Quasi come un’egloga ( beh più o meno, insomma a voler essere precisi si poteva far di meglio, ma tant’è)
di Giorgio Mascitelli
L’allegro crepitio delle motoseghe di noi allegri boscaioli della Val Barzotta ( international googlemaps: near the Nowhere Valley) risuona allegramente pei tratturi, pei bronchi, tra gli alberi centenari, le cui cime nessun vento scote mai, nell’allegro casotto del cacciatore, per le pendici delle convalli; talvolta esso si fa allegra marcetta, poi diventa un sussurrio soffocato che persuade al sonno, poi s’impenna in urlo come di benna incazzata. Noi si è tutta brava e allegra gente di bosco e dove ci dicono di tagliare, noi si taglia; noi si porta sempre una simpatica ( e allegra) camicia a quadrettoni, che ci si slaccia allorché nella radura comincia a penetrare la luce del sole, dopo che qualche tronco è rovinato al suolo, e il clima si fa un po’ più caliente. Infatti l’allegra musica, come nei vecchi lp allorchè la puntina finiva la traccia e si alzava, si stempera in fruscio e poi si sospende del tutto e allora noi si grida allegramente “Attenti che per l’aria si muove, ma poi va giù” e segue il frastuono della tombola.
C’è da dire che immettere un raggio di sole, dove prima c’era la penombra, mette sempre un po’ d’allegria, sicché noi boscaioli della Val Barzotta si è tutti gente allegra. Quando al mezzogiorno si fa un po’ di ricreazione per desinare, ci si distende allegramente lì all’ombra e si consuma la colazione del cestino, la gamella con il minestrone, talvolta un sorso di vino dalla fiaschetta, e una fetta di pane con la formaggella. Poi, finito di mangiare, c’è un attimo di silenzio in cui si possono ascoltare i suoni della natura e/o quelli della digestione, in cui non si parla in quanto non c’è nulla da aggiungere al fatto che si sta bene all’aria aperta e sana, satolli e ristorati dalla pausa, logico dunque che noi si sia gente allegra. Io poi in particolare non solo sono il caposquadra qui e l’unico con il contratto a tempo indeterminato, sicché non me andrò mai, ma da quando sto con Rosamaria tutte le cose hanno più senso, non credevo più che avrei mai incontrato la persona giusta come Rosamaria perché ormai il capo si brizzolava e dalla testina del rasoio elettrico al mattino si soffiavano via solo peli grigi. Da quando c’è Rosamaria lavoro con più entusiasmo, i cibi hanno più sapore come neanche dopo aver smesso di fumare e se sono stanco, mi ristoro con il pensiero che a casa m’attende Rosamaria ( talvolta il cigolio dell’albero che sta per cascare sembra che mormori ‘Rosamaria, Rosamaria’ e l’eco dalle zone disboscate ripeta e amplifichi l’amato nome). Felicità tardiva d’un uomo che, credo, l’ha molto meritata.
Zanini no. Zanini lui gli scade il contratto perché è a tempo determinato e quindi, come vuole la natura delle cose, lui adesso finisce il lavoro oggi ed è concessa un po’ di malinconia quando una cosa finisce, sebbene contrasti con l’allegria intrinseca della nostra attività, ma Zanini la mette giù veramente dura con il farsi tutte queste menate su dove andrà, dove guadagnerà il da mangiare e quelle cose non allegre così. Io cerco di mostrargli la bellezza del creato, del vivere nell’istante, del respirare quest’aria pura che magari gli toccherà pure a lui di scendere giù in città ( ma no! La gente se ne va anche dalla città. E allora si può sapere dove vanno?). Così gli dico di non preoccuparsi che al limite potrà andare in Val Cazzotta, ma lui replica che l’hanno disboscata l’anno scorso, allora gli faccio presente la Val Comellina, ma pare che quest’anno con i fondi europei green dell’agenda duemila e qualcosa l’abbiano messa in sicurezza spianando tutti quei noiosi alberi, gli ricordo la Val Chiria, e qui mi fa irritare perché secondo lui essendo un parco naturale non c’è da lavorare, come se anche in un parco non ci fosse bisogno di tirare giù alberi, sicuramente ci sarà qualcosa nella Val Lozza, ma lui non crede. Starei per dirgli che dovrà ingegnarsi, magari lasciare la motosega per il più vile decespugliatore, ma so che offesa sia questa per un uomo del nostro mestiere e mi taccio. Quel che più mi urta di questo pessimismo della volontà, ancorché scusabile per la poca amabilità del frangente, è che presuppone che non ci siano infinite valli da disboscare, che le valli finiscano insomma a un certo punto, ed è proprio questa la caratteristica dei non meritevoli, di attribuire al mondo i caratteri della loro limitatezza.
Zanini sospira e poi mi fa “Ma chi fu colui che ti diede questa pingue allegria presente?” e io “Non è stato un uomo, ma un sistema: la meritocrazia” e lui sospira di nuovo e sta in silenzio come se ora vedesse con chiarezza il nodo che lo ritiene di qua dal nodo meritocratico che gli è stato esposto. Vorrei dirgli di ascoltare gli uccellini che ciangottano allegramente, ma si odono solo in lontananza perché c’è da dire che abbiamo fatto una bella spianata lì dove siamo e a vedere i risultati del proprio lavoro mi mette allegria. Vedo che le ombre s’allungano e che viene la sera, la nostra giornata è terminata, mi spiace che vadi così mogio che Zanini era un buon diavolo. E se non avesse mormorato, o quanto meno se io non l’avessi inteso, “Quando le valli da disboscare saranno finite, anche tu potrai capire sulla tua pelle questa mia sera finale”, lo avrei invitato a fermarsi a cena da noi, che per stasera Rosamaria prepara la polenta con il capriolo e al limite avrebbe potuto dormire da noi, così che domani avrebbe potuto viaggiare riposato.
(questo racconto è apparso sul numero 23 di Sud. Rivista europea)