Overbooking: Antonio Milano
Un libro che canta: The Milman Parry Blues, di Antonio Milano
di
Gigi Spina
Potrei cominciare prendendo a prestito e adattando una frase di Lilian Terry, jazzista e divulgatrice di jazz scomparsa il 29 giugno a Nizza. La riporta Lorenza Cattadori, in un commosso ricordo su Musica Jazz di agosto 2023, p. 5: “Io non leggo con l’occhio del filologo recensore, io leggo con l’orecchio dell’appassionato di jazz” (la frase originale: «Io non ascolto con l’orecchio del critico. Io ascolto con l’orecchio della ragazza che ama il blues»).
Parlare del libro di Antonio Milano significa, infatti, eseguirlo di nuovo, quasi un’improvvisazione jazz, seguendo la linea armonica e riproponendolo con suoni di parole diversamente modulati.
Perché il libro è fatto così, dalla prima all’ultima pagina:
Va dunque letto ad alta voce (anche mentalmente), seguendo il filo di un canto corale a più voci, che si rincorrono in più lingue (sempre comprensibili anche perché spesso tradotte) con le cadenze di un blues. C’è un leader del canto, ma la voce narrante non è univoca; e c’è sempre un interlocutore che chiede, ribadisce, rafforza, varia secondo accostamenti di suoni e di parole, oppure fraintende provocando chiarimenti e risposte.
Conviene ascoltare (leggendone qualche passaggio) LeRoi Jones (poi rinominatosi Amiri Baraka, 1934-2014), nel suo storico saggio Black People. Negro Music in White America, New York 1963, tradotto da Claudia Gozzi per Einaudi nel 1968: Il popolo del blues. Sociologia dei negri americani attraverso l’evoluzione del jazz.
Il blues è il padre legittimo di tutto il jazz […] è una musica nata in America, il prodotto dell’uomo nero in questo paese, nel senso che il blues non sarebbe mai esistito se i negri, da prigionieri africani, non si fossero trasformati in prigionieri americani […] Il blues rimase sempre espressione strettamente individualistica; c’erano canti che esaltavano le gesta di eroi, o di archetipi eroici, ma anche quando il blues moltiplicò i suoi temi, rimase sempre un canto che esaltava il protagonista-cantante.
E potrei continuare a frugare fra le pagine di LeRoi Jones, per convalidare il libro di Antonio Milano (1948-2018), che sono certo l’avesse letto e ne conservasse, insieme a tante altre letture e ascolti, i semi fecondi. Perché Antonio Milano, professore di Latino e Greco nel liceo di Lamezia Terme, sapeva fare interagire il suo lavoro di docente con i suoi interessi culturali poliedrici, cercando di trasmettere alle proprie classi la stessa capacità di aprire lo sguardo verso orizzonti diversi, di mescolare saperi e interessi, di non avere paura nell’osare linguaggi nuovi.
Tutto questo appare evidente dalle voci introduttive ed esplicative della genesi del libro, e dall’impegno collettivo per la sua pubblicazione: le voci del giornalista e scrittore Paolo Rumiz e di Marcello La Matina, professore di Semiotica e Filosofia del Linguaggio all’Università di Macerata, che ha sapientemente illustrato il tema conduttore del libro, grazie alla scuola di studi classici palermitani a cui si è formato.
In questa missione di docente e di sensibile uomo di cultura, è stata sempre vicina all’Autore, compagna di interessi e di vita, Rosa Tavella, che ha voluto, nella prefazione Per Antonio, lasciare un messaggio forte, direi alla cultura non solo italiana: «Leggetelo, recitatelo, ascoltatelo, scopritelo. È proprio un blues: malinconico, ironico, scanzonato, struggente e anche un po’ epico, come si addice a un vero poema omerico».
L’eroe eponimo del libro di Antonio Milano è, dunque, Milman Parry, lo studioso americano che ha dedicato la propria vita all’indagine (sul campo) del modo di fare poesia delle culture orali (o aurali). Se avete letto la pagina di sinistra dello specimen pubblicato qui sopra, sarà utile leggere anche la pagina precedente, che apre il libro:
Stamattina! Durante la lezione di Omero!
Sdeng!
What?
Uno dei soliti blues!
In testa?
Lezione e blues! In testa! Confusi! Mi son perso di nuovo Capitan!
Everything!
Sorrise Capitan!
Everything! Stands for something else!
Comincia così la cavalcata epico-musicale sulla vita di Milman Parry, raccontata, appunto, come una biografia in movimento rivissuta attraverso la voce di un ‘cantastorie’. Il ritmo del blues serve a spezzare in frames espressivi una possibile forma narrativa più compatta e continuativa, da vera biografia; ma anche a improvvisare, rompendo con continue intuizioni e innovazioni l’andatura misurata di un possibile romanzo storico. Nulla rimane inespresso, solo che la lettura (ripeto: preferibilmente ad alta voce) consente di aprire continue finestre, abbozzare nuovi personaggi, tornare avanti e indietro nel racconto, lasciando all’eroe eponimo la ‘gloria’ di un’impresa difficile ma al tempo stesso decisiva per la propria vita.
A differenza o forse come nel viaggio di Ulisse, le tappe della ricerca di Milman Parry prevedono incontri fortunati e disavventure, in giro per l’Europa dei primi del Novecento ma con la patria America costantemente nel cuore. E ricordiamo che durante il suo viaggio c’è una guerra in corso. Mondiale. La prima, o forse la seconda, se si pensa alla guerra di Troia.
Antonio Milano scrive come un Omero bluesman, e come Omero usa la diegesi mista – come ha insegnato Platone nella Politeia, molto prima che Gérard Genette lo riproponesse nelle sue teorie del racconto -, mescolando la diegesi semplice, cioè il racconto in cui il poeta parla con la sua voce, e la diegesi con imitazione, quando il poeta fa parlare i personaggi, prestando loro la voce.
Ecco uno dei tanti possibili esempi, a p. 158:
Disse il generoso capitano di versi eroici Milman Parry!
E impugnato il gran bronzeo megafono del Général Jean-Baptiste Donatien Rochambeau! Recitò traducendo il grande eroe Milman Parry! Sonoro cantatore di storie! Quell’unica splendida frase! Traendola a suo genio da più d’un infedele traslatore!
BUT WHEN!
THE ROSY MESSENGER OF DAY!
STRIKES THE BLUE MOUNTAIN!
WITH HER GOLDEN RAY!
PUIS!
QUAND PARAÎTRA LA BELLE AURORE!
AUX DOIGTS DE ROSE!
ABER SOBALD NUN EOS!
MIT ROSENFINGERN EMPORSTRAHLT!
TOSTO CHE SCHIUDA DEL MATTIN LE PORTE!
IL ROSEO DITO DELLA BELLA AURORA!
E ASSIM!
QUE A DEDIRRÓSEA AURORA!
BRILHE!
Insomma!
WHEN THE FAIR DAWN!
WITH FINGER TIPS OF ROSES MAKES HEAVEN BRIGHT!
Così recitò il cantore di Oakland! Sonoro studioso di Omero! E quando l’ascoltò se ne compiacque anche la bella vapora! E quindi riprese confidenza con l’atlantiche onde la Rochambeau!
BENE!
BRAVO!
BRAVISSIMO!
Applaudirono e sorrisero! Proprio tutti! Tutti i trecentoventisei passeggeri della nave francese Général Rochambeau!
Questo!
Si sentì dire da tutti sulla bella nave!
Questo?
E chi è?
Si chiama Milman Parry.
Chi leggerà il libro troverà notizie biografiche, bibliografia essenziale e, alla fine del libro, Personaggi notevoli, per coprire tutte le curiosità che la storia comporta.
Il blues, infatti, è sempre una pagina di storia, così come storia vera – certo, con un punto di vista narrativo e sonoro – è la storia di Milman Parry che emerge dalle righe di Antonio Milano. Una storia che appassionerà non solo i docenti e i cultori di greco antico, ma anche tutti e tutte coloro che pensano che un prodotto poetico non sia un’esibizione di metrica o un’asettica struttura misurabile quasi geometricamente (efficace il dialogo riprodotto a p. 201, sulla domanda: Tutto questo! A che serve?), ma una voce del cuore e della mente che ha scelto una cadenza, un ritmo, per entrare in contatto con altri cuori e altre menti, anche a distanza di secoli. Per questo Milman Parry pensò di interpellare la poesia orale della Jugoslavia, i suoi cantori e gli esperti di oralità.
Con, alle sue spalle, la cultura anglosassone maturata nei secoli della ricezione dei classici greci e latini, come Antonio Milano genialmente propone, immaginando il giovane musicista statunitense, Elliot Cook Carter jr., fra gli studenti di Parry ad Harvard, improvvisare un intervento (p. 193). Sempre usando la diegesi mista:
Esordì il Giovine Carter!
FRIENDS!
OH FRIENDS!
HARVARDIANS!
Harvardians?
Crimsons! Harvardians! Countrymen!
Countrymen?
Lend me your ears!
Questo è più matto di Fitzgerald!
Pensò Harry Levin!
La storia di Parry procede attraverso continui cambi di scena, di protagonisti e di lingue, fra giochi di parole, allusioni e citazioni, come quella del Ciclope, il dramma satiresco di Euripide, ma nella traduzione in siciliano di Luigi Pirandello (p. 233) o dell’aggettivo incipitario dell’Odissea, polytropos, il marchio di Ulisse (p. 236), interpretato parodicamente con grande acume: «Dai molti attegiamenti! Un uomo mutevole! Incostante! Dai molti movimenti! UN POLIPACCIO! Un polipaccio? Quell’uom di multiforme ingegno un polipaccio?».
Così si riconosce (p. 240) un’allusione neanche tanto nascosta, ma costruita con finezza, a un famoso scrittore argentino, Osvaldo Soriano, a proposito del Filottete, messo in scena da Parry coi suoi studenti (attenzione: Filottete si esprime con cadenza toscana mista a francese maccheronico):
Vu he m’abbandonaste ostì! Vu! Vu he m’abbandonaste tristo e solitario! O me bischeraccio (final!)
Del resto, così come vengono applicate nuove formule simil-omeriche ai nuovi personaggi della storia di Parry (p. 336: «E torvo guardommi l’amico Il’ja Nikolaevič occhi russi più obliqui e argentati dicendo!»), così Antonio Milano può definire un valore fortemente ‘americano’, la libertà/freedom con un’amara invettiva gaberiana (L’America, in Libertà obbligatoria, 1976-77), in quanto valore rivendicato nello scontro serbo-croato dei primi decenni del Novecento (p. 357):
Libertà! Ognuno suona e canta sulla gusla come vuole! E tutti suonano e cantano! Come vuole libertà!
Il libro/spartito di Antonio Milano si conclude, naturalmente, con il nostos del protagonista, Milman Parry, un nostos metaletterario, perché composto come canto e inviato a Parry per lettera da Milovan Vojicić, un cantore registrato nella Milman Parry Collection of Oral Literature (p. 418):
ALLORA LASCIÒ LA NOSTRA TERRA
E DECISE DI ANDARE PIÙ LONTANO!
QUANDO IL PROFESSORE FU IN PARTENZA
PRESE POSTO SULLA NAVE SATURNIA!
LA SATURNIA VOLÒ ATTRAVERSO IL MARE
COME UN FALCONE PER LE VERDI COLLINE!
LÌ LA GLORIA ASPETTA IL PROFESSORE!
L’AMATA PATRIA AMERICA!
ADDIO PROFESSOR MILMAN!
POSSA TU VARCARE IL MARE AZZURRO E PROFONDO!
E GIUNGERE IN PATRIA!
ONORE ANCHE A CHI TI GENERÒ!
I canti generano canti, le voci altre voci. C’è sempre bisogno di una seconda voce. Nel blues come nella vita. Non c’è sempre qualcosa da dire a qualcuno? Non viene sempre voglia di parlare con qualcuno? Anche con uno qualsiasi. Una seconda persona. Un amico o un nemico. Uguale. Un duetto o un duello.
Ecco l’idea che ha mosso Antonio Milano a scrivere in blues. Sì, perché le parole in corsivo sono, appena modificate, quelle che troverete a p. 398, verso la fine del libro.
Come lettore appassionato – spero di averlo testimoniato – mi rimane il rimpianto di non aver potuto conoscere personalmente Antonio Milano, magari per intrecciare la mia voce con la sua, in un indimenticabile duetto.
I commenti a questo post sono chiusi
Bellissimo! Grazie Effeffe.