Anna Maria Gehnyei: diritto di parola
Una conversazione con l’autrice de Il corpo nero
di Davide Orecchio
Poche settimane fa, a Roma, dall’incontro con la scrittrice britannica Bernardine Evaristo – un dialogo con Djara Kahn e Igiaba Scego che ha inaugurato l’anteprima del Letterature Festival – è emerso un tema cruciale se si ragiona sulla narrativa italiana di seconda generazione. L’ha sollevato Kahn, osservando che l’Italia sembra “adorare le persone nere, quando non sono italiane”. Romanzi e serie tv afroamericani ricevono molto spazio e l’attenzione del pubblico, ha spiegato la scrittrice italo-ghanese. Più in generale, la letteratura afrodiscendente mondiale ha maggiori possibilità di essere edita e letta in Italia rispetto al passato. Ed è ovviamente un bene notevole. Ma, secondo Kahn, quando si tratta di dare voce a scritture o storie di afrodiscendenti italiani, la finestra editoriale si restringe.
Evaristo ha replicato che nel Regno Unito la situazione non era diversa, almeno fino a pochi anni fa. E ha invitato le colleghe e i colleghi afrodiscendenti italiani a conquistarsi il diritto di parola e di pubblicazione organizzandosi e lottando per ottenere spazi maggiori.
Colpisce che questo ciclo di incontri alla Casa delle letterature si concluda, giovedì 22 giugno, con un’ospite che avrà senz’altro qualcosa da dire sull’argomento: Anna Maria Gehnyei, in arte Karima 2G, artista e musicista italiana di origine liberiana (vedi in fondo la nota biografica) che ha da pochi mesi pubblicato il suo primo libro: Il corpo nero (Fandango Libri 2023).
Un libro che viene da lontano
Il corpo nero è un’autobiografia che avanza cronologicamente in una successione di quadri. Ogni capitolo una piccola epifania dalla vita di un’italiana di seconda generazione. Prima bambina, figlia di immigrati liberiani “intrappolati” a Roma, poi adolescente, infine giovane adulta, finalmente italiana anche per la burocrazia, una donna cui viene riconosciuta la cittadinanza.
La storia è narrata in prima persona, in una lingua lieve, mai altisonante, tutta al presente, in un’architettura la cui voluta leggerezza è forse necessaria per un racconto “grave”. In fondo il racconto di una liberazione. Il percorso compiuto da una donna fino all’incontro con sé stessa, con i propri diritti, con i propri mezzi espressivi. Leggendo mi sono chiesto se fosse un libro che viene da lontano, frutto di una scrittura diaristica raccolta nel corso degli anni. O se invece Gehnyei avesse deciso di scriverlo adesso. E se sì, perché proprio adesso?
“È un libro che era nel cassetto da tanto tempo, penso fosse lì ancora prima che io nascessi”, mi risponde l’autrice in una conversazione che abbiamo coltivato via mail in questi giorni. “Quando ero piccola, mia madre non faceva altro che ripetermi: ‘Anna, quando diventerai grande racconterai la nostra storia. E magari chissà ci scriverai un libro. Racconterai la storia della nostra terra, del mio villaggio e di quello di tuo padre. Almeno così, del sacrificio dei tuoi antenati rimarrà qualcosa’”.
“Ma questo libro che ho dedicato interamente al mio albero genealogico e ai frutti che ne verranno – prosegue Gehnyei – non parla solo della storia della mia famiglia, della Liberia e di come i miei genitori sono arrivati in Italia. Parla anche di me, del mio vissuto interno ed esterno, a scuola e fuori dalle mura domestiche. Penso che anche mio padre, in tutto il suo silenzio, sotto sotto sperava che un giorno scrivessi un libro. Tanto da regalarmi un diario dei segreti ogni anno. Con il passare degli anni, quel diario è divenuto il mio migliore amico, il terapista con il quale sfogarmi”.
La risposta, dunque, e che Il corpo nero “è decisamente un libro venuto da lontano, guidato dalla forza dei miei avi, cresciuto dentro di me con il tempo, manifestandosi giorno per giorno nel presente. Perché adesso? Negli ultimi anni, da poco prima della pandemia ad oggi, sono stata motivata da molte donne femministe che, sentendo la mia storia arrivata a loro attraverso la mia musica, mi suggerivano di scrivere. Diciamo che la pandemia ha portato maggiore consapevolezza e il tempo per potermici dedicare, recuperando tutti quei vecchi diari”.
Come nasce un bisogno narrativo
Leggo in una pagina de Il corpo nero: «Le altre mamme giocano con le figlie e raccontano loro anche le favole. Ma io non potrei mai credere a quelle storie, perché bianchi sono i loro racconti, proprio come bianca è la loro pelle. Sono scritte apposta per loro, con fate o gnomi rosa pallido e inverni freddi e nevosi. Mamma, da dove vieni tu, tutto è colore, non solo la pelle (…) nutrimi dei tuoi racconti come mi nutrivo del latte dal tuo seno. Ho fame delle mie radici, ho bisogno di sapere da dove vengo».
Mi sembra che si possa individuare in questo brano l’origine del – chiamiamolo così – “bisogno narrativo” di Gehnyei. L’esigenza di storie alle quali poter credere. Storie da ascoltare e, ora, da scrivere e raccontare agli altri.
“È un passaggio importante nel libro – conferma l’autrice –. Ricevere i tesori culturali dai propri genitori è ricchezza, aiuta nella ricerca di una identità. Da piccola, più ascoltavo e più avevo voglia di sapere. Le fiabe di mia madre fortificavano il mio desiderio di andare in Africa. Era bello vederla sorridere mentre ci raccontava quelle fiabe, storie della sua infanzia. Anche oggi quando lo fa, sono i momenti in cui la vedo veramente felice. Il bisogno di narrare attraverso la musica, la voce, la danza, e ora attraverso la scrittura, è vitale per me”.
Musica e identità
Musica, danza… In un’altra pagina (il capitolo sul suo primo viaggio in Liberia, il paese delle origini, e sul ritorno in Italia) Gehnyei scrive: «Cos’ero, allora? Cosa sono? Capisco che un modo di cercare la risposta è fare musica». Il libro è colmo di un’educazione musicale ricevuta fin da piccola. Quell’impianto stereo in soggiorno quasi sempre acceso. La musica ascoltata dal padre. E poi la musica scelta e amata dall’autrice. Non solo un mezzo di espressione ma un luogo di identità, ancora prima della parola.
“La musica per me è vita – spiega Gehnyei –. Ci sono stati dei periodi in cui ho cercato di disintossicarmi dalla musica. Ho provato a creare del distacco, ho cercato di non immergermi totalmente, ma non ci sono riuscita. Non c’è un giorno in cui non ascolti musica. Ci sono, addirittura, giorni in cui ascolto la stessa canzone in loop per tutto il giorno. Sicuramente la musica reggae, l’afrobeats, il grime Uk e l’amapiano sudafricano che suono nei miei dj set sono i generi che prediligo di più. Ma amo anche la musica techno. Dipende dallo spirito che ho”.
Amo Roma, Roma mi ama
La vita raccontata ne Il corpo nero si svolge prevalentemente tra i quartieri di Roma Nord. Una zona della capitale attribuita antropologicamente, e spesso semplicisticamente, ai “clan” dei romani ricchi, sprezzanti, snob. Roma Nord contro Roma Sud eccetera eccetera. Non deve essere stato semplice crescere laggiù.
È anche la zona della città dove Gehnyei incontra il fascismo. Ogni italiano, prima o poi nella sua vita, incontra il fascismo. È un’esperienza inevitabile per chi vive in questo paese. Gehnyei l’ha fatta più volte; forse, in quanto afrodiscendente, più della media. Da subito a scuola, subendo un’insegnante di matematica razzista e nostalgica di Mussolini. Poi nel quartiere: insultata e aggredita da una banda di ragazzi di estrema destra (nel capitolo più acuto del libro si racconta la violenza subìta da uno di loro). Quindi un ragazzo di CasaPound, quasi una storia d’amore interrotta prima di nascere. Eppure Gehnyei scrive nel libro di amare Roma. Ma si sente amata da Roma?
“Non posso giudicare un intero quartiere per colpa di tre individui – risponde –. Erano anime perse, o come si dice a Roma ‘scappati di casa’. Sono grata a Roma Nord. Essere the only black girl in the village ti spinge a farti delle domande, a chiederti chi sei. Ciò che non è facile non è crescere in un ambiente snob, ma il fatto di non essere vista come persona portatrice di un dono, portatrice di una storia unica e irripetibile, come ogni persona”.
“Quando di te vogliono fare un corpo oggetto – prosegue Gehnyei –, un corpo non pensante, ti senti un vuoto cadere in fondo al cuore. Richiede poi molto coraggio riempire quel vuoto. Il rifiuto del diverso e del suo patrimonio non avviene solo a Roma Nord. Amo Roma e Roma mi ama a modo suo. Ho fiducia in lei anche se a volte mi fa un po’ arrabbiare. Si sa che le relazioni lunghe sono difficili da gestire, ma andiamo avanti”.
Il corpo nero è politica
«Il mio corpo ha un colore e per strada me lo fanno notare»: è quanto si legge in un brano finale del romanzo. Chiedo a Gehnyei se arriverà il giorno in cui questo non succederà più. E, se questo giorno dovesse arrivare, per lei che espone il suo essere con amore e orgoglio («Io nel mio corpo nero decido di abitare»), sarebbe un giorno positivo o negativo?
“Il corpo nero è politica – mi risponde –. Lo era in passato, lo è oggi, e penso che lo rimarrà ancora a lungo. In Italia, credo che arriverà il giorno in cui non mi faranno più notare di abitare in un corpo nero. Ma c’è ancora tanto bisogno di lavorare sul razzismo contemporaneo e sui processi di razzializzazione. Dall’altra parte, però, devo dire che qualcosa sta già avvenendo nella Generazione Z. Negli ultimi mesi ho incontrato centinaia di ragazzi e ragazze desiderosi di guardare oltre mettendosi anche in discussione. Con loro, non sento barriere e non sento un colore sulla pelle. Da quando ho imparato a celebrare il mio corpo, la positività regna e vince su chiunque vuole farmi credere di essere inferiore”.
Biografia
Anna Maria Gehnyei, nota con il nome di Karima 2G, è cantante, danzatrice, e producer italiana di origine liberiana. La sua carriera artistica inizia come danzatrice ma presto diventa vocalist professionale e dalle consolle delle maggiori discoteche italiane. Nel 2014 esordisce come solista e i video dei primi due singoli Orangutan e Bunga Bunga, provocano reazioni in pubblico e critica. Grazie al suo percorso artistico, la John Cabot University le riconosce una borsa di studio internazionale, e nel 2020 Karima si laurea in Communications e Political Science. Nel 2022 debutta con il suo primo spettacolo teatrale “If There Is No Sun”, di cui è anche autrice. Il corpo nero è il suo primo romanzo.
Ringrazio Francesca Esposito di Fandango Libri per avermi aiutato a raccogliere questa conversazione.