Amelia C: «a voi adulti dico: vigliacchi!»

 

 

«No, io non sarò come voi. Noi non saremo come voi. Noi siamo un mondo nuovo. Noi siamo l’insurrezione naturale perché la nostra natura poggia le radici su terre sconosciute» scrive Amelia C., 17 anni, e tanto basta come introduzione a uno dei libri più formidabili pubblicati negli ultimi tempi, Vigliacchi! Il mio j’accuse al mondo degli adulti. Lo pubblica AgenziaX, e andrebbe letto subito, senza indugi, se non fosse che l’autrice sovverte anche questa aspettativa: «Sono Amelia, sono il futuro e non ho fretta».

Lettura antidotale al fatalismo, alla desolazione come mandato generazionale, questo libro si legge con una specie di attrito necessario. Siamo di fronte a un buon veleno, di quelli che curano, senza diluire la rabbia, senza truccarla di moralismo. Gli adulti, di questi mondo che si sono ritrovati in eredità, non hanno capito nulla. Soprattutto, sono stati cattivi antenati. Non possiamo più permetterci lo stesso errore, dice Amelia. E dovremmo darle ascolto.

Come si comprenderà leggendo i due estratti che ho scelto di ospitare qui sotto, c’è molto in Vigliacchi!: l’incapacità di venire a patti con il passato e la ridefinizione del mito, la guerra permanente e l’orrore del genocidio in Palestina, l’analfabetismo digitale, le auto elettriche e lo sfruttamento sistematico delle materie, l’inutile crociata contro la pornografia e la crisi radicale della scuola. Pasolini e Madame, Facebook e Chi l’ha visto, la masturbazione e l’orgasmo, senza esaltazione, senza pruderie. Soprattutto, c’è la volontà di stare nell’incerto, in ciò che punge, che non si risolve immediatamente in qualche buona novella, con la consapevolezza di poter dire, contro ogni futuro già colonizzato: «Noi saremo proprio qualcosa di sconosciuto e lo saremo in maniera dirompente perché siamo figli di un secolo che farà da spartiacque, che stravolgerà il modo di lavorare, agire, pensare. […] Non ci fa paura questo nuovo mondo perché ne siamo parte integrante. Ma sappiamo metterci le mani».

Viva questo libro, vestito d’ortica e di furore, ma con tutto l’impeto della felicità – quella non facile, che non si dà pace, che che vuole ricominciare il mondo.

 

***

Voi volete stare in pace

Continuate a discutere di fascismo e antifascismo. Quindi di un tema del nostro passato, relativo alla Seconda guerra mondiale e al dopoguerra. Non voglio fingere che sia una questione che non riguardi anche la nostra generazione. La storia è la nostra levatrice, non potrebbe non interessarci. Cosa è accaduto? Perché? Perché non dovrebbe mai più accadere? Però io non posso commuovermi per qualcosa che è accaduto settant’anni fa. Non perché sono insensibile, ma perché quello che è successo nel passato fa parte della Storia con la S maiuscola. Io la posso studiare ma non posso commuovermi e men che meno posso essere interessata al dibattito antistorico e spesso fumettistico che ne fanno gli adulti come in una disputa tra tifoserie. Poi c’è qualcosa che a me non torna. L’articolo 11 della nostra Costituzione recita nel primo comma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Bene. Noi non siamo coinvolti nell’attuale guerra RussiaUcraina, ma non mi sembra che stiamo ripudiando quel conflitto, visto che inviamo armi a uno dei due contendenti. Siamo coinvolti? Voi sembrate non curarvene, non ne parlate mai. E anche questo mi stupisce, quando poi vi accapigliate per motivi molto più stupidi. Il dramma della guerra è invece il tema principale del parrocco di zona, quel don Fabrizio che papà non hai mai sopportato. Ora, io non sono in grado di dire cosa si dovrebbe fare, ma mi rendo conto della contraddizione. Vi metto la questione sul piatto, perché sembra che voi non vogliate guardare. Dal basso dei miei anni, posso solo mettere in risalto ciò che vedo. Non sono ancora in grado di trovare soluzioni, ma di porvi domande precise e puntuali sì. Quelle a cui voi non rispondete forse perché siete stanchi o non vi sono mai interessate. Avete lasciato correre. Non ve ne siete mai occupati. Avete solcato la corrente del fiume dal verso più comodo. Vi siete lasciati trasportare. Poi vi lamentate, ma questo forse è un vizio che emerge a una certa età. Ecco, io no. Noi no. Questa sarà la differenza tra la mia e la vostra generazione. Entreremo nel merito delle cose. Ci sbatteremo la faccia. Forse ci faremo male, ma non ci lasceremo trasportare né dalle mode, né dalle abitudini, né da quello che chiamate “contesto sociale”. A voi della pace non interessa nulla. Volete semplicemente “stare in pace”, ossia restare ai margini, seduti sui vostri comodi divani, dibattendo del vostro collega di lavoro che ha avuto una promozione, mentre siete sempre fermi, anche se vi fate un “mazzo”, come dite. Oppure discutete, perché i pettegolezzi non li fate, sull’amica della mamma che ha deciso di cambiare vita a cinquant’anni. E a voi sembra una demoniaca serpe, mangiatrice di uomini, senza responsabilità.

Per carità commentate anche del vicino che si è comprato un’auto storica, dell’estetista, del fatto che l’Ikea non è più conveniente come una volta, del meteo, del fine settimana che volete passare senza vedere nessuno, della cucina da cambiare, della lavatrice, della bolletta del gas, del caro benzina, di quegli stronzi dell’assicurazione, della gelateria che ha cambiato proprietari. Avete una serie interminabili di argomenti su cui discutere. Sul nulla. Perché sulla guerra tra Israele e Palestina non proferite parola. Io non riesco a capire! Come è possibile non dire nulla su quello che sta accadendo! Dovrebbe essere l’unico tema di interesse. Stanno sterminando un popolo, uccidendo civili, bambini, madri e vecchi. Da mesi e mesi. Senza soluzione di discontinuità. Io non voglio insegnare nulla a nessuno ma le domande mi sorgono. La reazione del governo israeliano a fronte di quella che è stata l’aggressione di Hamas il 7 ottobre 2023, non è andata oltre ogni limite? Esiste un principio di proporzionalità? Oppure è giusto sradicare qualsiasi forma di vita che persiste su quel territorio? È lecito lasciare morire di fame i civili, distruggere ogni edificio, eliminare fisicamente sino all’ultimo superstite? No. È barbarie allo stato puro. E nessuno mi può accusare di essere una sostenitrice di Hamas se dico che la reazione è stato fuori misura, disumana, ingiusta! E se critico il governo di Israele non sono antisemita, non odio gli ebrei, non ne conosco nemmeno uno. Penso solo che accettare inermi la soluzione “totale” tesa a massacrare un intero popolo è da considerarsi disumano. Non possiamo confondere la Palestina con Hamas. Qui sta il punto di equilibrio.

E quando finirà questa atrocità, cosa rimarrà? Come potremo pensare che un superstite, che ha perso l’intera famiglia, gli amici, la casa, non potrà provare odio per quel Paese che ne è stato il carnefice? Come non potrà provare istintivamente vicinanza per qualsiasi gruppo terroristico che vorrà ripagare per l’ingiustizia ricevuta? Non ci può essere una prospettiva d’uscita dalla spirale dell’odio se non si comincia a riconoscere l’altro, affermando il diritto a esistere e a vivere in pace. Ma di tutto questo a voi, sembra non interessare. Perché? Forse avete paura di litigare troppo con qualcuno? Ma cosa sta succedendo? Solo l’altro ieri mi raccontavate che voi due vi siete messi insieme durante un grande corteo per la pace e ancora adesso conservate come un oggetto sacro la bandiera arcobaleno nel cassetto dei calzini. Per esempio, non vi siete mai chiesti come mai non ci sono immagini esplicite di morti e cadaveri tra le macerie di Gaza? Forse vi serve guardare una foto per aprire gli occhi. Ma forse ancora, voi davvero volete semplicemente essere lasciati in pace. Vivere la vostra vita, fingendo che nulla vi possa toccare, che la vostra casa è al sicuro, che la vostra auto è in garage, che vostra figlia non morirà accidentalmente per un effetto collaterale. Ebbene io non posso essere come voi, come l’Europa, come i nostri politici che parlano di tutto, si accapigliano sul redditometro, ma non sono in grado di esprimere parole decise contro quello che sta accadendo. È possibile che debba ascoltare il Papa, o Santoro, per sentire l’indignazione, il dolore, lo squarcio nel cuore, per tutti questi morti?

No, io non sarò come voi. Noi non saremo come voi. Non saremo le ribelli del femminismo anni settanta. Noi siamo un mondo nuovo. Saremo proprio qualcosa di sconosciuto e lo saremo in maniera dirompente perché siamo figli di un secolo che farà da spartiacque, che stravolgerà il modo di lavorare, agire, pensare. Noi siamo l’insurrezione naturale perché la nostra natura poggia le radici su terre sconosciute, ancora tutte da scoprire. Terre e mondi di cui voi siete gli antenati, in cui trascorrete ancora parte della vostra vita ma da ospiti, noi del nuovo mondo vi sembreremo degli alieni. E questo è un bel paradosso, siamo vostri figli, figli di questa epoca storica, ma stranieri, extraterrestri.

 

***

I (vostri) miti

“Ma che musica ascolti? Che cantanti sono questi che suonano tutti nella stessa maniera, con lo stesso ritmo, le stesse melodie, addirittura le medesime parole? Questi durano un mese e il prossimo non esistono più. Ma inizia ad ascoltare i miti della musica: non dico Bruce Springsteen, Pink Floyd, Bob Dylan, ma almeno quelli della mia generazione: Clash, Nirvana, CCCP! Suvvia, non esistono paragoni con quella roba che ascolti tu.” Ecco i miti. Vedete, questi sono i vostri miti. Mi citate gente che ha più di settant’anni, che voi seguite da quando ne avevate 20. E io vi capisco. Sono per voi i miti della vostra giovinezza e della vostra età adulta. Non li avete mai mollati. Parlano di voi. E voi parlate di loro. Ma sono i vostri. Io non ve li contesto, hanno accompagnato le vostre vite, le hanno plasmate, sono la memoria di voi stessi che prosegue nel tempo. Sono miti nel campo della musica probabilmente irraggiungibili. Ma capite che è proprio questo il punto. Voi avevate e avete bisogno di miti. Vi servono per spiegare a voi stessi l’origine, la vostra stessa genesi. Il mito in senso generale è parte costitutiva della nostra essenza umana. Ma vi ripeto qui risiede una parte della nostra inconciliabilità. Arriveremo anche noi ad ascoltare i vostri cantanti e non è escluso che ci piaceranno, ma non saranno mai i nostri miti, rimarranno i vostri. Oggi, la medesima parola ha perso la potenza con cui voi lo evocate, sono diventati oggetto di consumo e non più i dei dell’Olimpo. Voi adulti avete sostituito i classici miti come Platone, Hegel, Dostoevskij, Molière, Sartre, Marx, Calvino, Beckett e molti altri ancora, con i cantanti della vostra generazione che hanno riempito le vostre vite, l’amore, l’amicizia, le notti folli che avrete sicuramente fatto. Oggi, se ci sentite parlare di miti, noi lo facciamo con una certa leggerezza, non vorrei dirvi addirittura ironia. Ma sappiamo bene che il gruppo che ascoltiamo oggi vale solo per quest’oggi. Lo ascoltiamo centinaia di volte, poi lo molliamo e passiamo ad altro.

Noi cerchiamo altri ragazzi che come noi si sono persi dietro una frase che condividiamo con le cuffiette. Non sono miti? Va bene. Non hanno le caratteristiche dei vostri, ma siamo in un altro tempo. Voi ascoltavate i gruppi o i cantanti come tifosi, odiando chi si appassionava per altra musica. Noi siamo una generazione liquida, lo posso dire a ripetizione tanto non capite. La musica è importante anche per noi, ti fa sconvolgere lo stomaco, arriva dritta all’anima. Li chiamiamo anche noi “miti” ma con molta meno enfasi di voi. Però usiamo lo stesso termine, perché al suo interno sopravvive il mistero, qualcosa impossibile da afferrare per intero. In questo segreto vive la speranza di un mito più grande, di qualcuno che riconosca per intero le nostre sensazioni nel momento stesso che le proviamo. A dire il vero, possiamo considerare un “mito” un nostro compagno di classe oggi, e descriverlo e persino denigrarlo come uno stupido domani. I nostri aggettivi sono liquidi. E la parola mito ha perso la sua forza propulsiva, il suo significato etimologico, ossia una narrazione epica o addirittura sacrale. Noi siamo figli dell’epoca del tweet. In tre righe, più minimalisti dello scrittore Raymond Carver, indichiamo ciò che pensiamo sul mondo. Oggi i miti si sono volgarizzati ma, attenzione, non pensiate che i vostri erano sacri. I nostri sono diventati estemporanei ma non hanno perso quell’alone di mistero che avevano i vostri. Ma voi avete sempre avuto disperatamente bisogno di miti e di eroi. Siete una generazione che ha tentato di decontestualizzare il mito per poi portarlo su un palco con 70mila persone. Ecco, non ridicolizzate i nostri perché ci fareste subire la medesima sensazione che la generazione precedente alla vostra ha fatto con voi. Sarebbe una ritorsione, una meschinità. Una sorta di mito per vendetta. Coccolateveli, teneteli buoni con voi. Se volete siamo disposti anche ad ascoltarli ma non riusciremo ad avere i vostri occhi luccicanti, a capire i vostri discorsi iperbolici. Noi non pretendiamo da voi lo stesso trattamento. Sappiamo quanto siano transitori i nostri riferimenti.

Quello che non capite è che non siamo alla ricerca del mito, non ci sentiamo menomati per questo. Andiamo ai concerti, ci divertiamo, ascoltiamo le stesse tre canzoni per tre settimane e poi cambiamo. Fatto e disfatto il mito. Vedete c’è una leggerezza che portiamo in dote che voi non potete capire. Eppure, siamo in un periodo complesso, quello dell’adolescenza, ma non potete guardarci come vi osservavate voi allo specchio. Ci guardate ma continuate a guardare voi stessi. Siete solo dei narcisisti. Ecco perché non possiamo capirci. E guardate che il bene e l’affetto non c’entrano nulla. Non sentitevi colpevoli e non generate in noi sensi di colpa che tra l’altro facciamo fatica anche a percepire. Vi dovete solo arrendere al fatto che questa generazione con cui avete a che fare, perché ci avete tra i piedi, sarà lo spartiacque. Voi i luddisti a difendere i vecchi telai, noi i promotori delle nuove trasformazioni. Noi con lo smartphone, e voi… con lo smartphone che userete sempre più maldestramente.

 

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4 Commenti

  1. Ho letto e riletto questo testo. Ho cercato di capire, essendo io – per nascita – tra i potenziali destinatari del messaggio. E pur comprendendo ortiche e furore, mi sento di ribattere in poche righe.
    Mano a mano che invecchio cresce in me il timore che la maggiore responsabilità della mia generazione (la X, credo) sia stata quella di non aver edificato per tempo argini e presidiato i sacri cancelli, di aver consentito la digitalizzazione spinta dell’esistenza umana, di aver abboccato in massa agli ami virtuali, in nome del facile, gratis, veloce.
    Amelia si rivolge alla platea degli adulti. Domanda: esistono ancora “gli adulti”? Perché io vedo tanti vecchi o quasi-vecchi che giocano a fare i giovani, che si vestono come i propri figli, che adottano il claim anti-age declinandolo a ogni singolo ambito del proprio stare al mondo. Spariscono accettazione e umiltà, capacità di rinuncia, predisposizione all’ascolto, interesse sincero verso l’Altro. L’Altro si usa. L’utilitarismo e il narcisismo vanno a braccetto. I genitori vestiti da giovinastri, stravaccati in salotto, delegano ad Alexa l’arduo compito di dare risposte ai figli smarriti.
    Dunque no, non credo che si possa dire che siamo stati luddisti in difesa dei vecchi telai: siamo stati noi per primi a sbarazzarcene, buttandoli giù da un dirupo, ebbri delle nostre protesi perennemente connesse, vergognandoci anche solo di pensare che con quei vecchi telai si potesse ancora combinare qualcosa di buono.
    Cara ragazza, il futuro non può arrivare senza traumi e lacerazioni, senza la capacità di rinunciare agli agi e ai privilegi. Tu sei pronta? Al freddo e alla fame? Il futuro chiede sacrifici, e parole nuove, e le inedite alleanze di cui parlava Alain Badiou.
    La nuova trasformazione necessita, soprattutto, di menti e mani libere.

    • Gentile Paola, l’iniziazione al mondo non arriva solo attraverso il freddo e o la fame, o quello che Helen Hester chiama “realismo domestico”. C’è sempre stato un altrove dalla catastrofe. C’è ancora, e Amelia C sembra saperlo.

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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