i poeti appartati: Elvio Carrieri
Mi colpiscono i versi che hanno storia e un corpo, una passione che è fuori tempo massimo, scolpiscono la pagina, e mi lasciano sorpreso senza aggiungere nulla nè togliere alle cose, che è cosa ancor più rara. effeffe
Cinque poesie inedite
di
Elvio Carrieri
Eῖδος
Su un esemplare di scheletro
Non è disprassìa
Sono i tratti della bocca
Che proprio non mi piacciono
Fanno paura
Quanto un’antica maschera cinese
Sono i muscoli striati
Maledetti, inesistenti
Lavativi corrotti sicuramente
Abominevoli
Che si rendono al cospetto della mente
Non è disprassìa
Non è una colite che mi semplifica
Fosse solo così facile
Dissolversi nella malattia
Non è neanche la gola
Che perderò con la giusta postura
A rendere giustizia
Non sono le anche, il costato
Gli accenni di scabbia
O forse è la signorìa
Di quel ventre colluso e sprezzante
E di quel feudo che chiamo stomaco
Che mi rigo come una bestia
E trasporto come una missiva
A rendere giustizia è la paura
Non è mica disprassia
Questa assurda involuzione
In-volontà di muoversi
Forse è solo lo scheletro
Forse fargli giustizia è impossibile.
*
Ci ho messo appena tre anni
Ci ho messo appena tre anni
Per farti capire
Che quelli che scrivo non sono ditirambi
Sottesi, o peggio ancora
Poemetti in prosa, o sperimentazioni
Illuminate, contusioni insomma
Di una qualche singolare zona del cervello
Ho tentato addirittura
La mossa del malmenato
Dell’uomo scheletrico
Un Kafka ancora più secco e ancora più magro
Ci ho messo appena tre anni
Per capire e poi dimenticare
Effettivamente cosa fosse un ditirambo
C’era poco da fare in fondo
Oltre che tornarmene da solo a scavare.
*
A un Bestiario del passato
È facile sorprendersi se a tratti
Anche l’ombra soggiace a un’altra ombra
Tanto diversa quando si compone
Copre per sé, come se fosse il tutto
Come se a un tratto il buco nell’asfalto
Lo scheletro sventrato dell’uccello
Mi ricordassero che sono un uomo
Che sono vivo e anch’io porto uno scheletro
Ed anche lui con me si porta un’ombra.
Dal bianco dei miei occhi calcinati
Li stringo in mano, annodo le falangi
Sciolgo le trecce e il groppo delle vene
Dalla stanca parabola che formo
Sul limite, sul bordo della strada
Fino a dove la calce si costringe
Sento la crepa, il tratto che non bada
A ricongiungersi, la mente che straborda
E non recide, e neanche mi determina
E non occorre il ghigno del coltello
L’amplesso che fa il rame nell’acciaio
Non occorre il silenzio del portone
Altre falangi, altre capigliature
Luoghi migliori, altre nevrastenie
Tutto ciò non occorre per salpare
L’ombra comparirà, si farà netta
Verso una consuetudine che attende
L’ombra che niente vuole e niente prende
Fino a dove la calce si costringe.
*
Neuköln
La turbolenza scorre sotto i polsi
Allora in ordine
Cedono petto viscere carni
Caviglie accorpate nel decollo
La convinzione
In aria c’è l’odore di una congiura
Dove dorme il dolore
Commisto alle orme
La turbolenza scorre sotto i polsi
Così con eleganza si ripiega al padre
Che faccia la sua volontà
Ma non troppo di getto
Non in modo così barbarico
Qui fuori da me la convinzione
Il tanfo delle biomolecole che brama
Sono pronto a disgiungermi
Dov’è la presunzione
Nel credermi parte di questa creazione sigillata
Il capitano parla in portoghese
In aria c’è l’odore di una congiura
E il vecchio con l’occhio bionico
Ancora non si siede
Chissà che aspetta a farsi volontà
Cosa gli costerà mai arrivar fin qui
Stracciarmi il doppiopetto
Coprirsi il volto sfigurato dalle piaghe
Guardarmi nelle tempie
Aprirsi l’epicardio
E sputarmi nel cuore
E dirmi sono qui per te che tremo
Non così
Non in modo così barbarico
Il padre non può cedere alle mie lusinghe
La mia volontà
deve farsi signora
La mia congiura deve avvelenarmi da sola.
*
Quasi un Lied
Certo mi guardi
Come farebbe un’avèrla
Sul palo che è il ramo
Dove poi finirei scorticato
Credo fra poco
Dovrei darmela a gambe senza ritegno
A che pro finire poi
Con un rametto in mezzo allo sterno
A mo’ di antica preda
Tu avèrla che mi sanguini
Inumata a sacrificio metropolitano
Certo l’istante
Di me col collo aperto in due
Sopra un’antica quercia
Le mani soppresse
Braccato come un selvatico
Odore di muschio felci sorprese
Sotto di me che muoio
Sopra di me che sanguino
Tu avèrla che mi guardi
Di me non puoi farne che questo.
I commenti a questo post sono chiusi
Eccellente, direi! Bravo all’autore, grazie France’.
colmo di mondi questo giovane … grazie effeffe!
Questi sarebbero versi?
Sa l’autore, almeno vagamente, cos’è l’autentica poesia?
«Fictio rethorica musicaque poita» (“Espressione retoricamente atteggiata, ornata di musica e ritmo”, Dante, De vulgari eloquentia). Quante sillogi ha lette prima di comporre le proprie liriche? Sarebbe in grado di rivelarne ai lettori i sensi riposti? ( «O voi ch’avete gl’intelletti sani,/mirate la dottrina che s’asconde/sotto il velame de li versi strani!»).
Ce lo dica lei, signor D’Angelo, precisamente cos’è l’autentica poesia, quante sillogi si deve aver lette e come si rivelano i sensi riposti, ma anche quelli non tanto riposti dei commenti boriosi, autocompiaciuti e inutilmente censori.
Caro Elvio, solo per dirti che le tue poesie sono letteralmente esplose ( gli insight della pagina di nazione indiana davano quasi quattromila letture) I testi sono piaciuti e ne sono davvero felice, per te, per la poesia e anche un po’ per me con la speranza che quando diventerai miliardario come mercante d’armi ( non di schiavi mi raccomando) ti metterai alla ricerca nel mondo di un anarchico di nome furlen per assicurargli un buen retiro.
ps
Altra eccellente notizia il fatto che nei commenti sia apparso un vero Poeta ignoto- ma vale anche per i noti- per farti le pulci. Conditio sine qua non, su Nazione indiana, per essere poeti o autori, è che possa esserci almeno un detrattore, a cinque puoi aspirare al Nobel. Da veterano della rete ti consiglio di non ribattere ma di lasciare quelle parole alla deriva, con vero piglio comunista dandy.