Dodici civette – Juliette Evola
avvertenza introduttiva
Nel 2020 una pandemia globale si è abbattuta sul pianeta e, per dirla con lo Hegel, il mondo ha girato sui suoi cardini cambiando per sempre la propria direzione di marcia.
È stato subito ribattezzato “Great Reset”, una formula coniata al World Economic Forum che indica la volontà delle élite finanziarie e del cosiddetto capitalismo della sorveglianza di sfruttare la congiuntura pandemica e l’escalation bellica per aumentare, attraverso la paura e il conseguente disciplinamento sanitario e sociale, il controllo panottico e algoritmico delle coscienze per arrivare a instaurare un Nuovo Ordine Mondiale.
Gli episodi che mi accingo a riferire si sono svolti tra il 31 gennaio 2020 e le feste natalizie di quello stesso anno. Raccontano soprattutto una tremenda storia d’amore e una dolorosa vicenda personale, ma sono sicuro che avrebbero avuto un esito molto diverso se non fossero avvenuti in concomitanza con la pandemia da Covid-19, preludio e prova generale, come ormai dimostrato, della guerra mondiale che ha sconvolto e sconquassato il pianeta e le vite di molti esseri umani.
A distanza di dieci anni da quegli eventi, mandato in pensione l’anacronistico World Wide Web, i padroni del Metaverso hanno provveduto a cancellare tutto ciò che riguarda la FarcoTech e il brevetto dei polimeri eps-ubik12 a elevato isolamento termico necessari alla distribuzione dei vaccini nella prima inoculazione di massa della storia dell’umanità. Ogni riferimento al gruppo di satanisti ecologisti e vegetariani che si facevano chiamare la “Confraternita della Civetta”, al seicentesco processo inquisitoriale “dei dodici”, alla strega Ginevra Settembrini e a gran parte degli avvenimenti e dei personaggi che questo mio diario postumo intende documentare, è stato meticolosamente censurato. E, d’altra parte, l’obiezione che qualche prematuro lettore di queste mie note mi ha già privatamente avanzato, per la quale non posso provare quasi nulla di ciò che scrivo, non mi tocca più di tanto. L’obiettivo di questo libro non è certo quello di ricostruire fedelmente un’epoca storica, bensì di provare a restituire le emozioni di un’esperienza personale molto dolorosa e la realtà drammatica di episodi pubblici e privati che hanno cambiato radicalmente la mia parabola esistenziale e quella di diversi protagonisti di questa vicenda.
La storia della massoneria italiana è la storia di associazioni di persone legate tra loro da interessi che, dietro una superficie esoterica e filosofica, nascondono innanzitutto moventi di carattere economico e finanziario. È una vicenda intricata e complessa che va da Garibaldi a Cecchi Paone passando per Cuccia e Berlusconi, ma non andrebbe dimenticato che una loggia massonica è tanto più influente e pervasiva quanto più riesce a nascondersi e ad agire nell’ombra. Non a caso, a differenza delle province limitrofe, nei luoghi che hanno fatto da sfondo agli eventi che sto per raccontare, non risulta alcuna attestazione di organizzazioni segrete.
Si dice che il fisico Premio Nobel Niels Bohr, sopra il portone della sua casetta di campagna a Tisvilde in Danimarca, avesse appeso a un chiodo un ferro di cavallo per tenere a distanza le disgrazie come era uso fare nelle zone rurali del nord Europa. Un giorno un collega lo andò a trovare e rimase interdetto dalla presenza di quel segno di superstizione popolare, del tutto inaspettato nell’abitazione di uno dei paladini della scienza del Ventesimo secolo.
«Sono confuso… Un grande scienziato come te crede veramente che appendere un ferro di cavallo sull’uscio della sua casa tenga lontani gli spiriti maligni?» chiese esterrefatto il suo ospite. «No», rispose Bohr piccato, «certo che non credo in queste superstizioni! Ma sai com’è», aggiunse in tono scanzonato, «dicono che funzioni anche se non ci si crede!».
Come ha suggerito Slavoj Žižek questa storiella è la metafora perfetta dell’ideologia che, nella nostra disgraziata e pervertita epoca “post-ideologica”, anziché essersi estinta come qualcuno pretenderebbe, agisce sempre di più in fuoricampo, senza mai esplicitarsi completamente e senza che sia più necessario credere a essa. Quanto più è nascosta e sotterranea tanto più funziona; ne siamo tutti portatori, anche se quasi sempre inconsapevoli.
Anche per questa ragione, nel mio racconto ho cercato non soltanto di esporre i terribili e incredibili fatti di cui sono stato testimone nella maniera più precisa e circostanziata possibile, ma anche di evidenziare le mie convinzioni, il mio punto di vista e la mia visione ideologica del mondo, senza ipocriti infingimenti, omissioni o censure di sorta.
Perché, parafrasando l’antico adagio, non esistono fatti senza interpretazioni.
Samuele B*****
Ferrara, 30 aprile 2030
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(31 gennaio 2020)
«Alexa, suona della musica classica!».
Mi ero rivolto all’Echo Spot con voce stentorea mentre mi accendevo l’ennesima sigaretta continuando a fissare perplesso il monitor del computer. Dalla finestra aperta alle mie spalle proveniva un’arietta fredda che mi infastidiva non poco. Ma ero talmente svogliato che non avevo la forza neppure di alzarmi e richiudere i battenti, anche perché il mio piccolo studio puzzava di fumo in modo abbastanza indecente e un po’ di giro d’aria non avrebbe guastato.
Sono sempre stato un maniaco dell’ordine ma, da quando ero tornato single, alcune mie fissazioni avevano subito una sorta di allentamento. Le sigarette, ad esempio. Non mi sarei mai nemmeno immaginato di impestare una stanza di fumo quando ero sposato. E non certo perché mia moglie non lo voleva. Era proprio una mia esigenza. Forse stavo cercando di ottimizzare al massimo grado le libertà e le prerogative che derivavano dal fatto di vivere da solo, in modo da convincermi che quella configurazione esistenziale alla fine non era poi così malaccio.
L’Echo Spot aveva iniziato a diffondere una melodia gioiosa e spensierata. Doveva essere un divertimento di Mozart. Mi era andata bene perché per quelli di Amazon musica classica vuol dire innanzitutto Ludovico Einaudi che, per qualche strano contrappasso algoritmico, apre sempre questo genere di playlist e che io, a differenza di mia moglie, ho sempre trovato melenso e retorico. Ma non ci facevo grande attenzione. Stavo seduto ormai da alcune ore davanti alla scrivania di mogano, che costituiva l’unica mobilia di qualche valore del mio appartamento da neo-scapolo. Sullo scrittoio, oltre a un bizzarro portacenere di cristallo a forma di Torre Eiffel lasciatomi in eredità dal mio precedente inquilino, quella sera ricolmo di mozziconi, trovava spazio il mio MacBook Pro sul cui schermo campeggiava l’homepage un po’ retrò di antimonio.com.
Dallo scaffale dietro di me raccolsi il libretto della discordia dalla copertina ormai logora straripante di note e post-it. Lo aprii al primo capitolo dove viene riportato il dialogo con Cacciari e lo bloccai sotto al computer. L’articolo che stavo scrivendo era ancora a livello di bozza ma per errore avevo premuto il tasto invio pubblicandolo sulla pagina principale. Prima di riportarlo offline approfittai dell’occasione per ridare una letta a quanto ero riuscito a scrivere quella sera nella formattazione corretta:
Juliette Evola è una scrittrice e una regista italiana di vocazione mitteleuropea. Nata a Praga ma triestina d’adozione, ha pubblicato due raccolte di poesie, e un cortometraggio. Le 12 civette è il suo primo romanzo.