Mostri sacri e complicanze storiche
di Antonio Sparzani
I miei mostri sacri della letteratura italiana sono Calvino e Gadda, rigidamente in ordine alfabetico. L’altra sera mi sono saltati addosso insieme. Cominciavo a leggere la quinta delle Lezioni americane di Italo Calvino: sappiamo che egli accuratamente scrisse le Lezioni prima di andare negli USA per portargli un po’ di cultura; ma incontrò, ancor prima di partire, la nera signora e tutto finì. Questa quinta lezione, titolo La Molteplicità, comincia con una lunga citazione di Carlo Emilio Gadda, di cui vi riporto solo la parte che mi interessa. Lo scritto di Calvino comincia appunto così:
“Cominciamo con una citazione:
Nella sua saggezza e nella sua povertà molisana, il dottor Ingravallo, che pareva vivere di silenzio e di sonno sotto la giungla nera di quella parrucca, lucida come pece e riccioluta come agnello d’Astrakan¸ nella sua saggezza interrompeva codesto sonno e silenzio per enunciare qualche teoretica idea (idea generale s’intende) sui casi degli uomini: e delle donne. A prima vista, cioè al primo udirle, sembravano banalità. Non erano banalità. [ . . . ] Sosteneva, tra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia, d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico “le causali la causale” gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia. L’opinione che bisognasse “riformare in noi il senso della categoria di causa” quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause era in lui un’opinione centrale e persistente: una fissazione, quasi: che gli evaporava dalle labbra carnose, ma piuttosto bianche, dove un mozzicone di sigaretta spenta pareva, pencolando da un angolo, accompagnare la sonnolenza dello sguardo e il quasi-ghigno tra amaro e scettico, a cui per “vecchia” abitudine soleva atteggiare la metà inferiore della faccia, sotto quel sonno della fronte e delle palpebre e quel nero piceo della parrucca.
La causale apparente, la causale principe, era sì, una. Ma il fattaccio era l’effetto di tutta una rosa di causali che gli eran soffiate addosso a molinello [ . . . ].”
(Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti 1988, pp. 101-2, dove viene citato Carlo E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti 1973, pp. 2-3).
Chi abbia letto il Pasticciaccio ricorderà che si trattava del “dott. Francesco Ingravallo comandato alla mobile”, da tutti detto “don Ciccio”, quello appunto che indagherà sul pasticciaccio per tutto il libro.
I passi gaddiani ricordati e trascritti da Calvino sono ben più lunghi, e sempre anche divertenti e gustosi, ma mi sono forzato a mantenere qui quello che più mi interessa. Che probabilmente già si capisce dalla mia scelta all’interno delle lunghe citazioni e che del resto Calvino poco dopo riprende così:
“Ho voluto cominciare con questa citazione, perché mi pare che si presti molto bene a introdurre il tema della mia conferenza, che è il romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo. [ . . . ] Ho scelto Gadda [ . . . ] soprattutto perché la sua filosofia si presta molto bene al mio discorso, in quanto egli vede il mondo come un “sistema di sistemi”, in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e ne è condizionato” (Lezioni, p. 103).
La lettura di tutto questo mi ha fatto scattare varie scintille nella testa. Quando s’invecchia si ricordano facilmente certe cose lontane nel tempo e si perde la memoria di quel che si è fatto l’altro ieri. Così è accaduto che ho ripensato alla mia lontana lettura di Guerra e Pace, romanzo che mi aveva ai tempi molto colpito non solo e non tanto per le vicende del principe Andrej, della fascinosa Nataša e di Pierre Bezuchov (che già nominavo qui ) e qui ) quanto per le varie ed estese considerazioni che Lev N. Tolstoj accuratamente esprime sulla guerra e sull’andamento del mondo. Sono molte e riguardano vari aspetti degli avvenimenti storici e qui ovviamente mi limito a passarvene qualcosa che è vicina al filo che stiamo seguendo. Prendendo le mosse dalle osservazioni che Tolstoj espone sulla matematica, leggiamo il seguito:
“I movimenti dell’umanità, essendo l’espressione di un numero infinito di volontà umane, si compiono in modo continuo.
Impadronirsi delle leggi di questo movimento è lo scopo degli storici. Ma per afferrare le leggi del movimento continuo costituito dalla somma di tutte le volontà umane la mente dell’uomo utilizza unità arbitrarie e discontinue. Il primo passo di ogni ricerca storica consiste nel prendere una serie arbitraria di avvenimenti continui e nell’esaminarli separatamente dagli altri; [ . . . ] Il secondo passo consiste nell’esaminare l’azione di un uomo, re o condottiero, come una somma di volontà umane, mentre la somma delle volontà umane non si esprime mai nell’attività di un solo personaggio storico.”
Da tutto questo a me pare di poter trarre una – quasi evidente – conclusione: nessun avvenimento storico può essere ascrivibile ad una sola causa, ma a una moltitudine di altre, talora meno talora più importanti, almeno al nostro, fallibile, giudizio. Il quadro che ci fa intravedere Tolstoj è quello di una rete fitta e irregolare, nella quale ogni nodo è legato a chissà quanti altri. Del resto, cercando altre fonti meno “romanzesche” ma più autenticamente storiche sull’argomento, mi sono imbattuto in una bella e intrigante monografia, che s’intitola Du sens de l’histoire, dello studioso Frédéric Press (L’Harmattan, Paris, 2014); ecco quanto si legge a pag. 92:
“Dans le même ordre d’idées, la causalité semble suivre sa logique propre. Les évènements sont liés par une chaine dont la permanence même tient lieu de vérité. Mais plus on remonte dans le temps et plus incertaine est la cause. Elle est toujours plus diffuse et l’historien en est réduit à rechercher les meilleures proximités. Par la force des choses, ou de leur logique interne, il n’est plus face à une mais à un ensemble de causes ».
Ora basta citazioni di supporto a un’affermazione non così peregrina: qualsiasi avvenimento, dai più minuscoli ai più clamorosi ha tante cause. Dal che si desume altrettanto ovviamente che, salvo nei casi più minuti e banali, quando qualcuno prende la decisione di fare una cosa, e la fa, solo vagamente e comunque con scarsa sicurezza può prevederne i risultati. Certo quando il 18 giugno del 1914 Gavrilo Prinzip uccise a Sarajevo, nella loro carrozza, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Absburgo, e la sua consorte Sofia, duchessa di Hohenberg, non prevedeva, né probabilmente intendeva dare inizio alla prima guerra mondiale, e viceversa non possiamo sostenere che la prima guerra mondiale sia stata provocata (soltanto) dal gesto di Prinzip.
Arrivato a questo punto ho cominciato a pensare agli attuali governanti del mondo, ammesso che sappiamo esattamente chi siano (non certo soltanto la schiera dei Biden, Putin, Ji, Netanyahu, Starmer, Scholz, Macron ecc.), che mediamente detesto, ma in qualche modo anche compiango: chissà se e quanto sono consapevoli che le loro scelte, che pure sono costretti a fare, quasi giorno per giorno, avranno un effetto non necessariamente coincidente con quello che essi sperano e auspicano, cioè quello che si erano ripromessi di provocare facendo quelle scelte.
Dalla cosiddetta globalizzazione in poi, questo problema è diventato sempre più grave: i fattori, gli stati, in gioco sono sempre di più, ci sono i rapporti commerciali da tener d’occhio, non solo i rapporti di forza, ci sono ogni momento imprevisti, fatti non prevedibili e non previsti, che vengono a mutare la scena e quindi a mutare le strategie immaginate. Certo, tutti i decisori avranno appositi comitati, gruppi di aiuto di informatori affidabili, ma il problema globale è ormai troppo complesso e la previsione del futuro diventa sempre più fallibile quanto più questo futuro è lontano: per il domani posso forse ancora dire qualcosa, per dopodomani un po’ meno, tra un mese è già un disastro.
Aggiungo, ciliegina sulla torta, che le cose davvero importanti per le sorti del mondo, noi gente comune con ogni probabilità non le sappiamo; staranno forse, forse, scritte sui libri di storia di qualche secolo a venire.