Da “Unreel”
[In ottobre, per Zacinto editore, nella collana “Manufatti poetici”, è uscito Unreel di Giuseppe Nava. Ne pubblichiamo alcuni passi.]
di Giuseppe Nava
Lei nuota sott’acqua, un’acqua limpidissima, azzurra e trasparente. Dopo un poco riemerge.
In mare, dei delfini seguono una barca, nuotando velocissimi appena sotto il pelo dell’acqua.
Costume da bagno, occhiali scuri, lunghe treccine bionde, la ragazza si sistema sulla testa un foulard decorato con una fantasia di fiori. Sorridendo, prende la parte che avanza e la arrotola per stringere il foulard sulla testa, la arrotola molte volte e poi su sé stessa a formare una spirale sopra la testa.
La ragazza, in bikini nero, cammina in una stretta galleria scavata nella roccia gialla. Senza fermarsi indica un’apertura nella volta, poi arriva alla fine del cunicolo, che si apre su una caletta con barche e ombrelloni. C’è il sole e il mare è molto blu. La ragazza appoggia per terra qualcosa di azzurro che teneva in mano, e si toglie le infradito.
Sullo scoglio, attende l’arrivo dell’onda, poi si tuffa con una capovolta all’indietro e scompare nell’acqua.
Un grosso aereo di linea sta atterrando su una striscia di terra visibile a malapena sul mare tutto intorno. Sembra quasi che stia atterrando sull’acqua.
Su una piccola barca, qualcuno sta tirando a fatica una rete fuori dall’acqua gialla, fangosa. Diversi pesci sono impigliati nella rete. Quando la rete affiora maggiormente si vedono molti più pesci al suo interno, che agitano la superficie dell’acqua. Un’altra persona compare e aiuta la prima a sollevare la rete piena di pesci, che poi ricadono sul fondo della barca.
Non si vede il volto del pescatore, indossa una tuta azzurra con cappuccio. Sul ponte della barca apre il ventre di un grosso pesce, strappa filamenti e cartilagini, con le mani estrae la vescica natatoria.
***
La ragazza bionda, vestitino estivo a fiori, si tiene con entrambe le mani a un sostegno nel vagone della metro. La gente intorno guarda il telefono, guarda per aria, parla. A un tratto la ragazza fa un pull up, senza sforzo, mostrando la lingua alla camera, poi scende dal vagone.
Fermata Broadway Junction. Lui, torso nudo, tatuaggi, guarda sopra la spalla di lei – shorts e top sgargianti, treccine colorate nei capelli – che sta scrivendo qualcosa sul telefono. Si avvicina, cerca di prenderle il telefono, lei si divincola e si allontana qualche passo ma lui riesce a strapparle il telefono dalle mani. Lei lo insulta, lo insegue, lui correndo le gira intorno e con un salto scavalca i binari fin sulla banchina opposta. Lei urla esasperata. Lui legge qualcosa sul telefono, guarda la donna con uno sguardo misto di rabbia e sorpresa, poi scaglia con violenza il telefono sui binari.
Con un punteruolo perfora lo schermo di quattro differenti smartphone.
È notte, la donna armeggia davanti alla porta, la apre, entra. Dalla strada compare di corsa un uomo, tuta bianca, che arriva prima che la porta si richiuda ed entra, dicendo qualcosa. Si sente la donna gridare. Un altro uomo arriva di corsa, indossa una felpa a disegno tipo mimetico, si ferma sulla soglia. Si sentono voci dall’interno. L’uomo con la tuta bianca esce, i due si allontanano di corsa.
Quello con la salopette a righe bianche e rosse e gli stivali da cowboy sta barcollando sul tetto di un bagno chimico, il primo di una lunga fila, in un prato. È notte, si sentono musica e voci. Dal nulla un tizio arriva di corsa e tira una spallata contro il cesso chimico, che si inclina. Quello con la salopette perde l’equilibrio e cade malamente, sbattendo la schiena. Diverse persone intorno gridano. Un uomo insegue il tizio della spallata, lo abbranca per il collo e lo getta a terra sul prato. Ancora grida, parole non intellegibili. Un’altra persona con la salopette a righe bianche e rosse è china su quello caduto dal bagno chimico. Intanto l’uomo fronteggia il tizio della spallata, gli punta contro il dito, non si sente cosa dice. Dietro di loro ci sono pick-up, furgoni, roulotte.
La volante è ferma in mezzo all’incrocio, lampeggianti accesi. Si sentono sirene andare e venire. Alcune macchine girano intorno, altre sono bloccate al semaforo. Lui, calvo, barba, sovrappeso, indossa solo dei pantaloncini bianchi. Fronteggia tre agenti, due di loro puntano quelli che sembrano essere taser. Si abbassa e si alza sulle ginocchia, gesticola, allarga le braccia. Avanza verso gli agenti, che indietreggiano, i taser sempre puntati.
***
Nota
Lo scorso anno, nell’arco di un paio di mesi, ho descritto a parole svariati reel comparsi sui miei profili social, in una sorta di procedimento ecfrastico, o se vogliamo – trattandosi di filmati – di sceneggiatura ex post. Il funzionamento degli algoritmi, che propongono contenuti sempre simili e attinenti, ha portato a raccogliere queste prose nelle narrazioni potenziali di Unreel.