Il vagabondo ferroviario e le isole che si vedono dalla Liguria

di Marino Magliani

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualche anno fa lessi una vecchia intervista, l’aveva rilasciata Duilio Cossu, un amico di scuola di Italo Calvino. Gli chiedevano a quando risaliva, secondo lui, la passione di Calvino per la letteratura, e lui rispose che probabilmente era nata ai tempi dell’adolescenza. Uno dei primi progetti di narrazione di Calvino, infatti, disse Cossu, raccontava le avventure di due bambini degli anni Trenta, appassionati di calcio. Il campo da gioco era un carruggio e al solito il pallone si perdeva in discesa per le scalinate e sotto i portici della Pigna, e a volte, giù verso il mare. Recuperare il pallone faceva parte del gioco, fin quando un giorno, un rimbalzo non fece finire il pallone oltre la linea ferroviaria, e rientrarne in possesso diventò un’impresa, perché le mamme dei bambini avevano ordinato loro di non attraversare i binari. Mai, per nessun motivo. Siccome uno dei bambini non ci stava a perdere il pallone, e neanche a disubbidire, disse all’amico di aspettarlo lì, che lui andava a vedere dove finivano i binari, insomma, una volta alla fine faceva il giro, recuperava il pallone, rifaceva il giro e tornava a Sanremo. Ma era troppo bambino per sapere che i binari sono infiniti, forse anche quelli tronchi. Anche il ragazzino Calvino, inventore della storiella, ignorava una cosa: esattamente in quegli anni – era la fine della Belle Époque a Sanremo -, a un bambino vero capitò di perdere in quel modo il pallone e allora, per recuperarlo, venne in mente anche a lui di andare a vedere dove finiscono i binari. Calvino quella storia non la scrisse mai, però col tempo venne a sapere che un bambino vero aveva fatto ciò che lui aveva immaginato. E col tempo il bambino vero, diventato poi adulto e infine vecchio – un vecchio vagabondo lungo i binari – seppe che il famoso scrittore Calvino aveva inventato la sua storia, e l’aveva popolata di personaggi reali come Walter Benjamin, morto a Port Bou, ai piedi dei Pirenei, dove i binari terminano davvero perché oltre, nel sistema ferroviario della Spagna, i binari sono a scartamento ridotto.

Così, il vagabondo vero da ragazzo conoscerà il segreto delle isole liguri che Benjamin ha portato con sé, là, a occidente, dove finiscono i binari, e imparerà le teorie delle isole da un pittore di Alassio, e solo alla fine, quando ormai ha capito da sé che i binari verso levante non finiscono mai, e torna indietro, ormai vecchio e malato, ripassando da Alassio, sulla strada per Sanremo, scoprirà che il pittore delle isole era Carlo Levi, l’amico di Italo Calvino. Il giorno in cui, sebbene i binari non chiudano nessun cerchio, il vagabondo arriva a Sanremo, egli si ferma a guardare la città e va nella piazzetta sopra la ferrovia (ora la ferrovia passa all’interno della città, in una galleria) e si incanta a guardare dove è iniziato tutto quanto. Secondo il progetto letterario di Calvino, a quel punto il vecchio vagabondo letterario incontra la madre rimasta giovane, e in effetti anche il vecchio vagabondo vero rivede la madre rimasta ad aspettarlo come se il tempo non si fosse consumato. Potrebbe essere la malattia, l’ossigeno che non giunge più a sufficienza al cervello, ma alla fine il motivo per cui egli vede la madre non lo sappiamo e non importa, e neanche Calvino sta a cercare spiegazioni. La vede, semplicemente, ed è una bella madre, l’abbraccia, si fa abbracciare. Non tornano a casa, ma preferiscono andarsi a sedere su una panchina, lungo la stupida (secondo lui) pista ciclabile che ha sostituito la vecchia ferrovia. Il vecchio vagabondo, debole e assetato, desidererebbe mangiare un’anguria e la madre gliene compra una bella matura e gocciolante. La compra e se la fa tagliare dal contadino che traffica in un orto, prima del tramonto, fuori Sanremo.

Il vecchio vagabondo sa che gli resta giusto il tempo di quell’anguria, per questo la mangia lentamente, fermandosi a lungo davanti agli orti e al mare prima di chiedere alla mamma l’ultima fetta. Ma la mamma gli ha mentito, e forse lui l’aveva capito da tempo, la penultima fetta era l’ultima.

 

NdR questo testo è stato letto da Marino Magliani alla cerimonia di consegna del Premio Alassio 2024, nel quale era finalista il suo romanzo “Il bambino e le isole” (edizioni 66thand2nd, 2023)

L’immagine: opera di Sergio Ciacio Biancheri (fotografia di Giorgio Loreti)

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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