Articolo precedente
Articolo successivo

Grace Paley e l’essere fuori luogo. Un anniversario


di Anna Toscano

L’importanza di non capire tutto per Grace Paley (1922-2007) sta nell’importanza di osservare molto, osservare, ascoltare, guardare la vita degli altri, assistervi, parteciparvi, lottare. Grace Paley, della quale ricorre oggi il giorno della nascita, era una donna fuori luogo, una scrittrice fuori luogo, una che non amava stare dove la mettessero.

Le sue origini hanno molto segnato questo suo essere fuori luogo: nasce a New York nel 1922 da genitori ebrei che solo una manciata di anni prima erano fuggiti dall’Ucraina, genitori che erano già stati in esilio politico in diversi paesi ma che decidono di andare a New York con l’intera famiglia, figli, nonni, zii, nipoti, e dopo pochi anni appunto dare alla luce una figlia: Grace.

Molte lingue madri

Grace cresce in una famiglia che parla più lingue madri in casa – il russo, l’yiddish – e lei è l’unica a nascere con l’inglese come madre lingua. Ognuno poi in famiglia parla la lingua che vuole e impara e contamina le altre a modo suo: suo padre, per esempio, medico, apprende l’inglese leggendo Dickens.

C’è una questione linguistica nella sua crescita, una religiosa, una sociale e una di genere. Tutte l’accompagnano nel fare del fuori luogo il suo luogo.

Gli emarginati del Bronx

I genitori sono impegnati in lotte sociali e civili nel loro quartiere, il Bronx, in quei decenni coacervo di moltitudini di persone che vi cercavano salvezza e fortuna. È nelle scuole che Grace, già attiva in diverse associazioni giovanili, scopre che ci sono comunità intere di emarginati, molto più emarginati di lei, le comunità afroamericane, le comunità italiane, la segregazione razziale, le comunità più povere e più ghettizzate. Lei sta con loro, le care altre e i cari altri, sin da giovanissima tanto che a soli dodici anni viene sospesa dalla scuola per la pubblicazione di una lettera di forte ispirazione socialista.

La militanza inizia presto

Presto inizia la sua militanza, sempre dalla parte dei diritti umani e della giustizia sociale: contro la guerra, contro le armi, contro il nucleare. Pacifista e femminista, la sua militanza la porterà ad essere arrestata per aver srotolato una manifesto di fronte alla Casa Bianca con scritto “Niente armi nucleari” e da lì ad avere per trent’anni un fascicolo col suo nome presso l’FBI.

La sua attività politica per nulla si disgiunge dalla vita privata, giovane madre vive in un palazzo gremito di gente, in una strada gremita di palazzi gremiti di gente, in un quartiere gremito di palazzi gremiti di gente: persone dalle più diverse provenienze, lingue, credo, abitudini, realtà. Lei sta al parco coi suoi bambini, alla finestra, nei piccoli negozi al dettaglio sulla via, in biblioteca e osserva le persone, vive con e tra le persone. E accumula, accumula storie, visioni, immagini. Ama la poesia e nonostante non concluda percorsi scolastici standard decide di studiare poesia con W. H. Auden.

Persone e poesia: i primi libri

Da Wikipedia

Forse possiamo dire che le persone e la poesia sono la sua prima ossessione, e di qui la parola che unisce le persone alla poesia e viceversa. Le troppe storie la affollano e dunque le scrive: esce, a quasi quaranta anni, con una prima raccolta di racconti, nel ’59, tradotta poi in italiano nel 1986 col titolo Piccoli contrattempi del vivere. Racconta storie apparentemente senza capo né coda – questo il giudizio dei poco illuminati critici di quegli anni – storie assemblate da storie di altri dove non vi è una fine, non vi è un dialogo letterario, ma vi è la vita.

Passa alquanto inosservata come raccolta, ma nel ’74 ne esce un’altra, Enormi cambiamenti all’ultimo momento, uscita in Italia nel 1982, a cui ne segue una terza, Più tardi nel pomeriggio, in Italia nel 1987 – gli ultimi due, anche forse inutile dirlo, grazie all’attenzione di Fernanda Pivano e al grande lavoro della Tartaruga Edizioni.

Le ragioni di un esordio tardivo

Perché pubblica verso i quaranta anni? Perché doveva osservare e battagliare per il mondo, lo stesso motivo per cui anche le tre raccolte di racconti escono a molta distanza le une dalle altre. Ma il tempo della sua scrittura e della sua pubblicazione – tempo troppo dilatato per lo sguardo miope di alcuni critici ed editori – è il tempo di una donna e di una scrittrice che ha deciso di fare del suo esser fuori luogo il suo luogo: non una persona in attesa che altri, gli uomini, decretassero cosa dovesse fare per esistere o per avere prestigio, ma una persona che sta eticamente e moralmente in sé stessa.

Questo in Grace Paley vuol dire distribuire volantini lungo la strada, in scarpe da ginnastica e gonna a scacchi, a manifestare, a lottare, come al parco ad ascoltare le voci della altre; cose che ha fatto fino a una età avanzata.

Mettere il mondo nella letteratura

Questo è stato il suo tempo al di fuori del tempo prefissato dagli altri, un tempo in cui ha messo nella letteratura il mondo, ha fatto sì che la letteratura copiasse il mondo con una voce potente e unica: la voce che sta nell’energia dinamica del pensiero umano. Una voce compartecipe, empatica, una voce che ascolta prima di dire e che nei racconti si riversa: i dialoghi della panchina o del tavolo accanto che si riversano nel racconto, così come i personaggi e le personagge, la vita.

Osservare e raccontare le donne

Le donne sono le sue personagge privilegiate, donne da osservare e racconta, spesso senza una trama precisa, come la vita che non ha una trama precisa, spesso con un finale aperto perché tutti hanno diritto a un finale aperto: “Non potevo fare a meno del fatto che non ero andata in guerra e non avevo fatto cose maschili. Avevo vissuto una vita da donna ed è di questo che ho scritto”.

Nel 1989 il governatore Cuomo inventa una onorificenza per lei e la nomina la prima scrittrice ufficiale dello Stato di New York. Nemmeno questa bellissima nomina, giunta quando finalmente i critici si risvegliano da un ottuso sonno e capiscono l’opera postmoderna, come viene definita, di Paley, lei, Paley, accetta di stare nel luogo dove la mettono. Così rimane lungo le strade a fare volantinaggio e a lottare, a viaggiare per i diritti sociali. Pure nel mondo letterario sta dove vuole anche in questo momento: mentre tutti si aspettano da lei il grande romanzo lei torna al grande amore, la sua passione: la poesia.

Una costellazione di volti

E dalla fine degli anni Novanta fino al 2001 pubblica una serie di libri di poesia in cui la sua indole e la sua pratica combattiva civile si riversa nel privato in versi fino a costituire, poesia dopo poesia, una costellazione poetica di volti – amiche, amici, amanti, figli, nipoti, genitori, sorelle – che racchiudono un universo. Un universo di volti vivi e di volti morti, una mappa delle battaglie che passano dal privato al pubblico, e viceversa, anche attraverso la stanchezza dei visi, le giacche che pendono male dalle spalle, la curvatura del dorso, la mano che non torna, il numero che non risponde.

Forse, a pensarci bene, non racchiudono l’universo di Grace Paley questi libri di poesia, ma lo aprono a un universo, l’universo di tutte e tutti noi. L’empatia che è la cifra della sua lingua in prosa qui, in poesia, diviene compassione. Paley ritorna a sé stessa, ritorna a una cura ossessiva per la parola quanto per le persone di cui scrive, ricama versi in una parola comune, spesso bassa ma mai sciatta.

Torte e poesie

Grace Paley non cerca una misura e nemmeno che nessuno le dica quale sia il suo posto, o la misura che deve osservare, lotta e osserva, sta tra le altre e gli altri, incurante se non della giustizia: “In fatto che fossi una femminista ha fatto arrabbiare diversi uomini. E il fatto che mi piacessero gli uomini ha fatto arrabbiare diverse donne. Che vuoi farci, sei quello che sei”.

Oggi, a 102 anni dalla sua nascita e a 17 dalla sua scomparsa, Grace Paley ha la fortuna di essere tra le rare donne ancora a essere pubblicate, anche se mi trovo sempre a raccontare e leggere la sua opera in eventi che comprendono quattro scrittori e una scrittrice: e la scrittrice che scelgo è spesso sconosciuta. L’ultima volta, mentre aspettavo di iniziare a raccontarla – in una bellissima biblioteca affollatissima a Bassano del Grappa – una donna arriva di corsa affannata e sedendosi accanto alla sua amica le dice: “Non so chi sia questa scrittrice ma dato che è l’unica donna della rassegna, anche se sono molto stanca mi sono impegnata a venire a sentire”. Facciamole diventare non le uniche donne delle rassegne, tiriamo fuori le “figurine” difficili da trovare, parliamone, leggiamole. Perché queste donne che hanno lottato per vivere smisurate e “fuori luogo”, hanno i loro luoghi nelle nostre librerie, biblioteche, nelle nostre letture, nelle rassegne. Grazie a chi lo fa. E a chi fa torte e poesie.

***

Volevo scrivere una poesia
invece ho fatto una torta     ci ho messo
più o meno lo stesso tempo
ovvio la torta era una stesura
definitiva      una poesia avrebbe richiesto
un pochino di più       giorni e settimane e
parecchia carta straccia

la torta aveva già un suo
pubblico vociante e capriolante tra
camioncini e un’autobotte dei pompieri sul
pavimento della cucina

questa torta piacerà a tutti
avrà dentro mele e mirtilli
albicocche secche     molti amici
diranno     e perché diavolo
ne hai fatta una sola

questo con le poesie non capita

per via di irriferibili
tristezze ho deciso
stamattina di accontentarmi dei

miei voraci avventori   non voglio
aspettare una settimana    un anno    una
generazione perché si presenti
il cliente giusto

Senza misura. Leggi gli altri ritratti di questa rubrica

Print Friendly, PDF & Email

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

La teoria della madre

di Marco Pianti
Era asciutto, prosciugato. Alcuni lembi di pelle pendevano dal collo e dalle braccia. La faccia era anch'essa decaduta sotto il peso della fronte, ammucchiata e sfigurata in un unico punto, da cui emergevano due piccoli occhi con i quali indagava la sua ristretta porzione di mondo. Un dettaglio degno di nota erano le sue camicie, candide e prive di grinze

Il necroforo

di Jacopo Biolatti
Un'ombra si trascina ossequiosa tra le logore lapidi del cimitero di Bouchet, all’ora del crepuscolo in cui si accendono i primi lampioni. Questa metropoli di fioche luci, le uniche visibili tra le colline blu notte, esiste dall'alba dei tempi

“Dear Peaches, dear Pie”. La corrispondenza privata tra Carlos e Veronica Kleiber

di Roberto Lana
Ho avuto l’immeritato privilegio di frequentare Veronica, la sorella di Carlos Kleiber. Nel corso di uno dei nostri incontri, Veronica mi ha consegnato l’intera corrispondenza con il fratello, dal 1948 al 2003

Funghi neri

di Delfina Fortis
Quando ho acceso la luce è saltato il contatore. Sono rimasta al buio, in silenzio. Ho acceso la torcia del cellulare e ho trovato l’appartamento pieno d’acqua, i soffitti ricoperti di macchie, i muri deformati dall’umidità, pieni di escrescenze e di muffa nera

Dente da latte

di Valeria Zangaro
A vederla non sembrava avesse mal di denti, mal di gengive, mal di qualcosa insomma. Niente di gonfio, niente di rotto. Solo un dolore sottile e costante che dal naso arrivava fino all’orecchio, e certe volte si irradiava fin giù alla gola; un dolore diramato, senza un centro preciso, o con un centro ogni volta diverso

“El Petiso Orejudo”, l’operetta trash di María Moreno

di Francesca Lazzarato
È dagli anni Settanta che María Moreno va anticipando tendenze e mutamenti di rotta in campo letterario, anche se continua a definirsi una giornalista, ancor prima che una cronista, una romanziera, una saggista.
davide orecchio
davide orecchio
Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: