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Les nouveau réalistes: Amedeo De Palma

La pistola americana

di

Amedeo De Palma

“Questi ragazzi americani…c’è sempre uno che sbrocca, va a scuola e incomincia a sparare un po’ a cazzo” disse Paolo.

Il nuovissimo televisore tv da 75 pollici era acceso e restituiva le immagini della solita scuola statunitense con ragazzi in lacrime che uscivano dall’edificio accompagnati dalla polizia e dal personale medico. Qualcuno di loro aveva sentito solo gli spari e si chiedeva se fosse veramente successo, qualcuno sporco di sangue camminava nel nulla e qualcun altro invece era disteso immobile su una barella con un lenzuolo bianco a coprirgli anche la testa. All’esterno le persone a guardare, da lontano, al sicuro. Una donna, con le mani sulla bocca e lo sguardo alto, ferma a fissare qualcosa in un punto non definito del complesso scolastico. La telecamera del telegiornale girava a destra e a sinistra cercando di riprendere tutto, proprio come se anch’essa dovesse sparare a degli obiettivi. Le finestre del primo piano, quelle da dove si erano uditi gli ultimi spari, inquadrate freneticamente alla ricerca del terrore. Forza che lo troviamo!

Io e Paolo eravamo nell’”Universo”, il locale di Antonio, e guardavamo quel televisore enorme, spropositato per quello che era l’ufficio posto nel retro della sala. Erano le 18:30 circa e l’enoteca/ristorante o bar, o quel che cazzo sia di Antonio, era ancora chiuso. C’eravamo infilati dentro dopo un pomeriggio passato a bere Negroni a piazza Bellini. Eravamo già belli torbidi e tutto girava molto bene.

L’aria per la strada ci aveva dato una mano. Era uno di quei due o tre giorni che potevi chiamare primavera. Passati quelli, avremmo iniziato a sudare per mesi: era sempre così a Napoli. Oggi invece no, era stato piacevole restare all’aperto con una bella luce ad accompagnare i nostri sorsi. Gli occhiali da sole a copriti l’anima e Dionisio a riscaldartela. Il bicchiere, poggiato sul tavolino di vetro, aveva fatto quel rumore che tanto mi piace. Aveva scandito i sorsi: uno, due, tre, quattro e poi il commiato.

Lasciato il bar, avevamo camminato giù per la piazza fino al locale. Un inchino immotivato quanto teatrale al Conservatorio della Maiella su cui si specchiava l’”Universo”, e poi eravamo entrati.  Letizia, la ragazza che serviva ai tavoli, da poco diventata mia coinquilina, ci aveva fatto entrare con l’indifferenza che accompagna i gesti consueti: la nostra abitudine di entrare a qualsiasi ora nel locale del nostro amico, appunto.

Ora eravamo in quel buco d’ufficio, tre metri per due e mezzo, seduti sul piano della scrivania di Antonio, catturati da quelle immagini grandi e angoscianti che venivano dalla parete di fronte.

“Se fossi stato in America, negli Stati Uniti d’America, e se mio padre avesse avuto una pistola…” iniziai il mio discorso con immediata ed eccessiva emotività.

“France’…, ci sono già troppi se.”

Rispose caustico senza guardarmi.

“Aspetta, fammi parlare. Cazzo!” dissi secco.

“È un concetto importante! Forte se vuoi, ma su cui riflettere” continuai.

“Ok, dici”.

“Ti dico che con tutta probabilità me la sarei portata a scuola la pistola. Si, un giorno me la sarei proprio portata a scuola.”

“Uhm, interessante.” commentò Paolo; intanto aveva preso un quotidiano e lo aveva arrotolato a mo’ di bastone.

“E poi? Continua, qual è il concetto importante?”

Finì la frase dando un colpo secco sulla scrivania. Il gesto provocò una pausa inaspettata nella conversazione. Una mosca ora non volava più. Guardai quello che restava dell’insetto: una macchia nera e verdastra; un 40% sulla scrivania ed un 60% sul giornale. Commesso l’omicidio, utilizzò l’altro lato del quotidiano per pulire la percentuale rimasta sul piano. La mosca era come non fosse mai esistita: un lavoro ben fatto.

Ripresi a parlare: “Avrei messo la pistola scarica nel vano più grande dello zaino, quello destinato ai libri. Il caricatore, invece, nella tasca esterna.”

“Così da evitare gesti d’impeto?” disse Paolo.

“No, non per questo.” risposi.

“Giusto per evitare di fare qualche puttanata, far partire un colpo buttando lo zaino a terra. Sarei stato il re degli stronzi! No?”

“Beh, quello lo sei anche senza portare la pistola a scuola…”.

“Paolo lo sai che sei ‘checazzo’? Un fine e ricercato sarcasmo pervade la tua dialettica: ma vaffanculo! Ti ho detto che sto cercando di spiegare un concetto importante, su cui ho riflettuto tante volte, su cui ho riflettuto tutte le volte che episodi come questo, o simili, accadono.  Tu non riesci ad essere serio mai! Credo che il tuo commentare tutto in modo caustico sia un lasciapassare per la fuga: un aquilone con il quale sorvoli le cose mentre sei intento a prendere il Sole.”

“Ma comme parli bbello…!” disse con un’espressione seria e falsamente riflessiva.

“E continua, continua, continua…” commentai guardando verso il pavimento, accompagnando la frase con una rotazione della mano sinistra.

“Ok, la smetto…sono tutto orecchie”, alzò le mani in segno di resa e fece uno dei suoi sorrisi, uno di quelli che gli facevano diventare gli occhi come due fessure.

“La pistola non avrebbe dovuto essere nelle condizioni di sparare. Se qualcosa doveva succedere, doveva avvenire perché ormai c’era l’intenzione di farlo, la volontà precisa di uccidere, di ammazzare. Di mirare alle persone come si mira all’orso del Luna Park!” spiegai.

“Ok, vai avanti, intanto io cancello il tuo nome dalla rubrica del telefono” disse Paolo mimando il gesto con il cellulare in mano.

“…allora, Francesco de Paola…dove sei, eccoti qui! Cancellato.”

“Lascia perdere me! Cazzo!” continuai deciso.

“Pensa ad un adolescente e ai suoi demoni. Il corpo che cambia, un’esplosione di ormoni, peli che non c’erano ed ora sono ovunque. Eiaculazioni notturne. Le proprie paure sedute al tavolo della colazione. Una personalità che non funziona né a casa né a scuola. Sentirsi fuori posto, fuori vita. Ad imparare a interpretare un ruolo che possa farti accettare. Un ruolo che deve corrispondere al meglio a quella che è l’idea che si sono fatti gli altri di te, per non farsi male, per galleggiare bene”.

La risposta di Paolo fu immediata:

“Eeehhh!!! Ma che adolescenza di merda che hai avuto!”

Accompagnò la frase con un gesto dal basso in alto della mano.

“Ancora?” dissi.

Quella sua risposta mi aveva  fatto desistere dal continuare e in qualche modo calmato. Con atteggiamento rinunciatario presi il giornale con l’intenzione di sfogliarlo. Appena srotolato, sentii qualcosa di appiccicoso sul mio anulare destro.

“Che cazzo è?”

“La mosca, coglione!”.

“Merda!” commentai gettando il quotidiano nel cestino posto affianco alla scrivania del caro Antonio che questa sera tardava ad arrivare.

“Ok, scusa Francesco. So di cosa parli: anch’io ho avuto un po’ di quello che raccontavi.” Così dicendo Paolo si accese una sigaretta utilizzando una vecchia bomboniera accendino anni 80’ che era lì sulla scrivania.

“Forse tutti lo hanno avuto” continuò dopo aver respirato il primo tiro.

“Ma c’era anche tanto altro e alla nostra età avremmo già dovuto ingoiare quella pallina di merda, più o meno grande, che l’adolescenza, e la vita in generale, ci ha regalato. Non credi France’?”

Lo avevo fatto scendere dall’aquilone. Ma Paolo non capiva o, forse, aveva capito troppo. Il mio non era un rigurgito, un piagnisteo, un vittimismo per la mia adolescenza da incubo. Non era un improvviso dolore riapertosi a causa dei Negroni bevuti e della narcolessia che imperava, a fasi alterne, da mesi. Non credo, non credo proprio. Guardando quelle immagini pensavo solo a come fosse da pazzi lasciare una pistola alla portata di un soggetto che forse stava attraversando tutto ciò che avevo descritto.

Intanto il telegiornale incalzava con il servizio sulla sparatoria nella scuola ed io e Paolo eravamo ormai soffocati dal fumo, dalle quattro pareti del piccolo ufficio e dalle luci, ormai appannate provenienti dell’immenso televisore. Anche l’audio, troppo alto, faceva la sua parte: la telecamera continuava a riprendere il susseguirsi di auto della polizia ed il suono delle sirene rimbombava nello spazio stretto in cui eravamo. Accesi una sigaretta anch’io e poi bevvi un sorso del vino della casa: un assemblaggio dei rimasugli lasciati dai clienti nelle bottiglie e, ahimè, nei bicchieri.

Mi ero calmato, l’emotività che mi aveva pervaso era andata via del tutto, ora potevo continuare il mio discorso.

“Ma ci pensi a quanti di loro si sono fermati un attimo prima? Quanti ragazzi avranno preso la pistola del padre o della madre? Quanti avranno portato quella pistola lasciandola nello zaino o nella tasca del giubbino, ad un passo dalla strage?”

“Cosa intendi?” disse il mio amico, ancora l’accendino bomboniera, ancora un’altra sigaretta.

“Intendo che sei lì, ad un passo da tutto quello che stiamo vedendo e un attimo prima un compagno ti sorride e ti dà una pacca sulla spalla. Ricevi un buon voto da quella professoressa che ti ha sempre buttato giù. La compagna di classe, che a te piace tanto, inizia a flirtare inaspettatamente con te. Il ricordo del bacio che quella mattina, e non altre, tua madre ti ha dato dicendoti che ti vuole bene.”

“Cioè dici che se questa mattina fosse successo qualcosa del genere a quel ragazzo, ora non sarebbe lì per terra con il lenzuolo a coprirgli la testa? Che non staremmo qui ad ascoltare il racconto dell’ennesima strage?” disse Paolo.

“Proprio così Paolo, proprio così! È sempre la solita storia: è l’Amore a salvarci. Sempre Lui.”

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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