Boschi cantate per me. Antologia poetica dal lager femminile di Ravensbrück

di Orsola Puecher
Nell’antologia a cura di ⇨ Anna Paola Moretti, che, con consueta cura e rigore storico, raccoglie un centinaio di poesie composte nel lager femminile di Ravensbrück, queste voci dal silenzio aprono uno spiraglio inedito sul dolore, accendono luci nel buio della dimenticanza, riempiono di suoni, immagini e colori tutto ciò che si pensava svanito e cancellato dalla dura realtà concentrazionaria e testimoniano una volontà di resistenza, di forza ma anche di speranza e di bellezza che va oltre l’annullamento, la morte e il destino individuale di cancellazione della dignità e dell’umanità stessa delle oltre 140.000 donne che furono detenute nel campo. 90.000 non tornarono.
Per chi ha perso i propri cari nei campi le domande cosa avrà pensato… provato… sofferto sono un vero tormento: il freddo, i sapori, gli odori, gli spari, l’abbaiare dei cani, la fame, la stanchezza, il puzzo acre del fumo dei crematori, la continua minaccia della morte, i corpi trasformati, irriconoscibili, carne della propria carne, sono un dolore vivo. Queste voci danno una risposta, non consola, non lenisce, ma rompe il muro dell’annichilimento totale, le loro voci sono tutte le voci, in un coro doloroso.
Adorno affermava che scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie, qui la poesia è già dentro Auschwitz, dentro Ravensbrück, contenuta nell’orrore, cresciuta nonostante l’orrore, ed è una ribellione, una speranza, il sogno di una libertà che per tanti restò solo un sogno.
L’unica cosa davvero ardua è riprodurre questo orrore con i mezzi dell’arte per chi è venuto dopo, come nel film di Glazer La zona di interesse forse ne possono essere raccontati solo i rumori lontani, in un frastuono continuo, spezzato solo da qualche grido e da qualche sparo, contrapposto alla perfezione della casa del comandante del campo, alla sua rassicurante normale quotidianità.
Le poesie delle donne di Ravensbrück colmano questo vuoto.

Zofia Górska 1
Attimo della paura 2
No, non può succedere questo!
Ah scappare, scappare lontano,
al muro viscido
al filo spinato.
No, non può succedere!
Ah trovare un rifugio, un rifugio!
Scavare una buca nella terra,
sparire come insetti nelle crepe.
Apritevi muri per me!
Spezzatevi cardini!
Coprimi acqua, boschi cantate per me!
Dove devo mettere le mani?
Mi feriscono pietre
nei miei tormenti assurdi.
Sbatto contro la cella stretta
come sbanda un uccello malato.
Apritevi muri per me!
Spezzatevi cardini!
(Ravensbrück, 1943)
Parte del ciclo “Chwile Ostatnie”; traduzione tedesca dall’originale polacco, in Der Wind weth weinend über die Ebene, Mahn und Gedenkstätte Ravensbrück, Fürstenberg, 1991
Traduzione di Daniela Maurizi

Premessa: Una antologia 3
di Anna Paola Moretti
L’antologia presenta per la prima volta in Italia la selezione di circa un centinaio di poesie provenienti dal Frauen Konzentration Lager di Ravensbrück, il più grande campo femminile del sistema concentrazionario nazista e l’unico destinato specificamente alle donne, attivo dal 1939 al 1945. I lager avevano lo scopo di distruggere gli individui, moralmente e fisicamente. Nonostante il processo di annientamento messo in atto contro le prigioniere, derubate del loro status di esseri umani e ridotte a numeri, stück, pezzi intercambiabili, a Ravensbrück e nei suoi numerosi sottocampi fiorì una produzione artistica come esercizio di sopravvivenza e di resistenza alla disumanizzazione.
In Italia solo un esiguo numero di queste poesie è stato tradotto e pubblicato, senza mai ricollegarle al corpus esistente di circa 1200 versi, composti da più di 140 prigioniere di oltre 15 nazionalità. È questa coralità e complessità che si intende mostrare. Anche se di diseguale qualità letteraria, le poesie hanno tutte un grande valore storico e umano. Furono sicuramente molte di più di quante ne siano state ritrovate, perché spesso venivano distrutte dalle guardiane e anche dalle stesse detenute per sottrarsi alle punizioni. Anche a Dachau, Auschwitz o Theresienstadt nacquero poesie femminili, ma in numero sensibilimente inferiore.
Le poesie sono presentate con il testo originale a fronte, tradotte dal francese, tedesco, polacco, inglese, olandese; una dal friulano; cinque sono state composte in lingua italiana. Ove conosciuta viene indicata la data di composizione. Nei casi in cui non è stato possibile risalire alla lingua originale, la traduzione è stata effettuata da una versione tedesca o inglese.
A ciascuna autrice è stata dedicata una scheda biografica, più o meno estesa in relazione alle notizie che è stato possibile accertare. Dare notizie sulla vita prima e dopo il lager, ritrovare anche il cognome di nascita è un atto di cura, una restituzione di individualità. La biografia ci permette di raccordare le singole vite agli avvenimenti complessivi, di comprendere i diversi punti di vista. Dalla pluralità dei vissuti si disegna in filigrana anche il reticolo degli sconvolgimenti provocati dalle guerre del ’900: la scomparsa dell’impero zarista e di quello austroungarico, gli spostamenti dei confini statali e i trasferimenti forzati di popolazione.
L’antologia è corredata da un saggio che ripercorre la storia del lager di Ravensbrück e della marginalità della sua memoria nel contesto storiografico. Si restituisce inoltre lo svolgimento della ricerca, la ricezione letteraria della poesia concentrazionaria femminile, la modalità di creazione delle poesie e il significato della loro produzione, il valore dell’arte per trasmettere memoria.
La produzione poetica femminile ci mette in contatto con la sofferenza ma anche con la soggettività di chi, ridotta al ruolo di vittima, non ne rimase imbrigliata; ci manda un segnale forte e suggestivo che intreccia libertà e costrizione, dipendenza e relazioni.
L’antologia vuol favorire una conoscenza storica della deportazione femminile non separata dalle parole delle testimoni. Nell’incommensurabilità della loro esperienza in lager è la loro voce che va fatta emergere; la ricerca storica può e deve accompagnare la testimonianza senza sovrapporsi, per questo ho scelto lo spazio della postfazione. Vuole essere una possibilità di incontro con la forza femminile, che anche deportate a noi più familiari ci hanno più volte indicato. Liana Millu aveva posto l’interrogativo: “Chi può dire quanto silenzioso eroismo sia necessario per vivere la quotidianità senza lasciarsene distruggere?”, 4 mentre Lidia Beccaria Rolfi affermava: “Ho visto che anche nel lager si può non diventare dei mostri. Ho visto come riescono a reagire le donne, quanta forza e quanta dignità abbiamo”. 5
L’antologia accosta e ricompone testimonianze europee a superamento della frammentazione, dispersione e babele di lingue incomunicanti operata dal lager. La poesia diventa un tramite per continuare a fare memoria della storia comune, accogliendo il lascito più significativo delle deportate: pratiche di resistenza all’annientamento, soluzioni inventate per sopravvivere in un ostinato volersi umane.
Dalle poesie del lager emerge un simbolico opposto alla violenza e al desiderio di potere: indicazione preziosa quando i traumi generati nel secolo scorso continuano a vivere nelle seconde e terze generazioni e nuovi traumi vengono prodotti dagli eventi catastrofici (guerre e migrazioni) alimentati dalla nostra attuale società. In una modalità dialogica le sopravvissute ci offrono sollecitazioni e interrogativi contro l’indifferenza, ci invitano a un’interlocuzione esortandoci a non sprecare la nostra vita. A interrogarci sul nostro presente.
Die Moorsoldaten, composto nel 1933 nel lager di Borgemoor da Johann Esser e Wolfgang Langhoff per le parole e da Rudi Goguel per la musica, venne subito proibito, ma con i deportati che cambiavano campo, che scappavano o che venivano liberati attraversò tutti i lager in Europa, tradotto in tutte le lingue. La versione italiana fu tradotta dalla versione francese da anonimi e comunicata in Italia da Maria Montuoro, detta Mara, sopravvissuta del campo di Ravensbruck.

Testi originali a fronte
a cura di Anna Paola Moretti
Enciclopedia delle Donne, 2025
- Zofia Górska in Romanowicz
Polonia
Felicja Zofia Górska è nata il 18 ottobre 1922 a Random, 100 km a sud di Varsavia. Fin da bambina scriveva poesie, pubblicate sulla rivista scolastica. Aveva diciassette anni quando le armate tedesche invasero la Polonia il 1° settembre 1939. Immediatamente coinvolta nella Resistenza, fu arrestata dalla Gestapo il 24 gennaio 1941; condannata a morte, trascorse un anno nelle carceri polacche, aspettando ogni giorno di essere fucilata.
Nell’aprile1942 fu deportata a Ravensbrück (matricola n. 10218) come prigioniera nn, destinata a scomparire. Lavorò nel laboratorio di pelli, ma anche nel Kommando Foreste dal quale aveva fatto uscire clandestinamente dal campo lettere, poesie ed elenchi di esecuzioni, poi sotterrati. Nel settembre 1943 fu trasferita in Boemia al sottocampo di Neu-Rohlau, dipendente dal K l di Flossenbürg, dove fece lavori forzati in una fabbrica di porcellane e per l’azienda Messerschmidt.
Nell’aprile del 1945 riuscì a fuggire durante la marcia di evacuazione e fu aiutata dalle infermiere dell’ospedale di Karlovy Vary, che la nascosero nel reparto psichiatrico. Arrivò a Roma con la Croce Rossa polacca; riprese gli studi secondari a Porto San Giorgio nel liceo creato dal II° Corpo di spedizione polacca. Nel 1946 arrivò clandestinamente in Francia, nascosta sotto il telone di un camion; nella primavera del 1948 entrò illegalmente in Polonia per incontrare la madre, che non vedeva dall’inizio della guerra. Nel 1950 conseguì la laurea in Lingue e filologia romanza alla Sorbona. A Parigi sposò il connazionale Kazimierz Romanowicz con cui fondò la libreria Libella e poi la Galerie Lambert, che divenne uno dei più importanti centri della dissidenza culturale polacca all’estero. Dopo aver tradotto in polacco la poesia trobadorica, si dedicò alla prosa con numerosi romanzi e diventò un grande nome della letteratura del Novecento. Negli anni della Guerra fredda fu osteggiata in Polonia, dove i suoi romanzi furono pubblicati solo negli anni ’80. È morta a Lailly en Val, nei pressi di Orleans nel 2010, all’età di 87 anni. [Boschi cantate per me. Antologia poetica dal lager femminile di Ravensbruck.
Testi originali a fronte
Anna Paola Moretti (Curatore)
Enciclopedia delle Donne, 2025 pag. 374-375] - ibidem pag. 100
- ibidem pag.12-14
- Liana Millu, All’ombra dei crematori. La resistenza minimale delle donne, in Lucio Monaco (a cura di), La deportazione femminile nei campi nazisti, Angeli, Milano, 1995, p.131.
- Lidia Beccaria Rolfi, in Silvia Neonato, Sopravvissute e cancellate. Avevamo un nome e un volto, “Noi donne”, n. 24, 15 giugno 1979.