Le finestre di Enrico Palandri

di Alberto della Rovere

Edita da Bompiani, la collezione di (sette) saggi, di Enrico Palandri, prosegue nel solco delle ultime, felici, prove dell’autore, il quale, dalla pubblicazione di Flow (Editore Barbera, 2011), si offre al lettore con una posa di assoluta apertura, “libera per”, nel rispetto dell’altro da sé, il fruitore della parola, caso invero raro nella recente, dogmatica, produzione saggistica letteraria italiana. Invece, l’opera di Palandri, con la di lui sinestesia di generi, stili e linguaggi, per il respiro, ampio, che ne connota lo scrivere, sia esso: prosa o saggio, risulta accostabile ai lavori di W.G. Sebald, Jan Brokken, Cees Nooteboom, Olga Tokarczuk, Milan Kundera, Daša Drndić, Ian McEwan, nel flusso della più fruttuosa tradizione letteraria europea, degli ultimi decenni.

La raccolta, il cui titolo evoca l’atto d’apertura delle finestre dello studio dell’autore, muove, flowing, dal chiuso all’aperto, comune traccia sottesa, verso la ricerca della bellezza, condivisa, con l’altro, interlocutore con-senziente, nell’atto poietico della intepretazione: “La bellezza è (…) terribile, infinita, arriva sparigliando le carte e ribaltando i tavoli, apre una porta e si affaccia su abissi e spazi sterminati. Lì c’è l’altro, e noi, e le ossessioni sono solo uno degli strumenti che hanno gli dèi per costringerci a recitare la nostra parte”: una bellezza che, sovente, si rivela, tema quasi heideggeriano, nel solco dei Sentieri interrotti, nella distrazione, nell’indeterminato, nel mistero, come testimonia Keats, citato nella prima delle sette finestre.

La tensione è quella che muove, memore dei tempi settentasettini e della posa di Gianni Celati – di Palandri, prima che docente, amico – secondo traiettorie apparentemente disordinate, intrecciando argomenti trasversali, consci che risulta vano porsi obiettivi, abbandonando ogni tappa, e materia, per muoversi alla prossima, successiva meta. Noi lettori ci poniamo, così, nuove domande, connettendo temi ed elementi anche (apparentemente) distanti, interrogando la natura dei propri abiti consolidati, così come il nostro stare-nel-mondo. Lontani da ogni manifesto ed ermeneutica dogmatica delle parole, come ci viene suggerito nella seconda “finestra”, Interpretazioni diverse, laddove la lettura di un testo d’altre epoche, secondo il sentire dei moderni tempi, si dimostra fallimentare, poiché, scrive Palandri: “Mentre il testo infatti rimane radicalmente altro (come ogni persona), il contesto è poroso, mescola le ragioni degli uni e degli altri alla nostra percezione, è inevitabilmente un ponte tra quel che siamo noi oggi e quello che abbiamo invece di fronte”. Nella letteratura, nello studio, come nel quotidiano.

Ecco, quindi, sfilare, lungo le pagine, lontane da ogni angusto materialismo dialettico e pregiudizio teleologico, gli dèi omerici, Blake, Freud, Montale, Joyce (nella lettura donata da Virginia Woolf), Svevo, Florenskij, Jung, Hillman, il prediletto Leopardi, cui Palandri ha dedicato il saggio Verso l’infinito, Platone, Lucrezio, Kafka, Deleuze e Guattari, Catullo, scienze cognitive e psicanalisi, antropologia, teatro e cinema, secondo una (a)temporalità, di scrittura e di intepretazione, sempre mobile: la narrazione, il racconto possono palesarsi soltanto quando scompare la percezione di un tempo fisico, definito – l’esempio citato da Palandri è quello dell’inizio della Recherche, di Proust, il quale, all’alba del Novecento, con Joyce e Svevo, trasforma “profondamente il modo in cui percepiamo l’identità”, come si legge all’inizio della sesta “finestra”, La bellezza dell’estraneità.

L’intenzione diventa esplicita nell’ultima, felicissima, finestra, In cerca della sorgente, ove Palandri ci invita a seguire, lungo la pagina scritta, come nel quotidiano, i passi del  giornalista Henry Stanley, verso le sorgenti del Nilo, in cerca del dottor Livingstone, “non per spiegare, ma per continuare a cercare”.

Una tensione continua che non può esimerci da rischi, dubbi, dolori, ferite, ma che diventa imprescindibile, nell’atto della scrittura, come nelle relazioni, intessendo narrazione e vita, poiché “la ricerca si nutre di ciò che le resiste. La solitudine in questo modo si costruisce per i falliti tentativi di comunicazione”: questa la suggestione che abita l’opera di Palandri, nell’accorato invito a non rinchiuderci nelle nostre abituali, labili rassicurazioni, di pensiero, relazione e azione, nell’appartenenza, nei codici e nelle categorie, per muover-si, invece, nel mistero, nell’incertezza, all’incontro con l’alterità e gli affetti (“Perchè amare, per noi come per Dante, è l’essenza del vivere”), intessuti di racconti, pronti a produrne di nuovi, sempre, nella fiduciosa “possibilità di abitare un tempo che viene.

Print Friendly, PDF & Email

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

articoli correlati

Il vagabondo ferroviario e le isole che si vedono dalla Liguria

di Marino Magliani
Calvino quella storia non la scrisse mai, però col tempo venne a sapere che un bambino vero aveva fatto ciò che lui aveva immaginato. E col tempo il bambino vero, diventato poi adulto e infine vecchio - un vecchio vagabondo lungo i binari - seppe che il famoso scrittore Calvino aveva inventato la sua storia.

Abbagli tra le rovine del mondo caduto

di Alice Pisu
Intrigato dalla vita nascosta nella materia morta, da ciò che è ormai privo di senso, Voltolini genera visioni nel gioco di accumuli utile a sostanziare una dimensione estranea al noto. La tensione alla vertigine esorta chi legge a concepire una cifra di inconoscibilità e al contempo di familiarità in luoghi infestati dalla solitudine: analogie con l’ignoto che ogni individuo sperimenta se osserva il proprio vuoto.

LA SPORCIZIA DELLA TERRA

di Giacomo Sartori e Elena Tognoli
Ci hanno insegnato che la pulizia è molto importante, e che le cose pulite sono inodori e ordinate, ben illuminate, ben geometriche, preferibilmente chiare. Quindi non c’è molto da stupirsi se la terra, che è tutto il contrario, ci sembra sporca e brutta, e anche poco igienica, infestata da vermi e altri bacherozzi com’è.

Nessuno può uccidere Medusa

Marino Magliani intervista Giuseppe Conte
Io lavoro intorno al mito dagli anni Settanta del secolo scorso, quando mi ribellai, allora davvero solo in Italia, allo strapotere della cultura analitica, della semiologia, del formalismo, una cultura che avevo attraversato come allievo e poi assistente di Gillo Dorfles alla Statale di Milano.

Dogpatch

di Elizabeth McKenzie (traduzione di Michela Martini)
In quegli anni passavo da un ufficio all’altro per sostituire impiegati in malattia, in congedo di maternità, con emergenze familiari o che semplicemente avevano detto “Mi licenzio” e se ne erano andati.

Euphorbia lactea

di Carlotta Centonze
L'odore vivo dei cespugli di mirto, della salvia selvatica, del legno d'ulivo bruciato e della terra ferrosa, mischiato a una nota onnipresente di affumicato e di zolfo che veniva dal vulcano, le solleticavano il naso e la irritavano come una falsa promessa. Non ci sarebbe stato spazio per i sensi in quella loro missione.
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: