Quando passa l’angelo
di Simonetta Gallucci
C’era solo una cosa più puntuale delle lancette di un orologio fermo sulle otto quando sono le otto: la telefonata di sua madre. Guido, quella sera, sudava freddo: doveva darle una notizia. Così, dopo i convenevoli: – … stavoltascendoaccompagnato – disse, tutto d’un fiato.
– Chi ti accompagna, uno di qua?
– Non hai capito. Scendo con la mia ragazza.
Silenzio. Poi una raffica di domande: – Ti sei fatto la zita? E mo’ me lo dici? La conosco?
– Come fai a conoscerla?
– Che ne so, magari è una trasferita, come a te.
– No… cioè sì, ma dall’America.
– Ma c’ha i gusti nostri? Mo’ che faccio da mangiare a questa?
– Ah, a proposito: è vegetariana.
– Pure. Altre stravaganze?
Guido si innervosì: – Dì un’altra parola e non scendo proprio.
Chiuse la telefonata con la sensazione che quel Natale sarebbe stato faticoso, e ne ebbe la conferma quando Katherine lo spedì a comprare tacchino e pancetta. Proprio lei, che lo rimpinzava di tofu e seitan, costringendolo a frequentare un’improbabile squadra di calcetto solo per potersi gustare l’hamburger dopo la partita.
– Voglio preparare l’hot brown per la tua famiglia – gli disse.
– L’hot che? – chiese Guido.
– L’hot brown… vedrai, li conquisterò.
Partirono il mattino seguente, con una teglia trasudante olio che, nelle dieci ore di viaggio, appestò l’aria e impregnò di grasso il sedile posteriore dell’Audi.
– Figghj mej! – urlò la madre di Guido quando arrivarono, facendosi trovare con le braccia spalancate, come mai aveva fatto negli anni precedenti. Lui si lasciò avvolgere da un abbraccio che sapeva di fritto, di casa. Poi la madre lo scansò per salutare Katherine: – Signorina, che piacere – le disse – mi devi scusare che sto tutta spittirrata, ma stavo alla cucina. Prego, accomodatevi – e si fece da parte per farli passare.
– Ma’ – disse Guido passando un braccio intorno alla vita della sua ragazza – Katherine ha preparato un piatto delle parti sue. – Lei, che reggeva la teglia, sfoderò un sorriso che avrebbe ammaliato chiunque. Non la madre di Guido: – Grazie tante, non ci serve niente – rispose, e girò le spalle.
Guido prese la teglia dalle mani di Katherine e seguì la madre in cucina: – E dai. – Lei scoperchiò il tegame con circospezione, inchiodò il figlio con lo sguardo e gli disse: – Io è da stamattina che preparo e mo’ viene questa, bella bella, e ci porta la zuppa di pane e pomodoro. Senti che puzza, pare il mangiare dei cani. Ci farà stomacare!
– Senti, tu dopo lo metti a tavola e, se non lo vuoi nemmeno assaggiare, dici che stai sazia.
– Uelcame!
Quando Katherine si affacciò in sala da pranzo fu accolta così da Franco, lo zio vacantino, che la prese sottobraccio e la condusse davanti a una signora in carrozzella, dicendo tra sé: – Come ha fatto quel babbascione di mio nipote a prendersi sto pezzo di femmina – e poi, urlando: – Ma’, hai visto chi è arrivata? La zita di Guido.
L’anziana fece cenno alla ragazza di avvicinarsi. Tese la mano a prenderle il mento e le girò il viso da una parte e dall’altra: – Una bella giovine – sentenziò, poi si frugò con una mano nella casacca e tirò fuori un portamonete. Lo aprì con circospezione, ne estrasse cinque euro sgualciti e li allungò alla ragazza: – Tieni – disse – comprati ‘na cosa buona.
Guido sopraggiunse in quel momento: – Fai ufficialmente parte della famiglia, ora – disse a Katherine, e le depositò un bacio sulla nuca. – E a nonna tua non glielo dai un bacio? – chiese intanto l’anziana. Quando il nipote si avvicinò, lo prese per il colletto della camicia e lo attirò a sé: – Ma ti fa mangiare, questa?
– A tavola! – La madre di Guido assegnò i posti: il figlio alla sua destra e il marito alla sinistra; a seguire da una parte Katherine e dall’altra zio Franco e, al capotavola opposto, la nonna. – Tonì – urlò poi in direzione dello studiolo – ma possibile mai che pure stasera devi vedere la partita?
Dopo qualche passo strascicato, il marito arrivò: – Era un torneo di biliardo.
La cena, in qualche modo, passò. L’hot brown giaceva quasi intatto: solo Guido e zio Franco si erano serviti; il padre ci aveva provato, ma era stato redarguito da un: – Quello ti fa acidità – della madre. Guido pensò che tutto sommato non era andata poi così male, fino a quando non sentì i rintocchi della cattedrale, che annunciavano la mezzanotte imminente, e la nonna esclamare: – Bisogna far nascere a Gesù Bambino!
– Guido, vai… – disse la madre, ma zio Franco la interruppe: – Aspé, quanti anni tiene Catarina?
– Venticinque – rispose lei.
– Ah, allora sei tu la piccola – fece il padre. La ragazza rivolse uno sguardo interrogativo a Guido che, paonazzo, si rivolse alla madre: – Ènecessario?
– Ché, ti vergogni?
Si rassegnò. Prese le mani di Katherine e provò a spiegarle: – Sai, noi abbiamo una tradizione. A mezzanotte andiamo in processione…
– Usciamo? – chiese lei.
– No, no, la facciamo qui.
– Qui dove?
Guido non sapeva più dove mettere la faccia: – In casa – disse. – Il più piccolo si mette in testa al corteo, e porta il bambinello alla grotticina… toccherebbe a te, ma se non ti va…
La risata diamantina di Katherine riempì la stanza: – I’m ready! – e si alzò. La madre intanto era andata in camera da letto e, dal primo cassetto del comò, aveva tirato fuori una riproduzione 1:1 di Gesù che, nel presepe allestito sul ripiano del mobile TV, avrebbe fatto la figura di Gulliver in mezzo ai lillipuziani. Lo depose tra le braccia della ragazza, dicendole: – Parti dall’ingresso, fai il giro intorno al tavolo e vai alla grotta, poi dai un bacio al bambinello e ti scansi. Noi ti veniamo appresso.
Katherine mosse il primo passo, ma fu interrotta dalla nonna: – E la canzone? – Così, presero tutti a intonare “Tu scendi dalle stelle” mentre si disponevano: Katherine in testa, seguita da zio Franco che non smetteva di farsi il segno della croce, cogli occhi fissi sul sedere della ragazza; dietro di lui Guido, poi il padre; infine, la nonna sulla sedia a rotelle, spinta dalla madre. Le campane suonarono a festa.
Tornarono ciascuno al proprio posto. La madre non fece in tempo a sedersi che si sentì ammonire: – Ma’, e il caffè? – Guido si girò verso la sua ragazza per chiederle se lo volesse anche lei, e la trovò con gli occhi sgranati. “Che ho fatto?”, si chiese. Katherine accavallò le gambe e incrociò le mani su un ginocchio. – Scrociale! – disse la nonna – che sennò passa l’angelo e dice “Amen”.
– Non ho capito.
– Se passa l’angelo, rimani per sempre così – spiegò zio Franco, imitando la posa di Katherine. Lei non credeva alle superstizioni ma, per cortesia, sciolse l’intreccio.
E, quella sera, l’angelo passò: su Guido, che ruttava sopraffatto dalla digestione, e su Katherine, che lo fissava come se fosse un rozzo sconosciuto; sulla madre, che entrava e usciva dal soggiorno per sparecchiare e sul padre che, con la testa reclinata all’indietro, russava; su zio Franco e sul suo sguardo spiritato, mentre allungava una gamba sotto il tavolo sperando di raggiungere il piede di Katherine, e sulla nonna che già sferruzzava un maglione per la fidanzata del nipote.
L’angelo passò, li guardò dall’alto, ma “amen” non lo disse; andava di fretta, il principale gli aveva chiesto di fare una comparsata a un presepe vivente, travestito da stella cometa. E si sa, certe volte non basta una vita di buone azioni per andare in paradiso, ma una parola detta al momento sbagliato può farci uscire dalla grazia di Dio.