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Nelle pieghe degli anni Ottanta

Sage Sohier, photo from her Americans Seen series. © Sage Sohier

 

di Pasquale Palmieri

Gli anni Ottanta sono ancora fra noi. Li ritroviamo nei consumi e nelle abitudini quotidiane ammantate di “retromania” (stando alla fortunata formula usata dallo scrittore e giornalista inglese Simon Reynolds), fra gelati e bibite, abiti e calzature, canzoni e cartoni animati, videogiochi e film, libri e programmi televisivi. Sono ormai proiettati in una dimensione mitica, che conserva una solidità intatta ai nostri sguardi, forse perché si lega a un sistema di valori che risulta ancora egemone nel nostro presente. In virtù di una poderosa idealizzazione, quel preciso segmento del nostro passato conserva una sua centralità nel nostro immaginario, legandosi in maniera pressoché indissolubile all’idea di serenità e leggerezza, o alle promesse di successo e ricchezza.

Ciò nonostante, l’interesse per il decennio va ben oltre la semplice volontà di evasione e include anche il bisogno di analizzare un tornante storico complesso, segnato da profondi cambiamenti economici, sociali, politici e culturali. È proprio questo l’obiettivo del libro collettaneo Nel sottosopra degli anni Ottanta. Le contraddizioni di un decennio, curato dalla redazione di Machina per DeriveApprodi (Bologna, 2024), che prova a esplorare le ambivalenze e le contraddizioni di un’epoca “smarrita”. Le autrici e gli autori coinvolti nell’impresa partono infatti dal presupposto che quella stessa epoca non sia riducibile alle sole tendenze verso l’ottimismo e l’edonismo, ma sia allo stesso tempo attraversata anche da pesanti conflitti che ridefiniscono il rapporto fra individui e collettività.

Il contributo di Jadel Andreetto – Suoni, rumori, musiche e devastazioni di un decennio a rotta di collo – prova a entrare nel panorama musicale degli anni Ottanta, senza fermare lo sguardo sui prodotti premiati dal grande mercato e orientati al conformismo. A emergere è quindi un sottosuolo molto ricco, caratterizzato da una “creatività esasperata”, spinta da una forte propensione allo sperimentalismo e alla contaminazione, tale da far pensare a un’ultima accelerazione del rock nel segno dell’anarchia espressiva, senza precise direzioni, prima delle codificazioni operate dal grunge e dal brit pop. Rudi Ghedini offre invece una mappatura della produzione cinematografica – Gli anni Ottanta in 99 film – che strizza l’occhio alla forma enciclopedica, rivolgendo la sua attenzione tanto alla fortuna del remake e del citazionismo, quanto all’influenza esercitata sui lungometraggi dalla grammatica del videoclip. I progressi tecnologici e l’accresciuto uso di effetti speciali non sono tuttavia sufficienti a ridimensionare l’importanza del piano contenutistico, volto a privilegiare il “grande sentimento di nostalgia” che si configura come tratto distintivo di un’intera epoca. Partendo da un tale assunto, la pellicola degna di maggiori attenzioni non può che essere Il Grande freddo di Lawrence Kasdan (1983): un gruppo di ex sessantottini si ritrova al funerale di un amico, morto suicida, cogliendo l’occasione per ripensare alla vita universitaria, alla gioventù e ai sogni infranti.

Manuela Gandini – Il silenzio di Cage. Vite anni Ottanta – orienta la sua indagine verso fenomeni mediatici non facilmente catalogabili, al confine fra teatro, commercio e costume. I veri tratti distintivi degli anni Ottanta italiani, secondo l’autrice, si scorgono nelle vicende di Wanna Marchi e delle sue creme miracolose, nella voce asmatica di Roberto da Crema detto “il Baffo”, in Guido Angeli del mobilificio Aiazzone e nel suo “Provare per credere”, in Francesco Boni di Telemarket che propone al pubblico preziosi dipinti da comprare. Ogni legittima ambizione si costruisce nel grande calderone della pubblicità e ha il suo approdo nel denaro. Persino le distanze fra attività finanziarie e pratiche artistiche finiscono per essere cancellate: vale la pena di coltivare le passioni solo se si ha la possibilità di schiacciare la concorrenza e di primeggiare.

Il saggio di Giorgio Mascitelli – I due inizi del postmoderno: gli anni Ottanta e Novanta – entra nella crisi e nella ristrutturazione del sistema letterario del Novecento, chiarendo come il postmoderno non sia una corrente culturale, bensì una “condizione storica della cultura” in una precisa fase evolutiva del capitalismo. Gli esempi più eloquenti a sostegno di questo argomento arrivano dalle pratiche camp, che si configurano come usi consapevoli e sofisticati del prodotto kitsch da parte di soggetti colti (o che almeno si autodefiniscono tali), disposti a instaurare “un rapporto estetico” con la merce, individuando anche nel cattivo gusto qualcosa di desiderabile. Il tutto rientra, secondo l’autore, in un “nichilismo light” che palesa una “divertita accettazione” del mondo così com’è, utile a mettere da parte qualsiasi velleità di cambiamento. Altrettanto decisive sono le osservazioni proposte da Federico Battistutta – Linee di fuga. Gli anni Ottanta, il riflusso e i movimenti – in un contributo di notevole spessore teorico, arricchito da un esplicito impeto militante, volto a esplorare le nuove possibili pratiche di conflitto, alla luce dei lasciti dell’era dell’edonismo e della perestrojka. Fra i percorsi possibili, si intravede anche l’importanza della riscoperta della spiritualità, che può andare ben oltre i confini della sfera personale, sfociando in una ristrutturazione dei desideri e delle relazioni, capace di metterci “in condizione di re-immaginare e reincantare il mondo”.

Roberto Ciccarelli – 1985: Felix Guattari, nuovi spazi di libertà negli anni di inverno – si sofferma sul ruolo cruciale della soggettività nei periodi di “letargo politico”, evidenziando gli esiti comuni a tutte le lotte segmentate, concentrate su obiettivi specifici (come quelle ecologiche o quelle per la legalità, ad esempio) e ormai rinunciatarie di fronte all’ipotesi di una trasformazione complessiva del sistema socio-economico. I gruppi di attivisti che rifiutano qualsiasi apparato organizzativo o istituzionale stimolano il proliferare di opinioni caotiche, amplificando il settarismo, le divisioni, e “il narcisismo delle piccole differenze”. Su linee argomentative simili si muove il dialogo fra Adelino Zanini e Mario Tronti (La politica al tramonto): i due filosofi provano a individuare le connessioni fra passato e presente, interrogandosi sulle occasioni perdute alla fine del secolo scorso, e su quelle ancora disponibili al giorno d’oggi, da sfruttare al meglio per affermare istanze di cambiamento.

Chiara Martucci e Bruna Mura si occupano invece di Femminismi fra “differenza” e istituzioni, provando a comprendere quale energia conflittuale si possa ancora mettere in gioco dopo un lungo periodo di conquiste civili e riconoscimenti normativi, che possono apparire rassicuranti, ma restano in realtà vincolati a un regime giuridico incerto. Esiste infatti un rischio concreto: veder ridimensionata l’eredità dei movimenti legati alla tradizione marxista, che possedevano una grande forza rivendicativa, ma ambivano anche a cambiare in profondità i rapporti sociali. Lo stesso uso semplificato di alcuni termini, primo fra tutti patriarcato, rischia di diventare funzionale alle esigenze del sistema politico-mediatico, puntando al puro risarcimento simbolico e depotenziando la diffusione nel discorso pubblico di istanze di lotta.

Vanno a completare un quadro decisamente ricco il contributo di Ubaldo Fadini dedicato ai mutamenti del soggetto nel contesto del capitalismo postfordista (Anni a perdere? Uno sguardo retrospettivo, ma non troppo), quello di Rita di Leo sul definitivo declino sovietico (Che cosa è successo all’esperimento sovietico?) e quello di Romeo Orlandi sulle trasformazioni del gigantesco apparato cinese alla fine del Novecento (La Cina della globalizzazione). Massimo Ilardi, Paolo Virno, Marco Mazzeo e Adriano Bertolini (È tempo di rivolte e il territorio torna a essere bottino di guerra; Il decennio della controrivoluzione) tornano invece a riflettere sul libro che, a tutti gli effetti, ha aperto la strada allo studio degli anni Ottanta, pubblicato per la prima volta nel 1990 con un inaspettato successo, e di recente riproposto proprio dalla casa editrice DeriveApprodi (2023): I sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo, paura, cinismo nell’età del disincanto. Persone di diversa formazione culturale e orientate verso molteplici interessi – da Massimo De Carolis a Rossana Rossanda, fino a Domenico Starnone – avevano provato a mettere insieme le loro intelligenze per individuare le “tonalità emotive” di un’epoca attraversata da trasformazioni traumatiche, segnata da uno “sradicamento senza precedenti”. E si erano chieste se la capacità di muoversi nei labirinti del possibile potesse stimolare non solo ansie di arrivismo e chiusure solipsistiche, ma anche nuove forme di dissenso di fronte agli equilibri vigenti.

Nel sottosopra degli anni Ottanta raccoglie, in buona sostanza, gli stimoli teorici più fecondi dei Sentimenti dell’aldiqua, invitandoci a rivolgere lo sguardo verso il futuro. La parte più propositiva di questo nuovo volume collettaneo si ritrova, non a caso, nel saggio conclusivo di Christian Marazzi (La svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti nella politica), che fa i conti con la propensione del nostro sistema economico a produrre forme crescenti di precarizzazione, includendo nel ciclo produttivo anche l’attività comunicativa che accompagna la quotidianità delle nostre esistenze. Produciamo e condividiamo una quantità incommensurabile di dati, portando alle estreme conseguenze processi che prima avvenivano “in maniera molto più informale e grezza”. Si tratta di un lavoro non riconosciuto, gratuito, eppure “del tutto pervasivo”, dal quale non riusciamo a liberarci. Urge dunque “un’iniziativa a livello planetario” per cancellare il “codice a barre” tatuato sul corpo di ciascuno di noi e acquisire nuove consapevolezze. L’obiettivo è più che chiaro: ricomporre i diversi fronti di lotta e riprenderci “il tempo di vita” che ci viene ingiustamente sottratto.

 

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ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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