Il filo pericoloso delle cose
di Giovanni Pio Ruggiero
Se potessi uscire dalla nudità, case sul lago, granelli di sabbia incasellati, piede di donna nudo
seno, nudo corpo corpo nudo svestito corpo affranto legato al filo indissolubile corpo celeste colpo
liberato chiedente un nome svestito un come un come ti chiami perché si possa serbare ricordo
torre di inutile stanchezza di inutile vacanza di noia umbra grigia cascata di marmo dove si spegne
l’amore rugiada a piccole gocce sui seni grandi di chi danza, neve su Parigi, operette opere, esploso
il quadro d’arancio e infine. Infine resta, nell’immersione dei corpi ruvidi resta nella melma nel
piatto fangoso che ti porgo nella fanghiglia ostinata sulla tua purezza che smussa angoli ancora
intatti che spezza la pretesa addolcendo in linea curva. Infine una farfalla sbianca un panorama
che crei con le dita a piccoli passetti sui gradini di bianco salita la donna che desideri e manca, e
gioia, di sé gode e non d’altri costellazione che si apre al superfluo innecessario stupore della vita.
Controra sulle scarpe levate fenditura che consente il bacio in solitudine, in essa si danza, non in
altra, in altra stagione: finitudine nel tempo della stessa stagione consentita…
…quando i cari ridormono e non sanno, lontani crepuscoli solo altri attende e non te che hai
scoperto vera una ninnananna.
Sotto i piedi gli arbusti il pietrisco,
secche le foglie i rami il lombrico,
la conchiglia qualche pesca sbucciata
stesa al suolo stramazzata
l’orma si inclina e l’ombra si espande
su ciò che credevi toracico.
Sui sentieri incamminati di buio,
era certo sparire come sassi
nelle fontanelle di campagna,
era certo sostare sui muri
alla stregua dei gechi, camminare
ciechi, rimanere muti e comunque
cantare, sul cinguettio implume
dalla sedia offerta alla nascita,
e dunque imperitura:
su di essa
e non su altre hanno tutti
una base,
non sulle false pellicole di idee,
ma sui campi su cui il lago
si ritira, bruca una giumenta
passeggiano i villeggianti.
E nel ritorno alla campagna,
rappresentata, anticamera
come molte già sopite
e inutilmente traspirate
quelle cose che si inferriano
sì tanto e paiono insormontabili,
vedi allora tramontare scoperte
friabili più della crusca che
ammanta nei forni, torni
a stendere i sorrisi
per una sola intuizione.
Tra due corpi fraudolenti
più non credi che l’altrove sia vero
quando un bianco senti
aprirsi nel buio un sentiero.
_
Occhi chiusi e sorrisi sedentari,
una luna non basta
luna che in frange si spezza
sulla prevedibile inservienza
di persona.
Cecità, nella laguna striata delle isole venete vediamo a che punto una festività diventa canto caro
a ogni individuo, quandanche mi sembri vero che tutto ha già ottenuto il fabbisogno, la punta di
una certezza ricavata in buchi di tarme nel mogano, anfratti di esperienze già vissute e dalla metà
di chi ti apparteneva mozzate perché un tronco
*immagine di copertina Torre di Buranaccio – Girolamo Cannatà