L’ultimo giorno di Robespierre
di Giorgio Mascitelli
La caduta di Robespierre. Ventiquattr’ore nella Parigi della Rivoluzione di Colin Jones ( trad.it. di Alessandra Manzi, Neri Pozza, Milano, 2023, euro 38) è un saggio storico sul 9 termidoro che riesce a coniugare un ampio apparato di rigorosa documentazione con una piacevolezza della lettura e della narrazione storica. Lo storico inglese imposta il suo lavoro su un’analisi estremamente puntale condotta con la necessaria acribia di quel 27 luglio 1794 che fu nel contempo l’ultimo giorno di vita di Robespierre e la conclusione del potere giacobino e della fase più radicale della Rivoluzione francese.
Tra i meriti storiografici di questo saggio, almeno per il lettore che non è storico di professione, va indicata in primo luogo la dimostrazione che la caduta di Robespierre non fu frutto di un piano accurato, di una congiura dei suoi avversari, ma di una casuale convergenza tra i colleghi di Robespierre e Saint Just nel comitato di salute pubblica, definitivamente intimoriti dal discorso tenuto dall’Incorruttibile la sera prima al club dei giacobini, dunque da una parte giacobina e montagnarda con la componente centrista e moderata della Convenzione, che trova un suo provvisorio leader in Tallien, dovuta innanzi tutto alla paura di essere inseriti nelle prossime liste di proscrizione e poi all’odio e allo spirito di vendetta, che unisce deputati della Montagna e della Pianura, estremisti e moderati. L’analisi puntuale di queste circostanze permette di evidenziare come quell’oggetto storico che in seguito sarebbe stato chiamato Terrore non riposa su una struttura stabile, una volontà di potenza definita e un’organizzazione efficiente di un sistema di potere, come quello delle purghe staliniane, ma su pratiche espressione di mentalità e di responsabilità eterogenee e diffuse. Lo stesso potere di Robespierre, che pure è accusato di tirannide dai suoi rivali, non appare fondato su un nucleo di acciaio di fedelissimi, che ci sono ma non così efficienti, e sul controllo di apparati di repressione, ma sulla parola, su un eloquio abbacinante che incarna agli occhi di molti la virtù. Infondo questa lettura suggerisce che il 9 termidoro può anche essere descritto come crisi o caduta della parola di Robespierre: l’improvvisa mozione d’ordine di Tallien alla Convenzione impedisce all’Incorruttibile di prendere la parola, che trascorre in silenzio in cella il pomeriggio e, anche quando verso sera viene liberato dagli uomini della Comune, e portato alla Maison Commune non è in grado, ancora sorpreso, di formulare un discorso all’altezza della nuova situazione, infine il ferimento della mascella gli leva definitivamente la facoltà di parlare.
In secondo luogo la scansione da cronaca, in cui i capitoli sono dedicati ai vari momenti del giorno e i paragrafi a luoghi della città dove sta accadendo qualcosa di significativo o semplicemente di ben documentato, favorisce una rappresentazione della Parigi rivoluzionaria di tipo annalistico, in cui il lettore coglie anche vari aspetti della vita quotidiana. Nel libro non si muovono solo i grandi protagonisti di cui parlano i manuali, ma cittadini semplici che si trovano coinvolti, talvolta loro malgrado, negli eventi. Questa impostazione è importante perché permette di comprendere che la più grande protagonista della giornata è la confusione, la ridda delle voci ora false ora vere ora troppo frammentarie ora superate che si susseguono non consentendo né alla cittadinanza di comprendere con esattezza cosa è successo alla Convenzione, né ai contendenti quale sia l’equilibrio delle forze e dei favori: man mano che nel corso della giornata si delinea l’evidenza che lo scontro è tra la Comune, roccaforte robespierrista, e la Convenzione, centro dei suoi nemici, si chiarisce anche che il suo terreno è la capacità di imporre la propria versione dei fatti, che non a caso viene vinta dalla seconda, grazie al controllo delle stamperie e alla maggiore persuasività dei propri rappresentanti, con cui riesce a diffondere le proprie deliberazioni e, in definitiva, le proprie ragioni. Questa impostazione è anche importante perché mette in scena anche il 9 termidoro come punto di crisi definitiva del movimento sanculotto. I militanti delle sezioni parigine della Comune sono colti nelle loro incertezze, nei loro timori, dubbi e nei loro rancori che non sono diversi da quelli dei deputati della Convenzione e, quando sono messi di fronte alla scelta, si schierano prevalentemente con questa perché sembra incarnare lo spirito rivoluzionario che antepone le istituzioni repubblicane al singolo per quanto prestigioso.
Eppure questa scelta dei sanculotti comporta l’annientamento della Comune, che esce distrutta come Robespierre dalla giornata, e con esso l’abbattimento dello stesso contropotere rivoluzionario, che è l’unico baluardo contro forme di restaurazione e ripiegamento. Jones sottolinea che la presa di posizione del comitato di salute pubblica, dei deputati montagnardi e della stragrande maggioranza delle sezioni parigine è coerente con i principi rivoluzionari e non ha nulla a che fare con la reazione termidoriana dei mesi successivi, ma nel contempo la sconfitta della Comune determina la liquidazione del processo rivoluzionario e non a caso molti dei protagonisti di quella giornata seguiranno Robespierre sulla ghigliottina o periranno nelle violenze della jeunesse dorèe. Ci troviamo dunque di fronte a un’antinomia tragica tipica di molti eventi storici, ma come emerge dalla descrizione della giornata il processo rivoluzionario si trova già in un vicolo cieco perché ha cominciato a rivolgersi contro i suoi sostenitori più fedeli: non a caso la Parigi del 27 luglio è solcata da manifestazioni popolari che protestano contro l’introduzione di un tetto ai salari voluto anche da Robespierre e messo in atto con cura dalla Comune.
Sottolineando la qualità narrativa del testo non intendevo dire che Jones scrive molto bene, cosa vera ma comune ad altri storici, quanto al fatto che questo tipo di articolazione narrativa consente al testo di avere un’impostazione assolutamente particolare e inedita su questa vicenda perché sviluppa una visione sul 9 termidoro non con il senno di poi, ma per così dire in diretta, in cui i fatti narrati conservano l’incertezza del frangente e non sono riportati ex post, come accade in molti testi storiografici. Essi appaiono dunque sotto la lente della possibilità e non dell’ineluttabilità. Si recupera così una dimensione che è quella dell’inconoscibilità e della parziale aleatorietà degli esiti, che visse ogni contemporaneo di quegli eventi storici.
L’organizzazione narrativa del testo è insomma uno dei motivi del suo valore storiografico. Questo non significa che sia una scrittura di tipo letterario perché da essa si distingue per due motivi tanto evidenti quanto fondamentali: in primo luogo qualsiasi tipo di osservazione anche su un singolo tratto caratteriale di uno dei personaggi, qualsiasi aneddoto, qualsiasi conversazione riportata indirettamente, anche la più interlocutoria, è giustificata sempre dal ricorso in nota a testimonianze e documenti; in secondo luogo la struttura e la lingua di questa narrazione non si avvalgono di quegli strumenti stilistici e retorici tipici della narrativa ( per es. la focalizzazione interna o il libero indiretto). Ciò non toglie che in qualche misura il testo di Jones abbia qualche omologia con opere narrative. Certo l’organizzazione di tipo cronachistico, che non si fissa su un protagonista o un gruppo di protagonisti, ma segue quel che accade a Parigi in quelle ventiquattro ore richiama romanzi come Vita e destino, in cui non vi è né un intreccio né un protagonista unico, ma storie che si sviluppano parallelamente e trasversalmente o anche un romanzo come Una mattina ci siam svegliati di Nanni Balestrini che ricostruisce tramite le voci raccolte dei protagonisti la grande manifestazione a Milano il 25 aprile 1994, favorendo una rappresentazione corale dell’evento in questione.
Questa caratteristica permette di fare alcune rapide considerazioni non solo su questo notevole libro, ma in generale su ciò che ci suggerisce sui rapporti tra scrittura narrativa e storica: in primo luogo il libro dello storico inglese mostra che ci possono essere delle influenze tra scrittura storica e letteraria molto più interessanti e produttive di quello scrivere storia in prema persona che, giustamente, Enzo Traverso ne La tirannide dell’io, di cui ho già parlato qui, considera problematico. In secondo luogo questo aspetto positivo è, almeno in parte, dovuto al fatto che non vi è una dimensione di memoria individuale e dunque si supera appunto ogni pretesa di tirannide dell’io a favore di una dimensione collettiva, che prevede e in parte tematizza il conflitto delle memorie divergenti. In terzo luogo questi rapporti con la letteratura sono mantenuti entro limiti accettabili dall’uso rigoroso delle fonti, che limitano ogni eventuale abuso della memoria. In quarto luogo questa contaminazione positiva è possibile perché Colin Jones non sottomette mai la narrazione storica totalmente schiacciata sul presente e funzionale alle esigenze dell’ideologia attuale, cioè non cade mai in quello che Traverso chiama il presentismo.
Grazie, caro Giorgio di questa mirabile recensione di un libro che mi piacerebbe leggere subito, se non avessi appunto la pila di libri che attende i miei tempi che stanno diventando, per ragioni di vario tipo, troppo lunghi. In effetti, da ignorantello superficiale, mi ero sempre chiesto come mai l’onnipotente e incorruttibile Robespierre fosse caduto da un giorno all’altro e già dalla tua recensione si comincia a capire qualcosa di (da me) insospettato. Grazie davvero.
Caro Antonello grazie a te. Che la caduta di Robespierre fosse dovuta a motivi contingenti è già un dato storico acquisito, quello che questo libro aggiunge è l’aleatorieta di alcune di queste circostanze e l’assoluta incomprensione da parte di molti protagonisti del capitale significato politico per la Rivoluzione della giornata