazione di molte istituzioni culturali.
Mi sbagliavo perché una mostra ha indubbiamente un significato più profondo ed è spesso stata una rivendicazione di una politica culturale se non di un programma politico. Se però penso a casi illustri del passato, come la mostra sugli Anni Trenta a Milano nel 1982, tuttavia non riesco a trovare un senso politico così immediato in questa di oggi: allora c’era un’ambigua rivalutazione del ventennio nella sua quotidianità e nella sua cultura provinciale, sulla quale il PSI giocava un ruolo di partito che si rivolgeva a una platea rampante di destra. Anche la mostra del 1937 a Roma per il bimillenario della nascita di Augusto, ebbe delle evidenti referenze politiche: è appena terminata la guerra in Etiopia, si avvicinano le leggi razziali, il mito di Roma imperiale è fondamentale per il fascismo. Qui invece avrei più difficoltà a indicare un disegno, che non sia una sorta di gioco di società per ex missini che si ricordano dei tempi di Campo Hobbit.
Intendiamoci non solo Tolkien in Italia è stato introdotto da un editore non certo di sinistra come Rusconi e da un intellettuale tradizionalista come Elemire Zolla, ma lo stesso scrittore inglese era un conservatore cattolico caratterizzato da una notevole estraneità alla modernità. E questo suo aspetto politico non è evidente solo agli italiani, se è vero che l’aracnologo russo Kirill Yeskov ha pubblicato nel 1999 una versione del romanzo intitolata L’ultimo portatore dell’anello, dove Mordor e i suoi alleati meridionali sono rappresentati come potenze povere il cui processo di sviluppo tecnologico è ostacolato da Gandalf e dagli elfi per mantenere lo status quo: ne ha parlato a suo tempo su Nazione Indiana Jan Reister qui: https://www.nazioneindiana.com/2011/12/05/the-last-ringbearer-una-fanfiction-tolkeniana/Peraltro, per quanto conservatore, mi sembra che Tolkien sia separato dall’attuale destra italiana da almeno due valori non secondari ossia un amore per la natura incontaminata (e conseguentemente uno scarso apprezzamento per le automobili) e il suo senso dell’umorismo.
Da antico lettore di Tolkien posso solo dire che trarre insegnamenti o modelli politici da una straordinaria avventura della fantasia come Il signore degli Anelli non mi sembra il modo giusto per leggerlo: è un mondo fantasy, ispirato in parte al Medioevo effettivo e in parte a quello fantastico dell’epica, dove le categorie di destra e sinistra non esistevano. Tra l’altro non credo che Tolkien volesse proporre utopie politiche, bensì solo cercare rifugio nel fantastico da un mondo che non gli piaceva e da certe sue ossessioni personali per la mortalità e la caducità umane. E poi la terra del male Mordor e il suo signore Sauron così come sono stati identificati negli anni cinquanta con l’URSS di Stalin, lo possono essere altrettanto agevolmente con la Germania di Hitler. Indubbiamente però chi vuole proporre degli insegnamenti politici tratti da un mondo medievale, più o meno fittizio, produrrà automaticamente un discorso reazionario, soprattutto perché ha a che fare con materiali particolarmente adatti ad alimentare quella macchina mitologica a cui la destra, da De Maistre in poi, ha sempre fatto ricorso. Eppure penso che la fruizione ludica e infantile dell’opera, che si può notare per esempio con il fenomeno del cosplay, finisca in questo caso con il costituire un serio ostacolo, involontariamente democratico, all’uso della saga nella costruzione di una macchina mitologica. Insomma lo spirito del gioco e della favola, dove buoni e cattivi operano in un mondo per definizione lontano dal reale, rendono scarsamente credibile ogni tipo di interpretazione, o mitologizzazione, attualizzante e ideologizzante dei testi, salvo presso piccole nicchie di pubblico.
Peraltro se guardiamo all’accezione più generale del concetto di egemonia culturale, e non alla sua versione tascabile da consiglio d’amministrazione, non c’è alcun bisogno che la destra ricorra a Tolkien per ottenere l’egemonia culturale per il semplice motivo che questa egemonia nella società, in particolare italiana, ma più in generale occidentale, ce l’ha già. L’atto di nascita di questa egemonia è l’intervista che nel 1981 il premio Nobel per l’economia Von Hajek rilasciava al giornale cileno Mercurio durante la dittatura fascista di Pinochet, dichiarando di preferire una società autoritaria che garantiva le libertà individuali, ossia quelle connesse con la proprietà privata, a tante democrazie che pianificavano l’economia limitando i diritti individuali dei ceti proprietari. In questa contrapposizione tra libertà individuale e democrazia politica, bisognosa dello stato sociale per rafforzarsi, Von Hajek realizzava le condizioni ideologiche per unificare tutta la destra, quella più moderata e quella più estrema, superando l’impossibilità di fatto che la seconda guerra mondiale aveva prodotto, in ragione del fatto che quell’intervista non era un fatto estemporaneo, ma la conseguenza di una collaborazione della scuola di Chicago con l’amministrazione di Pinochet, che trasformò il Cile in un laboratorio economico, e politico, per l’attuale società. In questo modo il culto dell’uomo forte, declinato ambiguamente ora come individualismo proprietario teso a difendere le proprie ‘libertà e a costruire la propria carriera, ora più riconoscibilmente come soggetto tradizionalista che deve difendersi da striscianti intrusi nella sua privata proprietà, veniva sdoganato, pur senza toccare apparentemente i punti saldi del discorso democratico, e proposto dagli anni ottanta come modello di successo in tutto l’Occidente.
E’ solo in un mondo del genere che diventa possibile che in Italia un partito con la storia di Fratelli d’Italia possa vincere le elezioni, aiutato da una sinistra che rinuncia ai propri valori cercando di offrire versioni soft ed edulcorate di quelli della competizione e dell’individualismo, per esempio con il cosiddetto welfare delle opportunità di blairiana memoria o con la meritocrazia. Il discorso pubblico o meglio il discorso mediatico è a tal punto dominato egemonicamente dalle idee di destra, che ormai esse sono usate tranquillamente da commentatori che si sentono di sinistra, basti pensare al ricorso sistematico alle categorie semplicistiche di buoni e cattivi nell’analisi politica o ancora alla diffusa allergia, sviluppatasi in questi mesi nei confronti di coloro che trattando di Ucraina o di Palestina, parlavano di complessità della situazione, rifiutandosi di prendere in considerazione il fatto in sé isolato dal contesto. Ora è indubbio che questa allergia alla complessità del contesto è emersa la prima volta quando la destra ha usato il tema delle Foibe per scardinare la natura antifascista della Costituzione, presentandole come evento completamente avulso dal quadro storico della seconda guerra mondiale.
Per questi motivi non credo che ci sia bisogno di ricorrere agli Hobbit per raggiungere un’egemonia delle idee di destra che già esiste nella società. Peraltro gli Hobbit, secondo il loro creatore, sono gente discreta e godereccia, che ama sopra ogni cosa mangiare, bere e stare in compagnia, e per ciò non credo che si troverebbero particolarmente a loro agio in un mondo dominato da un superomismo di ritorno sia in versione manageriale sia in quella standard.