Una storia finita bene

di Walter Nardon

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La corriera frenò in modo brusco, andando quasi a sbattere contro il cestino posto accanto al palo della fermata: l’autista era nuovo. I passeggeri già in piedi oscillarono aggrappandosi chi a un sedile, chi alla propria valigia. Poi le porte si aprirono e cominciarono a scendere. La prima fu una donna bionda che teneva per mano un ragazzo di undici anni con un enorme zaino e nell’altra un trolley di medie dimensioni. Per quanto potesse sembrare inverosimile, aveva scritto alle amiche che si sarebbe regalata un fine settimana di vero relax.

Si fermò un istante a controllare il telefono. Mentre il soprabito grigio e la cartella di pelle nera indicavano un’eleganza ordinaria, ma innegabile, il figlio era ingolfato in un enorme piumino nero con felpa viola oversize, pantaloni da paracadutista e scarpe da basket il cui abbinamento esprimeva un che di ostinato e di casuale.

«Non ci sarà nessuno della mia età».

«Ci saranno al corso. Te l’ho già detto. Non lamentarti».

«Posso avere almeno il gelato?».

«Arriviamo in albergo e poi vediamo».

Anna aveva già soggiornato in quella località balneare per famiglie: la prima volta ci era rimasta dieci giorni, in una meta che a vent’anni avrebbe trovato improponibile ma che a ventiquattro, con le amiche, aveva assunto un’altra fisionomia e che a ventotto l’aveva addirittura conquistata con l’atmosfera e la vita capricciosa che muoveva i turisti verso le uscite più improbabili. Naturalmente, allora stava con Paolo.

Si voltò indietro: «Finiscila di lamentarti, siamo quasi arrivati».

In effetti l’albergo era proprio lì a due passi. La facciata aveva subito una risistemazione che l’aveva resa meno monumentale; anche il colore, ora verde oliva al posto del bianco, se nelle intenzioni avrebbe dovuto renderlo più accessibile, in realtà l’aveva sminuito fino a farlo confondere fra gli altri, mentre allora era inequivocabilmente uno dei più eleganti piccoli hotel della cittadina, un tre stelle che avrebbe meritato di più. Comunque, nonostante la bassa stagione, quasi non era riuscita a trovare posto.

Da uno dei tavolini davanti all’entrata la salutò una signora robusta che si stava alzando proprio in quell’istante: «Buon giorno, ben arrivati». Aveva più di settant’anni.

Anna rispose con un cenno di capo.

«È sempre un piacere incrociare una donna indipendente».

Appena dentro, la signora chiamò un commesso perché si prendesse cura della valigia.

«Le do subito i documenti», disse Anna.

«Oh, no, per carità, non a me, può farlo alla Reception con tutta calma. Si tratterrà a lungo?»

«No. Solo per il fine settimana»

«Beh, spero di avere il tempo di conoscerla. Ricordo al nostro eroe che a partire dalle quattro si serve la merenda» disse, allontanandosi verso l’interno e rimettendo a posto il soprabito sopra uno splendido vestito a fiori. Il ragazzo intanto giocava con le caramelle poste in un vaso sul banco della Reception.

«Mirco, non farmi incazzare».

 

2.

Il rapporto col denaro nasconde spesso motivazioni complicate. Ad esempio, per quale ragione entrare in una boutique monomarca a comprare un abito da mille euro se, grazie a qualche sapiente indicazione, per lo stesso capo ce la si potrebbe cavare con meno della metà rivolgendosi direttamente a un outlet, o meglio allo spaccio aziendale? Di fronte al dilemma, e al prezioso suggerimento che aveva dato a sua cugina, lei gli aveva risposto: «Per una volta non voglio fare calcoli, voglio fare come quelle che se lo possono permettere» ed era corsa felice a buttar via i suoi soldi. Ecco, avere stima di sé in virtù della capacità di affrontare un sacrificio gratuito è sicuramente un argomento da approfondire.

Da quasi undici mesi Enrico era un uomo libero, se non fosse che tutta quella libertà – più apparente che effettiva – gli era piombata addosso improvvisa dopo la separazione e certo non per scelta sua. Partito alle undici da Rimini, dove si trovava da due giorni per chiudere una compravendita, ora guidava lungo le distese dell’A14 Adriatica. Si sentiva meglio. Certo sua cugina cercava il riscatto in direzione sbagliata. Come sempre si faceva strada in lui qualcosa di spontaneo, che si accompagnava però a una determinazione incerta, come se la volontà, prima di giungere a effetto, dovesse passare il vaglio del raziocinio pagando di volta in volta un prezzo più alto e finendo per estenuarsi; in parte questo era frutto di un carattere poco volitivo, ma la parte prevalente andava ricondotta alla crisi che l’aveva colto nei mesi della separazione e che non era ancora scomparsa. Sì, aveva ricominciato a uscire, prima con qualche amico poi, su consiglio dei suoi familiari, in contesti lontani dalle sue abitudini, ma non ne era ancora fuori. I corsi di ballo lo avevano stufato, così a un certo punto era passato alle gite. L’aveva conosciuta proprio in una di queste, in un viaggio verso un museo di Treviso che non gli sarebbe mai venuto in mente di visitare (la mostra era stata messa in piedi attorno a cinque tele di valore, il resto era poca cosa); anche se non disprezzava di dare di tanto in tanto un’occhiata alle pagine culturali, l’arte lo consolava poco. Era più che altro un uomo da esercizi all’aria aperta, o almeno era contento di pensarlo. In realtà usciva poco e si muoveva solo per i sopralluoghi legati all’acquisto o alla vendita di capannoni dismessi; lo faceva con grande accortezza, parlando con tono pacato e lasciando in albergo mance ragionevoli e altrettanto discrete che rispondevano a una strategia personale per affrontare l’imprevisto: supponeva di aver reclutato in un certo numero di alberghi del Triveneto una schiera di alleati pronti a venire in soccorso del meno rilevante dei suoi bisogni. Del resto, non amava gli inconvenienti. Rosa, la sua quasi ex-moglie, lo riteneva unico nel suo genere, ma poi se n’era andata con un imprenditore del settore plastica con la passione per l’e-bike. Proprio perché lavorava in un mercato turbolento – e, dopo la separazione, in una congiuntura peggiorata – il ricordo dei sacrifici sostenuti per uscire dalle aule universitarie reclamava di tramutarsi in qualcosa di durevole.

Il piano di spedire Mirco al corso di scherma era suo; dopo una rapida valutazione, Anna non aveva trovato nulla da ridire.

 

3.

In effetti, il primo pomeriggio andò meglio del previsto. Si era fatta dare in anticipo il pezzo di torta della merenda di Mirco e lo aveva accompagnato – recalcitrante ma fiero della sua nuova tuta – fino alla storica palestra di scherma distante ottocento cinquantatré metri dall’albergo (così il cellulare). Lì, dopo le rassicurazioni sulla regolarità dell’impianto, si era fermata solo un quarto d’ora; del resto, e in questo caso provvidenzialmente, Mirco non amava che sua madre si fermasse a guardarlo mentre impugnava il fioretto. E dunque era rientrata. Enrico era già arrivato: camera sullo stesso piano ma dietro l’angolo. Per Anna e il figlio, invece, camera doppia con porta comunicante. Per lei letto matrimoniale: «Voglio stare comoda».

Certi alberghi sanno offrire ogni sorta di confort.

 

4.

La sera, Anna e Mirco erano scesi a cena in un tavolo in mezzo alla sala da pranzo. Dietro di loro la signora dal vestito a fiori, ora in un’elegante fantasia color vinaccia, conversava con un’amica che era venuta a trovarla. Enrico stava in un angolo, col tablet davanti, simulando la posa di chi non ha tempo da perdere neanche quando mangia (anche se un’occhiata verso Anna, ogni tanto, continuava a darla).

Scomposto sulla sedia, Mirco era seccato con i compagni di corso «degli stronzi», ma aveva imprevedibilmente apprezzato il maestro perché fin dall’inizio – nella prontezza e precisione nell’uso dell’arma – aveva saputo intuire alcune qualità che nel suo gruppo sportivo erano state già colte come promettenti. Ora, due pareri a favore erano quasi una certezza. Non era arrivato al punto da ringraziare la madre, ma non era troppo scontento e quindi lei si era complimentata da sé:

«Hai visto che abbiamo fatto bene? Io sto un po’ al mare e tu migliori nella scherma. Vedrai come ti guarderanno i tuoi compagni di squadra al ritorno, già lunedì».

«Sì, ma resta il fatto che qui sono stronzi».

La signora dietro il loro si chiamava Erminia. Dalla conversazione (una delle due aveva problemi di udito) Anna aveva compreso che si trattava della moglie di un giornalista che si occupava di cose di Chiesa, un vaticanista. Questa specializzazione esotica doveva aver portato con sé un gran numero di relazioni, poiché la donna – col tono ricorrente di certi ambienti della capitale – parlava di personalità note come se fossero di casa. E non solo l’amica non aveva nulla da ridire, ma nella sua conversazione confermava la disinvoltura con cui l’altra parlava di queste relazioni. Aveva ovviamente incrociato molti cardinali e giornalisti; di passaggio aveva perfino fatto cenno a Enzo Biagi; conosceva il mondo cinematografico. E poi la politica, i nomi dei maggiori esponenti di orientamento democratico cristiano per lo più scomparsi, o anziani e acciaccati. Si fermò pericolosamente sulle soglie del caso Moro, di cui però, a sentirla, si era fatta un’idea che sintetizzando si poteva riassumere in questo modo: hanno lasciato che le cose seguissero il loro corso. Nella sua aggettivazione musicale mostrava di essere invecchiata in un ambiente in cui il bene era un contrassegno di riconoscimento che rendeva più facile intendersi, almeno «fra simili».

«Dici del vescovo di ***? Sì, l’ho visto di recente. Sarebbe una testa finissima, se non fosse impaludato in mille questioni della diocesi. Deve trovare qualcuno, gliel’ho detto, non può mica sperare di fare tutto da solo. Suo fratello, invece, è uno psicologo. Uno bravissimo, dicono; e così serio. Dovrei proprio scrivergli».

La soddisfazione del pomeriggio (e dei quattro passi in solitaria sul lungo mare, poco prima di tornare a prendere Mirco) aveva lasciato in Anna un appagamento che la rendeva padrona di sé. Non aveva quasi guardato in direzione di Enrico. Fra il primo e il secondo aveva preso in mano il telefono e aveva confermato quanto già detto alle amiche: «Non avete idea. Qui si sta davvero benissimo».

 

5.

C’era di che riflettere. L’aumento degli affitti per gli studenti universitari aveva determinato un effetto secondario sulla generazione più vecchia, quella di chi lavorava con contratto precario – ma anche di un buon numero di partite iva – che per effetto di questa concorrenza d’un tratto si era trovata ad affrontare la questione-alloggio in modo molto più complicato del previsto. Non era una novità, questa semmai la vedeva nel tono del quotidiano finanziario, in genere poco sensibile al tema. Ristrutturando un immobile con i benefici per la destinazione ad alloggio per studenti, c’era chi aveva colto l’occasione di un buon profitto, ritoccando poi il canone verso l’alto perché ora si trattava a tutti gli effetti di un nuovo appartamento. Tutto legittimo, si intende, tranne – a ben vedere – i benefici statali, che non sembravano essere finiti nella direzione sperata, a meno che non si volesse malevolmente credere che questa fosse proprio quella di incentivare la speculazione. Lui, per ora, non ne era stato toccato.

Anna lo stupiva. La sua disinvoltura, il suo approccio così disinibito lo aveva conquistato più che nei loro precedenti incontri: si mostrava in completo accordo con lui, senza il minimo sforzo di piacergli. Lo aveva sorpreso, sciogliendolo per un istante dalle complesse necessità della sua prudenza per condurlo a vivere il presente senza imporvi, per così dire, la solita ipoteca. Aveva una coscienza del suo corpo così serena. O forse, più semplicemente, gli si era affezionata: gli voleva bene. Per quanto i loro incontri esigessero un’organizzazione complessa – e  per quanto questa comportasse senza dubbio costi non trascurabili – si sentiva propenso ad affrontarla; anzi, come in questo caso, aveva perfino cominciato a contribuire, a dare ad Anna una mano concreta.

Passò in rassegna le previsioni per la domenica, poi tornò a un articolo sui limiti degli investimenti in ambito digitale.

Certo, in astratto, la sua non poteva definirsi una situazione vantaggiosa: difficilmente Anna avrebbe potuto trasferirsi. L’affidamento congiunto di Mirco con l’ex-marito la vincolava, questo era inevitabile; ma il ragazzo stava crescendo. Dopo aver sperato, per lo più inconsapevolmente, che fosse lei a trasferirsi, da un po’ di tempo aveva cominciato a valutare un’opzione remota, quella di fare lui il grande passo; ma le difficoltà non mancavano e sapeva che gli ostacoli sarebbero cresciuti, proprio ora che stava riguadagnando un po’ di calma. Aveva intuito che non sarebbe stato tanto il lavoro a soffrirne, quanto proprio ciò che a lungo gli era stato più a cuore, il momento in cui staccava e poteva tornare a casa conscio di aver fatto il suo dovere. In fondo, non avendo figli, per lui la casa si era ridotta alla funzione di rifugio-tana in cui ritirarsi dalle eccessive preoccupazioni materiali, il luogo di un relax che non doveva essere interrotto.

Anna era discreta, elegante, cosa ancor più degna di nota, dato che lo stipendio era di molto inferiore al suo. In più aveva gusto; e si sa, il gusto in queste faccende è tutto. Prendere una nuova casa in affitto, arredarla quel minimo da avere ogni cosa a portata di mano (in sintesi, riprodurre su scala maggiore la sua organizzazione casalinga) poneva delle difficoltà, ma non era impossibile. Poi c’era la questione-Mirco. Ma tornare a trovare i suoi sarebbe stato più complicato, ancor di più se avesse dovuto seguirli, assisterli, cosa che ormai, vista l’età, non poteva escludere.

 

6.

La mattina dopo tutto appariva tranquillo. Le sale da colazione degli alberghi sul mare sono luoghi dove fra gli esseri umani regna un’armonia quasi edenica: non sembra vero di poter dedicare tanto tempo a un’attività il più delle volte risolta in fretta, addirittura in piedi; quella mattina, però, un cameriere aveva rovesciato una brocca di spremuta d’arancia su un tavolo, creando un momentaneo scompiglio accolto dai presenti con la più celeste delle comprensioni, tanto più che in quel momento al tavolo non era seduto nessuno. Mentre su indicazione del cameriere Anna e Mirco si stavano accomodando (Anna aveva ordinato), Erminia si fece loro incontro con una tazza da tè in mano:

«Vi dispiace se mi unisco a voi, mentre rimettono a posto?»

«No, anzi. Mi spiace per il suo tavolo».

«Oh, non fa nulla. Quando si è in vacanza si sopporta tutto, tanto più se ci si trova bene. E qui non manca niente, lei che dice?»

«Sì, anche noi ci troviamo bene».

Mirco fece giusto un cenno con la testa, prima di girarsi verso i due camerieri impegnati a pulire il pavimento.

«Le colazioni sono particolarmente apprezzabili».

Benché l’avesse sentita discorrere di persone note non risparmiando giudizi sintetici – «***, poverino, era un pozzo di scienza, ma spesso era anche di una noia mortale» – sembrava che giudicasse le persone a partire da un intimo convincimento, a prescindere dai risultati raggiunti; se questo la poneva nella condizione di ignorare la reale statura del suo interlocutore – che del resto le importava poco – la induceva però ad assecondare la sua generosa disposizione d’animo, trattando chiunque in modo equanime. Che poi arrivasse anche a comportarsi così, ossia che, chiusa la conversazione, non desse alcun credito alle disuguaglianze sociali, era già un’ipotesi più azzardata.

Mirco era corso al tavolo per prendersi una fetta di torta alle pere.

Il cameriere servì il caffè per Anna e il latte macchiato per il figlio.

«E il campione?»

«Mah, sta facendo un corso di perfezionamento in fioretto».

Mirco rivolse alla loro interlocutrice un breve sguardo, che accompagnò a un cenno poco più convinto del primo, continuando a tacere e a mangiare la torta. E in effetti, poco dopo chiese alla madre di poter salire in camera a cambiarsi e si dileguò.

«Lo scusi, è molto preso».

«Capisco. Ho un figlio anch’io. E non creda, benché ormai sia un uomo, conserva ancora molte abitudini di quando era ragazzo».

Nel frattempo, anche Enrico era sceso, aveva ordinato e con tutta calma si era diretto al buffet.

«Comunque,» riprese Erminia, «mi sembra che lei se la stia cavando benissimo. Volevo invece chiederle: mentre Mirco è in palestra, si è per caso già prenotata per i massaggi e il ciclo detox in spa? Ho già formato un gruppo di amiche per andarci insieme e credo che non avrebbero nulla in contrario se lei ci raggiungesse».

Anna rimase un istante in silenzio, poi disse: «La ringrazio, ma forse è il caso che cammini un po’ all’aria aperta». Lasciò passare un altro istante in cui Erminia si trattenne dall’intervenire e poi aggiunse, quasi come una precisazione non richiesta: «O magari rimango un po’ in stanza a leggere. Mi scusi, ogni tanto l’avere di nuovo del tempo per me mi coglie di sorpresa. Sono quasi impreparata».

Enrico aveva preso un tè con biscotti.

«Non me lo dica, lo so anche troppo. È una questione matematica. Essere soli a gestire un figlio richiede il doppio dell’attenzione e altrettanta disponibilità: e questo porta a dimezzare le possibilità di movimento. Alcune mie amiche rimaste sole non hanno saputo come rimettere in sesto la loro vita per parecchio tempo, ma immagino che oggi per chi è più giovane sia un po’ più facile: ci sono tante diavolerie digitali per conoscersi».

Mentre beveva il tè, l’amabilità di Erminia aveva fatto passi avanti; l’esperienza aveva tenuto a bada le ambizioni di una curiosità un tempo troppo impaziente e le aveva permesso di esprimere alcune considerazioni che ad Anna erano parse non prive di buon senso, benché generiche. Del resto, alla volontà di Erminia non si poteva negare un moto benevolo – il tratto caratteriale che, stando a lei, la distingueva anche da suo marito.

Enrico era passato alla torta di mele.

«Non lo so, provo molta diffidenza per le applicazioni di incontri».

«Beh, io sono davvero di un’altra generazione ma penso che l’incontro diretto, per quanto complicato, vada sempre favorito. Del resto, le gioie maggiori, come purtroppo i dolori più cocenti li dobbiamo conoscere direttamente. E io credo che esperienze come queste, intendo la possibilità di trascorrere un fine settimana in una struttura di tutto rispetto, siano l’occasione ideale per alimentare la nostra vita di relazione».

Anna avvertiva un fastidio incipiente: «Beh, magari in teoria. Poi dipende. Forse dovrò scusarmi con lei, ma trovo i gruppi e le associazioni un po’ troppo impegnativi per i ritmi di vita che mi sono imposta».

«Oh, ma la prego, usciamo subito da un equivoco. Qui non si tratta di esperienze collettive, ma delle più squisite fra quelle individuali. Dicevo, sono i posti ideali in cui conoscere qualcuno, o farsi conoscere; incontrare qualcuno o farsi raggiungere. Sotto questo profilo non è cambiato niente. È tutto come un tempo: per fare qualche esperienza non ci sono rimaste che le terme, con la loro vaporosa promiscuità o, in bassa stagione, queste stazioni balneari. Mi scuso se per caso le sto dando l’impressione di esagerare ma, pur essendo sposata, non posso fare a meno di sapere come vada il mondo».

«E come va, il mondo?»

«Ma come sempre, cara, ovviamente».

 

7.

Enrico era irrequieto. Dal suo tavolo sembrava che la conversazione di Anna con la signora anziana la turbasse: si chiese se potesse fare qualcosa per interromperla, ad esempio un passaggio accidentale accanto a loro, un finto inciampo, in modo da distoglierle per un istante dall’argomento che stavano trattando. Sul viso di Anna si era fatta largo un’espressione di improvviso imbarazzo, come se stesse subendo un interrogatorio a cui avrebbe voluto sfuggire. Si era trattenuto solo perché sapeva di essere incline a enfatizzare gli aspetti negativi. Perciò si diede un limite: se entro un paio di minuti non fosse successo qualcosa, si sarebbe diretto verso di loro.

Ma in effetti qualcosa cambiò. Dopo un istante di silenzio, Anna rispose alla sua interlocutrice sorridendo in un modo così goffamente complice che sembrava portare impresso il segno della spontaneità: al che la signora rise molto più apertamente. Forse, dunque, si era trattato di un equivoco.

Tutto questo però rendeva ancora più evidente che non avrebbe potuto continuare a lungo in quel modo, restando in un angolo a interpretare ogni dettaglio: doveva avvicinarsi, uscire dall’oscurità che lo tutelava, ma che non rendeva in alcun modo migliori le sue giornate. Avrebbe dovuto fare un passo avanti, magari anche con prudenza, per quanto questo – gli fu chiaro come un’intuizione definitiva – significasse in primo luogo presentarsi a Mirco.

Ci sono decisioni che si annunciano con la forma di una necessità non più differibile: davanti a queste non si può che assecondare il moto interiore cercando di mantenere un’espressione equilibrata. Enrico si alzò in piedi e si diresse verso il tavolo dove Anna era seduta con l’amica. In quel mentre, da una porta sbucò anche Mirco, vestito della sua tuta fiammante, tanto che i due, arrivando da direzioni opposte, vennero a trovarsi entrambi a un metro di distanza dalle due donne.

Tre mesi dopo Enrico e Anna presero casa insieme.

 

 

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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