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Colonna (sonora) 2025

Note in libertà

di

Claudio Loi

Fine anno e nuova playlist, un elenco di fugaci consigli di ascolto per riassumere un anno di musiche e suoni dal mondo. Una lista che non ha pretese di verità né di esclusione, solo situazioni che meritano, secondo il gusto di chi scrive, di essere avvicinate e ascoltate con cura. Difficile districarsi in un mondo sempre più caotico, indecifrabile, liquido e schizofrenico. Pare che in solo giorno di questo 2024 siano usciti più dischi di un intero anno dei lontani Seventies. In questa grande brodaglia semiotica ecco quindi alcune tracce da seguire, consigli per gli acquisti elargiti a bassa voce. Buon anno e buon ascolto in rigoroso ordine alfabetico.

Adrianne Lenker. Bright Future. 4AD

Il futuro luminoso cantato da Adrianne Lenker, in libera uscita dal progetto Big Thief, è fatto di cose semplici, di gesti quotidiani forse banali ma non inutili. Una visione romantica e a portata di mano, apparentemente facile da raggiungere se si ha la forza di rimettere in discussione le abitudini del nostro vivere. Natura selvaggia, alberi da abbracciare, animali da osservare, una chitarra da accarezzare e amare. Il resto è musica fatta di sospiri, languide suggestioni autunnali. Minimalismo emotivo fuori catalogo, oltre le logiche del consumo spietato e inutile. Una filosofia di vita mai così opportuna e indispensabile.

 

Amyl and the Sniffers. Cartoon Darkness. Virgin

Sono degli adorabili cazzoni australiani, saltellano giulivi come canguri tra le pasture del rock’n’roll e riescono a rivitalizzare una storia all’apparenza già esaurita. Pochi accordi, molta elettricità, ritmo insolente e aggressivo, una dose massiccia di sguaiata irriverenza e il gioco è fatto in una formula magica tanto codificata quanto difficile da rinnovare. E quando questa magia si concretizza ringraziamo il cielo per avere a disposizione artisti che ci fanno battere il cuore e muggire come animali in libera uscita.

Artchipel Orchestra. Tubular Bells Variations. Musica Jazz

Tubular Bells di Mike Oldfield risale al 1973 e segna l’inizio della grande avventura della Virgin di Richard Branson che, almeno nei primi anni di attività, era uno spazio per musiche fuori da ogni schema. Nel catalogo di quei tempi gloriosi si potevano gustare pietanze succulente come gli Henry Cow, la scena di Canterbury, il miglior kraut, cantautorato sbilenco e tante altre cose. Poi quella primordiale esperienza è cresciuta fino a diventare una potenza discografica con un’altra visione del mondo. Ma Tubular Bells rimane un oggetto magico e misterioso, una lunga suite con mille rimandi e ramificazioni che a distanza di tempo ha retto il peso degli anni. Accogliamo quindi con piacere questa nuova versione delle campane tubolari proposta da Artchipel Orchestra sotto la direzione di Ferdinando Faraò che ha fatto di tutto per non stravolgere quelle antiche emozioni giusto per non dimenticare da dove veniamo.

Beth Gibbons. Lives Outgrown. Domino

Un album che ci fa riflettere sul senso della vita, di cosa significhi crescere, soffrire, continuare a credere in qualcosa. Dopo la bruma plumbea dei Portishead, un suono che ha fatto scuola e un’eredità anche pesante da governare Beth Gibbons ha realizzato che la cosa più saggia è fermarsi a riflettere per prendersi i tempi giusti. Questo lavoro ci trasporta in una dimensione di adorabile serenità, di beatitudine e pace interiore da non intendere come indifferenza o apatia. Semplicemente guardare le cose con rispetto, capire che il tempo passa, che ogni cosa ha i suoi ritmi e i suoi spazi. Solo così sarà possibile assurgere a una dimensione di consapevole libidine.

Charli XCX. Brat. Atlantic

Musica di largo consumo, generalista, forse mainstream, pop di gran classe, soldi, glamour e altre nefandezze di tal fatta. Quindi? Che si fa? Si ignora o ci sporca le mani accettando che anche la musica leggerissima se fatta bene e con cura può rilasciare ottime emozioni. La risposta per me è ovvia e allora ben venga Charli XCX con la sua suadente vocina, con i ritmi giusti e i suoni prodotti da chi conosce il mestiere. Come le bollicine a Capodanno o una passeggiata al termine della notte.

 

Cigarettes After Sex. X’s. Partisan

Morbidi baci e languide carezze. Questa la proposta dei CAS che non spostano di una virgola quanto avevano già proposto. E perché mai? Loro sono questa cosa qua. Indolenza, relax, narcosi, nebbiolina che ci ricopre lo spirito. Lo fanno da maestri e sono tra i pochi a non annoiare, sono credibili e unici, offrono momenti di pura astrazione terrena per arrivare a quella zona di interesse che è riservata a pochi. In questo caso bastano pochi scellini per essere felici. Con sé stessi e con il globo terracqueo.

Floating Points. Cascade. Ninja Tune

Sam Shepherd è tornato alle sue origini, dopo alcune escursioni in territori limitrofi che gli hanno spalancato le porte del cosmo. Ottima la collaborazione di alcuni anni fa con Pharoah Sanders (che nel frattempo ha lasciato questa dimensione) che lo aveva portato a riflettere sulle logiche della composizione arrivando a lambire territori più consoni alla musica contemporanea e alla sperimentazione orchestrale. Qui siamo tornati alla base, a quella techno evoluta e dinamica dei primi tempi. Cassa dritta, suoni e rumori alieni che si alternano, ritmo che fa danzare il cuore e scioglie le articolazioni. Molto meglio del defibrillatore e di qualsiasi medicina per il nostro cuore stanco.

Kim Gordon. The Collective. Matador

Nostra Signora del rumore ogni tanto ci fa grazia delle sue apparizioni. Smaltita la sbornia della gioventù sonica e la conseguente elaborazione del lutto (non solo musicale…) Kim ha ripreso in mano la sua vita e ci invita a entrare nel suo mondo. Prima un bel memoir giusto per mettere in chiaro alcuni concetti e poi, rispolverato il suo basso, ha dato fondo alla sua creatività e al suo modo di trattare la materia sonora. The Collective è un disco coraggioso, rumoroso al punto giusto, pieno di belle soluzioni armoniche e molto attento a quello che succede intorno a noi, comprese le cose meno cool. E va bene così e poi lei dall’alto della sua esperienza se lo può permettere. Ottima musica per un Natale laico e fragoroso.

King Hannah. Big Swimmer. City Slang

Una delle più belle sorprese di questi tempi. Sono una coppia molto giovane ma ben coscienti di quello che li ha preceduti e la loro visione travalica il semplice citazionismo con una proposta nuova e antica allo stesso tempo. La cittadinanza inglese non li condiziona affatto e in questo disco appare l’America che ci affascina tanto, fatta di strade lunghe e polverose, paesaggi che sembrano il set dei film di John Ford, una chitarra elettrica che ripercorre le piste tracciate da Neil Young e persino echi dei mai dimenticati Creedence. E la voce della ragazza riporta tutto a una dimensione di cocente attualità e a un futuro tutto da scrivere e immaginare.

Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp. Ventre Unique. Bongo Joe

Se passate dalle parti di Ginevra non potete non fare un salto alla sede della Bongo Joe situata alla fine del lago in un isolotto che in passato era occupato da fabbriche e opifici industriali oggi spazi culturali e luoghi per fare musica e stare insieme. Un bell’esempio di collaborazione tra istituzioni e comunità, soprattutto quella più marginale e difficile da inquadrare. In questo spazio magico ha trovato riparo anche Vincent Bertholet e la sua Orchestra e tutta la creatività possibile e immaginabile. Musica che svolazza libera da ogni recinto, complessa, piena di rimandi e notazioni, opera collettiva di libera espressione seppur sempre sotto il rigido controllo del suo artefice. Una delle migliori espressioni artistiche di questi anni con la benedizione di Marcel Duchamp.

Shellac. To All Trains. To All Trains

Steve Albini non c’è più e quindi anche gli Shellac che erano una sua creatura. Un pezzo di mondo va via con lui, una visione della musica molto pragmatica, sincera, vera nel senso più profondo del termine. Lui si definiva un onesto artigiano, l’uomo che aggiusta e sistema le cose, che organizza e risolve i problemi. In fondo era proprio così ma è stato anche tanto altro: un suono unico e irripetibile, un approccio materico ma pieno di ideali, la semplice arte di fare le cose al meglio senza speculazioni e soprattutto senza l’egocentrismo che tanto infesta i nostri tempi. Per fortuna rimangono i ricordi, le opere, le sue storie e la sua musica a indicarci la giusta direzione. To All Trains appunto che rimane l’ultimo respiro di un eroe nel vento. Forse l’ultimo.

 

Stefano Giaccone. L’affondamento di Torino. Rubber Soul Records

Stefano Giaccone è un uomo di altri tempi con una storia che è anche la nostra storia. Musicista sempre ai margini dell’impero, impegnato a far sentire la voce di chi non ha voce. Punk, hardcore, canzone politica e popolare vissuta in prima persona con la massima onestà e sincerità. Ma a lui queste cose sembrano non scalfirlo più di tanto e a distanza di tanti anni suona per il semplice piacere di farlo, senza troppi legami e senza patria. Questa manciata di canzoni racconta di una città che non c’è più, di un mondo che è cambiato in modo radicale, del tempo che passa e tutto sovrasta. Racconta anche di una società che ha ancora bisogno di qualcuno che la racconti per quello che è, delle sue miserie, dei soliti problemi sempre con la speranza che le cose possano migliorare. Una voce di cui abbiamo estremo bisogno.

The Necks. Bleed. Northern Spy

Un disco di rara bellezza che va gestito con la massima cautela. L’ascolto di Bleed è qualcosa che non ammette facili compromessi e scorciatoie. Suoni rarefatti e minimali, sfumature di suono appena percepibili, intrecci acustici che si svelano solo dopo diversi ascolti. Il consiglio è quello di far partire la musica, concentrarsi e dedicare a questi suoni tutta l’attenzione possibile. In questo modo si accede a una dimensione unica, quasi magica, si percepisce il respiro dei musicisti e degli strumenti, persino gli odori del legno e dell’erba spettinata dal vento. Una prova di forza e di coraggio piuttosto rara in questi tempi.

 

The Smile. Wall of Eyes. XL

The Smile. Cutouts. XL

Hanno aperto e chiuso l’anno a modo loro: due album strepitosi e inaspettati che sembrano arrivare da un’altra dimensione e da intelligenze superiori, per fortuna umane. Thom Yorke (che nel mezzo ha anche trovato il tempo e l’ispirazione per la colonna sonora di Confidenza di Daniele Lucchetti), Jonny Greenwood e Tom Skinner ci deliziano con composizioni che hanno il sapore della classicità e allo stesso tempo guardano avanti, molto avanti. Se i Radiohead di Kid A sembravano qualcosa di irraggiungibile The Smile va oltre ogni previsione e in qualche modo supera quell’ingombrante lascito. La storia della musica del Novecento è tutta qui e tra le pieghe dei suoni si intravede anche un futuro molto affascinante. The Smile è quanto di meglio possa capitare a chi ha ancora voglia di ascoltare buona musica.

 

 

Thus Love. All Pleasure. Captured Tracks

Pare che per gli analisti del settore la bolla del neo-post-punk stia per sgonfiarsi anche se non è dato sapere quale sarà il nuovo hype dei prossimi giorni. Poco importa, tutto scorre e tutto si ricicla un loop temporale sempre più straniante. Re-Make/Re-Model profetizzavano i Roxy Music che intuivano che basta mischiare le carte per sembrare sempre nuovi e in tiro e persino il funesto ritorno del mullet sembra confermare questa tendenza all’eterno ritorno. Ma i Thus Love sembrano crederci davvero in quello che fanno, non ostentano e non hanno voglia di stupire. Solo semplice buon post-rock fatto con cuore e intelligenza e questo è più che sufficiente.

Traum. Traum. Subsound

Si chiamano Traum come il loro album e di sogni e incubi ci parlano con la loro musica. Narcotici, psicotropi, ipnotici, psichedelici, metafisici. Musica che ha l’incedere del dormiveglia, di quello stato di torpore che arriva da funghi magici o dalle gocce del flaconcino dei medicinali. Sono gli stati di allucinazione che tanto piacevano a Ken Russell quando immergeva i suoi attori nelle vasche di deprivazione sensoriale. Qui è tutto più facile: basta un CD o partecipare a un loro concerto e il risultato è lo stesso senza effetti collaterali se non quello di rimettere il disco in play e ricominciare a viaggiare.

Buon 2025!

 

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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