Folgoriti

Immagine generata da AI

di Igor Antonio Lipari

Dov’è?
Laggiù.
La roccia a cupola?

[niente a che vedere con la Cupola della Roccia, fino a prova contraria]

Proprio quella.
E dove sarebbero?
Ci sono.
Vedo solo macchie scure.
Saranno licheni o chiazze di muffa. Sotto ci sono i simboli ignoti. Li hanno esaminati gli archeologi, tempo fa. Non hanno potuto stabilire di che lingua si tratti, e se si tratta davvero di una lingua.

[lingue matrigne e patriarche, accozzaglie di fonemi, grafemi, lessemi, morfemi e sintagmi che adombrano minuzie e insabbiano essenze nell’illusione di gettare un ponte fra l’io e l’altro, le cui campate sono appese al vuoto, perché non esistono né io né altri, soltanto allevamenti intensivi di apolidi e fraudolenti nessuno, che saturano la noosfera dei gas serra delle loro farneticazioni a colpi di belati, chat, post, topic, bramiti, memi, thread, solecismi, haiku, slogan, flame, jingle, ragli: aria lastricata di flatus vocis, moto browniano verso nessun luogo]

E hanno lasciato tutto incustodito?
Qualcuno ha stabilito che si trattava di uno scherzo, altri non erano d’accordo, ma intanto le università hanno ritirato i fondi e la faccenda è stata piantata in asso. La roccia è ancora lì, con tanto di iscrizioni sopra.

[e se i fenomeni naturali scrivessero, oltre che dipingere e scolpire, con tutto il tempo libero che si ritrovano? e se fosse una pietra paesina ad averci inseriti come refusi nell’irrealtà che si è dipinta da sola dentro le sue viscere di minerale sapienza muta per discepoli silenziosi, e il meglio che se ne apprende non si potesse comunicare?]

{…questo tackle commesso con vigoria sproporzionata, sanzionabile con espulsione e squalifica, il regolamento parla chiaro…}

Più che pietra, sembra vetro opaco.
Sono stati i fulmini a ridurla così. L’hanno colpita decine di volte.

[non è il come ma il perché; non la misurazione di volt e ampere, ma la ragione per cui proprio quella persona fra tante su una spiaggia o in aperto terreno, proprio quell’albero di una foresta, proprio quella vetta di catena montuosa debbano attrarre la scarica che folgora e ustiona, che carbonizza o vetrifica, per poi ramificarsi in figure di Lichtenberg dal buio ctonio di quaggiù fino alla luce vuota dell’iperuranio, come uno scongiuro o una bestemmia, in un lampo, invano]

Chi lo dice?
Il servizio meteorologico dell’aeronautica militare. L’ ESA. Ci sono persino dei video in rete (si sta chiedendo chi può averli realizzati – forse qualcuno che conosce – oppure si tratta di normali deepfake, e l’autore è un estraneo qualunque – oppure i video sono autentici, ed è il tizio che conosce a essere un fake, nonostante gli avrà anche parlato faccia a faccia, o forse proprio per questo – o invece l’intero universo osservabile, dal superammasso della vergine alla radiazione cosmica di fondo, è un deepfake monoblocco, ma alquanto rudimentale, altrimenti lui non se ne sarebbe accorto: ma lui o chiunque altro se n’è davvero accorto? – non si sta chiedendo niente di tutto questo). È una folgorite esogena. Fra le più grandi al mondo, pare. E ce l’abbiamo proprio a due passi da casa. Queste altre rocce sbriciolate tra la sabbia (Sabbia. In un terreno agricolo. Così distante dal mare. Desertificazione? E fra le dune a venire, carovane che guadano i laghi salati dei miraggi.) sono folgoriti standard. Quella integra che ti ho mostrato prima a casa, l’ho presa da qui.

[Lei lo sospetta. Lui lo sospetta. Entrambi, guardandosi e riconoscendosi, sono certi del fatto che un essere vivente, la sua quiddità perlomeno, qualunque cosa significhi, non abbia molto a che vedere con ovociti, cromosomi e spore, ma si origini da una scarica elettromagnetica scaturita non si sa da dove né come e subito estintasi, lasciandosi dietro una tubolare condensazione di materia friabile, provvista di due orifizi, uno per l’alimentazione e l’altro per l’escrezione. Che a poco a poco ti si sgretola fra le mani. E che non rimanga davvero nient’altro, dopo tanto deglutire e defecare. Ma questo, come si potrebbero trovare parole per dirselo?]

{…questa gratuita manomissione del dispositivo che ancora conservava una patetica parvenza di funzionamento, e invece ecco che deve metterci le mani sopra e dentro, così che il costruttore declini ogni responsabilità e la garanzia decada, come un isotopo o una civiltà…}

Sarà sicuro starci vicino?
Vedi nuvole per caso?
Non vedo proprio un bel niente, il sole è gia tramontato da un pezzo e qui in mezzo al nulla chissà come mai si sono scordati di installare qualche lampione. Potevamo prendere un’altra torcia: questa è quasi scarica. Mi hai fatto lasciare a casa anche lo smartphone, e io che ti do pure retta.

{il diafano discrimine fra nerdsplaining e gaslighting, fra Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato e tedio di sentire che non vale la pena di fare alcunché, fra quanto è classificato in un DSM e tutto il resto che fermenta nelle interiora umane; il ponte tibetano vacillante fra il sé e l’altro-da-sé su cui basta avanzare di qualche passo per capire che crollerà nell’abisso sottostante, di te e dell’altro-da-te non resteranno che frattaglie e ossa confuse insieme sul fondo, fino alla calata degli avvoltoi}

Bisogna essere idioti per portarsi dietro certe COSE quando si viene in posti del genere.

[le cose, che per emendarsi della loro irrilevanza hanno la necessità che a nominarle siamo noi, dall’alto della nostra rilkiana impermanenza, noi pilastri e fondamenta di ogni frana, periferici a tutto e più di tutto a noi stessi, noi che sopra ogni cosa non siamo altro che cose inutili gettate in mezzo alle cose]

Infatti mi sento talmente idiota da non vedere nemmeno dove sto mettendo i piedi, diversamente da te, che hai la visione notturna dei gatti; oltre che il loro identico carattere.
Ti dico che conosco bene il posto. E comunque ci vuole il buio per vedere qualcosa.
Questa poi me la segno tra le frasi celebri. Ma ancora non ho capito cosa.

[… le mestruazioni si verificano al termine dell’oscura fase prepuberale, dal che pare lecito arguire che siano correlate al ciclo riproduttivo della specie: una foce che travasa il fiume vitale nell’oceano pacifico dell’età adulta, con tanti di quegli arcipelaghi inesplorati da cartografare (i più adatti verranno adibiti a mete di crociera), un’epifania che assegna un sesso a chi ne accoglie o subisce il marchio, relegando all’altra riva della senna tutti coloro che ne sono privi; e qui, sulla rive gauche di un’infanzia protratta ad libitum, ce ne restiamo ancora a rigirarci sotto le coperte, quindi per favore non svegliateci, oggi a scuola non abbiamo intenzione di andarci; da oggi abbiamo deciso di non avere intenzioni, punto]

Questa è la zona dove spuntavano i crop circles. Il proprietario del terreno ci diventava matto: gli rovinavano il raccolto, anno dopo anno.
E dove sarebbe qui attorno il grano?
Il tizio ha abbandonato tutto. Un giorno è tornato in città coperto di sangue. Dice che stava dando fuoco alle stoppie, quando ha sentito un boato sotterraneo e uno spostamento d’aria l’ha sbalzato lontano. Sono venuti gli artificieri. Un ordigno inesploso, hanno detto. Aveva la schiena tatuata di schegge. Io ero al pronto soccorso con mia madre, quando è arrivata l’ambulanza, e l’ho visto. Ha messo in vendita il terreno, ma nessuno ne vuole sapere.
Tranne te.
Me compreso, invece. Se non fosse che qua sopra sono apparsi molto spesso grappoli di luci che volteggiano velocissime. Il giorno dopo, puntualmente spuntava un cerchio. Avresti dovuto vederli: disegni di una complessità impossibile (quanta della presunta complessità di qualcosa risiede nella miopia dell’osservatore? quanto della mente che algoritma dietro gli occhi si estroflette al di fuori del corpo, e si raggruma in un cosiddetto mondo? e quanto del cosiddetto mondo non è che una protesi sovraestesa di un cosiddetto corpo?). Chi può averli tracciati in una sola notte? Ci ho camminato in mezzo; c’era qualcosa, un calore dal terreno, attraverso le suole delle scarpe, non lo so, ma c’era qualcosa.

[l’origine dei crop circles potrebbe essere naturale. O artificiale. Ma che cos’è artificiale? E cosa naturale? Se l’origine è umana, allora i cerchi sono artificiali? Quindi anche gli esseri umani, essendo produttori di artifici, hanno natura artificiale? Forse i crop circles sono l’origine degli umani? Dei loro cervelli frattali come cerchi nel grano saltati fuori nel corso di una notte, a opera di ignoti burloni?]

Ti bevi tutto, tu.
Ho un binocolo. Una notte ho visto le luci, dalla finestra di camera mia.
Come no. Potrebbe essere stata qualunque cosa, o niente del tutto. Tu vedi sempre qualcosa: ma quanto capisci, di quello che vedi? (quanto di quello che vedi è comprensibile? quanto di ciò che è comprensibile è reale? quanto del reale è visibile? quanta realtà esiste di per sé? e soprattutto, quanto è assurdo esistere, in sé e per sé?)
È scomparsa della gente, qui. Venivano a vedere e non sono mai tornati.

[gli scomparsi: ilari sguardi seriosi in camera che dalle foto, ultimo detrito di passato, sono intenti a fissare come attraverso una nebbia questo presente che non vedranno mai; gli scomparsi, il timbro delle loro voci che ancora riecheggia nel pensiero di qualcuno che in futuro sarà scomparso; gli scomparsi da una falesia o dentro seracchi o sotto slavine, ghiaccio e neve che si sciolgono come il tempo, solo con più strepito; gli scomparsi in mare, ombre dove l’ombra non può esserci; numeri di statistiche, figuranti di necrologi e programmi tv; desaparecidos nel Gobi e in Vaticano; volatilizzati come vittime di rapimenti alieni da ponteggi di cantieri, guardrail di autostrade, letti d’ospedale; gli scomparsi che popolano i sogni che non sono sogni, e appena prima del nostro risveglio si aggrappano alla fenditura fra il qui-e-ora e il nessun-luogo-mai per riaffiorare, ma vengono risucchiati indietro nell’imbuto, non hanno scampo, mentre noi apriamo confusamente gli occhi e un gesto dopo l’altro ci apprestiamo a celebrare i riti espiatori delle nostre vite, e passo dopo passo ci allontaniamo da loro finché non riescono più a scorgerci per la distanza, e ciononostante cercano ancora di chiamarci ma ormai come faremmo a sentirli, noi vivi: noi che per loro siamo scomparsi]

Per questo mi ci hai portata? Volevi vedere che effetto fa scomparire? Grazie, ma di certe esperienze imperdibili ne faccio volentieri a meno. Potevamo starcene con gli altri, al quartiere (gli altri, quest’associazione a delinquere di stampo indefinito, che si infiltra ovunque, impossibile smantellarla, prima o poi ogni agente sotto copertura viene smascherato). Ecco, si è esaurita la torcia: e ora che si fa?

[Il quartiere è una parte trascurabile di una circoscrizione; una circoscrizione è un’area negletta di una municipalità; una municipalità è una località secondaria di una amministrazione regionale; una amministrazione regionale è una propaggine marginale di uno stato nazionale; uno stato nazionale è una componente irrisoria di un continente; un continente è una squama epiteliale di un pianeta terrestre; un pianeta terrestre è una briciola irrilevante di un sistema solare; un sistema solare è una particella infinitesima di una galassia a spirale; una galassia a spirale è un pixel di un ammasso locale; un ammasso locale è un batterio annidato in un filamento di universo; un filamento di universo è un ectoplasma evanescente srotolato ai margini di un supervuoto e ha il solo compito di emettere luce: per gettare ombra sull’omologo dell’apparato visivo di qualcuno/qualcosa annidato nell’equivalente di un quartiere, da qualche parte, oltre il supervuoto?]

Non li sopporto, gli altri. Il quartiere mi fa schifo. A malapena tollero te.

[gli ALTRI, questa presunta criptospecie, di cui tanto a sproposito si favoleggia, mai avvistata in natura, nonostante la dedizione di bracconieri ed entomologi]

Onorata davvero. Papà non approverebbe, comunque.

{un modello teorico delle interazioni sorellastra/fratellastro [sostituire con adeguato singenionimo di non consanguineità (ammesso che esista un qualche esemplare non consanguineo al resto della sua specie)] che sia tanto lontano da una thumbnail di pornhub quanto dalle pagine in carta riciclata e scrupolosamente (scr)editate di un romanzo-di-(de)formazione-contemporaneo; che non fornisca previsioni verificabili; che non sia falsificabile perché in primo luogo non avanza pretese di veridicità; che non sottoscriva oggetti e non proscriva soggetti, che non sia militare coscrizione di pseudo-realtà ma trascrizione quanto più possibile (in)fedele di [REDACTED]}

Tuo padre picchia mia madre.

[l’analisi delle serie storiche individua un trend in costante aumento per i casi di violenza domestica. Le serie storiche sono di tipo stocastico, impossibile elaborare previsioni prive di errore. L’errore è, per esempio, quello di considerare una variabile aleatoria come la sofferenza umana sotto forma di processo ergodico. Assegnare l’ipotesi di un valore finito a qualcosa che non ha fondo né limite.]


… non te ne sei accorta va bene non te ne faccio una colpa anch’io lo sapevo e me ne sono rimasto a guardare proprio così lo sapevo anche se non volevo saperne di ammetterlo d’altronde cosa avrei potuto farci è meglio non sapere di aver sempre saputo quello che si sa piuttosto che ammettere di sapere che non c’è niente da fare al riguardo o forse è tutto il contrario chi può saperlo ma adesso che te lo sto dicendo almeno parlami … [IN COLATA UNICA DI FIATO]

[l’importante è parlarne, tutti bravi a parlare, tutti adulte e consenzienti macchine di turing che sparlano straparlano si rimpallano gesti e sguardi muti da cui si srotolano stringhe su stringhe di parole, il punto non è arrivare al punto ma confabularci attorno, parliamone e non se parli più]

{istanze diegetiche centrifughe, deraglianti, che mimano voci nella testa che non sono voci dentro nessuna testa, alcune incitano o dissuadono a scegliere o compiere questo e il contrario di questo, perché sarebbe giusto o necessario, altre più fievoli ti programmano a credere che necessario e giusto esistano, altre ancora che sembrano fuori dalla testa e non lo sono ti invogliano e obbligano a consumare e produrre, a riprodurti e consumarti; voci onomaturghe, engastrimite, ognuna verbigerante in una sua traiettoria di ventriloquio, balbuzie, raucedine, mutismo selettivo, congenita afonia}


Hai sentito?

Tranquilla, l’ho spenta io la torcia.

Non fare così. Guarda, adesso la riaccendo. [REITERATI CLIC DI INTERRUTTORE] Merda, è scarica. Bea, dove sei?

Che ridere, Bea.

Rispondi!

(Ti prego, non è così che doveva andare [e come? c’è qualcosa che si può prevedere? la partita, l’elezione, le condizioni meteo che rispettano i pronostici, cosa dimostrano, se non che questo non è il migliore dei mondi impossibili, e quindi accontentatevi?]. Tutte le volte che l’avevo immaginato non andava mai a finire così. Il prima, il durante e il dopo, soprattutto il prima e il dopo, perché il durante, quello è un buco nero che inghiotte la luce e la decompone, non si vede niente al suo interno, e quando ci sei dentro, non si vede niente dell’esterno, quando ci sei dentro non sei più di un punto dentro un punto che pialla e tritura lo spaziotempo e non è da nessuna parte. Non lo so nemmeno io quante varianti ho immaginato, o perché le immaginavo: ma no, questa qui no. Non restavo mai solo).

{immaginare: la pianificazione strategica di starsene-a-naso-per-aria a classificare le nubi quando il cielo è sgombro come un appartamento non appena ultimato il trasloco e sembra impossibile che qualcuno o qualcosa lo abbia mai potuto o lo potrà ancora abitare}

Dove sei? Rispondimi!

{…questo sabotaggio onanistico del meccanismo riproduttivo del senso, lo sperma del messaggio eiaculato nell’utero frigido di una fognatura, dove non inseminerà fraintendimenti e non concepirà che un buco nell’acqua…}

(Solo, a girare a vuoto nel buio, attorno a una roccia impassibile, urlando senza risposta, senza la minima idea del perché sta succedendo questo, senza poter tornare indietro, che cosa direi, senza la minima intenzione di restare qui, senza un altro posto dove andare, potresti essere vittima di uno scherzo oppure è tutto vero, potrebbe essere là dietro in fondo a un fosso oppure è scomparsa davvero, senza sapere quale alternativa sia peggiore, insistendo a urlare alla notte, che non ha mai dato risposte a nessuno, accanto a questa roccia che rimane sorda, com’è giusto che sia, a girare a vuoto nel buio; solo?)

(…)
[…]
{…}

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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