Gaza: Warfare

Immagine di Carlos Bohorquez da Pixabay

di Flavio Torba

Quiete. Gli entra nelle narici una mistura di svapo e odore di rete metallica e gas di scarico: la città che si amalgama al vizio elettronico e alla visuale di gioco.

Ostile livella con lo sguardo la strada davanti a sé. È sgombra e totalmente visibile. Dal suo punto di osservazione non rileva particolari difficoltà nella geometria. Il terreno di scontro non offrirebbe né vantaggi né svantaggi per nessuna delle due fazioni. Solo buche nell’asfalto, che potrebbero mettere in difficoltà eventuali mezzi d’assalto leggeri.

Un’altra tirata.

La scuola è lugubre, un residuato degli anni Sessanta: un edificio civile riconvertito, rivestito di intonaco grigio scrostato. In alcuni punti si intravedono vertigini di mattoni forati sottostanti, ma è sostanzialmente integro.

Ostile ne scompone la geometria alla luce di varie ipotesi di attacco. 1) artiglieria pesante 2) bombardamento aereo 3) sisma naturale. Il crollo di almeno una facciata è inevitabile. Ostile lo disegna nella mente, riconfigurando la vista di ambienti interni, crateri e corpi, come la frammentazione di un progetto tridimensionale carbonizzato.

Una campanella antiaerea comunica che è ora di entrare a scuola. Ostile tira l’ultima boccata di caramello e mela prima di incamminarsi.

 

Kerem Shalom. La visione della striscia desertica è mediata dal mirino del kalashnikov. Ondeggia al ritmo della corsa del personaggio scelto, un adolescente magro con indosso una tuta in acetato.

Il puntatore inquadra il bulldozer (Caterpillar D-9).

Analisi armamento:

  • 1 AK-47 Kalashnikov 7.62 mm (600 colpi/min)

Arrivato ai piedi del mezzo, la canna del fucile scompare e le mani di Ostile – mani sporche, piene di tagli e croste – lo issano nella cabina di guida. Sbuffo di fatica digitale.

La modalità è impostata su facile, con frecce lampeggianti in sovraimpressione per suggerire i movimenti delle leve. Il bulldozer inizia a muoversi, avvolto nella nuvola nera del tubo di scarico che a tratti nasconde la visibilità della recinzione.

Il rombo sommerge gli Allahu akbar degli altri partecipanti alla missione.

Ostile sorride. È arrivato al bulldozer prima di altri giocatori più blasonati. Aver conquistato il mezzo vale almeno un balzo in classifica. Intorno al Caterpillar si affollano i nick sopra le teste degli altri giocatori. NotSoGalant. NetanBau. Pastore. Qassam87.

“Ti spacco la faccia se non la finisci”.

Un puntatore rosso indica la posizione del kibbutz all’orizzonte. Ostile indirizza la pala del bulldozer in direzione della lavagna interattiva. Il personaggio sobbalza sul sedile mentre tossisce per i gas di scarico, gas di cui Ostile vorrebbe invece riempirsi i polmoni per mandare via l’amaro del Ritalin gusto uva.

 

Territorio neutro. Ostile attraversa la strada e varca l’ingresso. Nel tardo pomeriggio la scuola è un emblema di desolazione caleidoscopica. Corridoi al neon e piastrelle economiche sconnesse. Porte di alluminio leggero sfondate da calci neanche troppo forti.

La missione è come sempre collezionare crediti, arrivare al diploma integri per poi realizzarsi in un lavoro di livello appena accettabile. Che sfami. Che dia un tetto. Che faccia guadagnare abbastanza da permettere upgrade appaganti.

Odore di ammoniaca e iprite dai bagni del pianterreno. È la trincea del corso serale.

C’è solo un bidello attempato, avvolto in lente e precise volute di una sciarpa piena di pallini di lana, intento a guardare sul giornale le facce terrorizzate al fronte.

Ostile lo saluta con un cenno. “Come andiamo?”

“Si combatte”.

Il contrasto tra i radi capelli bianchi e il volto scuro sa di deserto e roccia anche se fuori forse sta iniziando a piovere. Le prime gocce rigano le finestre. Le buche nella strada si riempiranno, rendendo più difficoltose le manovre di ritirata, se necessarie.

La classe d’espiazione è questa, a poche porte di distanza dalla presidenza, ma non è una garanzia di sicurezza. Anche nei territori neutri ci sono azioni di disturbo. Sabotaggi. Sobillatori. Propaganda violenta.

Ostile entra. Non c’è nessun altro. Sceglie un banco in prima fila, di fronte alla cattedra.

 

Spazio di manovra. Si era ripromesso di non voltarsi al rumore di passi ma è come un riflesso condizionato e allora il suo sguardo si incrocia con quello di Pastore prima e dell’Albanese dopo. Il biondo è una figura di contorno, un mero contorno alla potenza di fuoco di Pastore. Le mani grandi sono di Pastore, le nocche dure anche. Il supporto di Albanese è solo una risatina stridula di acufene.

Prendono posto due file più indietro.

Ostile aspetta che qualcun altro si aggiunga alla lezione, ma rimangono soli. Il corso ha subito molte perdite nell’ultimo periodo.

Forse non ci troviamo più in zona neutra ma all’interfaccia, pensa Ostile. Questo adesso è territorio di Pastore.

Si scambiano dichiarazioni di guerra con gli occhi. Il viso di Pastore è un campo minato dall’acne. La vita all’aria aperta non deve fargli un granché bene. Si tormenta un bubbone, mentre sibila un flusso ininterrotto su chi ucciderà chi.

Ostile ritorna alla sua posizione composta, tira fuori quaderno e penna dallo zaino. Dover dare le spalle al nemico è uno degli inconvenienti della posizione, ma è sempre meglio che trovarsi in fondo, nel suo spazio di manovra.

Pastore dovrebbe alzarsi e percorrere qualche metro per poter interagire fisicamente. Nel momento in cui Ostile dovesse sentire la sedia di Pastore spostarsi, sarebbe già pronto a scattare.

L’Albanese continua a ridere, mentre Ostile gratta con l’unghia il bordo di truciolato del banco. Non sente la minuscola scheggia che vi si infila sotto. Non sente la goccia di sangue che si forma sul polpastrello.

Il precipitare della situazione, l’avvicinarsi dell’orologio alla mezzanotte, è interrotto dall’ingresso della professoressa. Un elemento terzo di mediazione che opera solo di facciata per nascondere la sua totale e lontana inutilità.

Ma, per il momento, basta a fermare le manovre di Pastore.

 

Storia. La rete metallica, il filo spinato in quiete, diventano sempre più grandi finché il gas di scarico non riempie la visuale di gioco.

Tutte le recensioni online concordano su come la storia sia una riserva infinita di materiale videoludico. Nel caso particolare, la storia passa come un pezzo di manzo nel tritacarne di Dethesta per uscirne macinata in tante missioni geometriche caratterizzate da un obiettivo chiaro.

Sulla copertina del cofanetto deluxe di Gaza: Warfare c’è scritto:

GameZone (★★★★☆) – “Dethesta È la Storia”.

La recinzione cade, segnando un aumento vertiginoso dei punti di Ostile e sbloccando la nuova fase della missione, molto più impegnativa e interessante.

Da dietro una macchia di palme spunta in controluce un Merkava MK-4.

Il cannone spara i primi colpi e le vibrazioni fanno impazzire il controller tra le mani sudate di Ostile. Accanto al bulldozer si configurano crateri e corpi smembrati. Frammentazione di giocatori meno fortunati. Il torso carbonizzato di Pastore giace riverso tra le maglie della recinzione distrutta.

Il puntatore identifica il carro armato dell’IDF come nuovo obiettivo.

 

Attacco imminente. Il pennarello scorre sullo schermo fino a formare polinomi e griglie di scomposizione insensate, illeggibili, simili a slogan di Hezbollah sui muri perforati dall’artiglieria.

Ostile tamburella sul banco. Se ne accorge e smette. Tira l’elastico che ha al polso e lo rilascia per punirsi.

I segni ieratici del metodo di Ruffini si mescolano a bollettini di guerra, statistiche di gioco. Si fondono in analisi dettagliate degli eventi di partita.

Pollice e indice riprendono il ritmo. Pollice per la cassa, indice per il rullante.

“Finiscila, ritardato” grugnisce Pastore. Copre la minaccia con un colpo di tosse, ma la professoressa neanche si volta.

Ostile si guarda le dita. Tira l’elastico per la punizione. “Ho un problema clinico” sussurra.

Quando il ritmo riprende, si rende conto di riproporre ossessivamente la musica di inizio di Gaza: Warfare. Una sequenza drum’n bass misto a un canto lamentoso di muezzin.

“Ti spacco la faccia se non la finisci”.

“È un disturbo del neurosviluppo. Comporta disattenzione, tic nervosi, impulsività…”

“Deficiente”.

Sulla lavagna interattiva non c’è la mappa concettuale sulla scomposizione di polinomi di grado n-esimo ma la schermata di login di Gaza: Warfare.

Probabilità di attacco imminente al 78%.

Una bottiglia di plastica colpisce la schiena di Ostile. Nessun danno, solo sorpresa. Sotto la sedia, inizia ad allargarsi una pozza d’acqua.

Albanese ride nell’incavo del braccio.

 

Inferno. Un McDonnell Douglas F-15 Eagle vola sul centro di Gaza City, inquadrata e ingrandita sul monitor di Ostile in un pomeriggio di condomini color sabbia e antenne televisive.

Analisi armamento:

  • 1 M61 Vulcan da 20 mm (6000 colpi/Min)
  • 4 AIM-7 Sparrow
  • 4 AIM-9 Sidewinder
  • 4 AIM-120 AMRAAM

OPERATORE: “Ostile, muoviti al di sopra della strada principale verso la città. Conferma visuale della torre”.

Ostile porta il cursore sul pulsante di conferma. Guida il controller con movimenti lenti e precisi per stabilizzare il volo. Si abbassa fino a sfiorare i tetti. Facce di lana terrorizzate alle finestre.

NAVIGATORE: “Conferma. Vediamo l’obiettivo”.

OPERATORE: “Siete troppo bassi. Questo non è un gioco”.

NAVIGATORE: “Roger”.

Il cursore si posiziona in corrispondenza della base della Gaza Tower. Ostile si mantiene a un’altezza che corrisponde al livello dell’ultimo piano. Il gioco ripropone sempre lo stesso volto in una delle finestre appena sotto il cornicione. La faccia dell’Albanese urlante, piazzato nella striscia di Gaza come espiazione dei peccati e faccia a faccia con un F-15, in un inferno di Modafinil dal violento gusto zolfo.

 

Contatto. Il bidello desertico spunta da dietro lo stipite della porta. La professoressa è desiderata in segreteria. Il ruolo di osservatore terzo rimane vacante mentre la donna esce a passi veloci dall’aula.

La sedia di Pastore si sposta di nuovo. Iniziano le manovre. Repentine, non osservabili dalla posizione attuale. La ritirata è l’unica opzione. Il logout.

Ma il pugno ferma il gioco. Le mani grandi, le nocche dure. Tramortiscono come una granata, seguite da momenti di acufene che riempiono i rifugi, i tunnel, sventrano le barricate del timpano.

“Cos’è successo?” sente dire. Forse è di nuovo la professoressa, ma è difficile dirlo con questo fischio.

“È scivolato sull’acqua e ha battuto contro il banco”.

La realtà sfarfalla: Gaza, il Pastore e l’Albanese, sono reali solo fino all’interfaccia. Il software – no, una periferica minata – della vita di Ostile. Il ristretto lembo di pelle tra il suo zigomo e le nocche di Pastore.

Spengo quando voglio, pensa prima di svenire.

 

Cani affamati. I magazine di settore affermano che rispetto al flusso ininterrotto di notizie di qualche anno fa da parte dei mass media tradizionali e di internet, il grande passo in avanti di Dethesta è stato dare la possibilità di poter cambiare gli eventi con una giusta combinazione di riflessi ed equipaggiamento premium. Un’ucronia fornita di almeno cinque espansioni.

UltraPlayer (★★★★★) – “Potere al giocatore!”

Un pop up in alto a destra. Diretta di Al Jazeera: il Pastore commenta l’avvicinarsi di un caccia della IAF alla Gaza Tower. Le immagini scorrono al rallentatore mentre non sente la goccia di sangue che si forma sul mondo.

OPERATORE: “Siete autorizzati a colpire”.

Immagine esterna del caccia come un giudice celeste sopra la Striscia. Lascia andare i missili. Cani affamati tenuti troppo a lungo alla catena.

Un lampo e tanto fumo nero. Riprende la scalata alla classifica.

 

Slogan. “Perché non mi dici chi è stato?”

La voce della professoressa viene da lontano, anche se le sue labbra si muovono a poche decine di centimetri da lui. L’unica risposta possibile è la disconnessione.

Si trovano in corridoio, all’incrocio fra i fasci di rette generati dai neon e dall’illuminazione stradale rifratta da vetri e gocce di pioggia.

La professoressa lo spintona, lo abbraccia, lo minaccia col dito. Ha l’aria affranta della madre che va incontro al figlio crocifisso a un muro della kasbah. Ha bisogno di tingersi i capelli. Inizia a vedersi la ricrescita.

“Hai il diritto di…” inizia, ma la disconnessione di Ostile è sia fisica che emozionale.

Da dentro la busta di plastica racimolata in bidelleria, il ghiaccio chimico gli rende le dita insensibili.

La frase si perde e rimane come uno slogan cancellato e poi riscritto, solo per essere sommerso da altre informazioni.

 

Respawn. Lo stomaco rumoreggia nonostante i due biscotti ingoiati in fretta durante la visita in cucina. Era necessario trovare qualcos’altro nel congelatore da applicare alla guancia e ridurre il gonfiore. Un blocco di carne macinata avvolto nel cellophane e poi in uno straccio è stata una soluzione più che rapida.

Ostile ingolla un po’ di Red bull, giusto per coprire l’atomoxetina, mentre il PC si avvia. Nella stanza, suoni di bevande gassate dentro lattine di alluminio, ventole di raffreddamento e respiri affannati.

Luce viola da un neon posizionato dietro il monitor. A Ostile piace. Gli dà un’aria sinistra quando si inquadra nelle dirette su Twitch.

Il logo della Dethesta pulsa sullo sfondo nero, sincronizzandosi al sangue pestato dello zigomo. Ostile si vede riflesso come in uno specchio. Dall’altra parte dello schermo, l’Ostile di domani pomeriggio sta già caricando un altro pomeriggio di manovre elusive al corso serale.

Spengo quando voglio.

***

Post…
Se la guerra diventa un gioco

A causa della sua ambientazione incandescente (seppure virtuale) e per rispetto verso la tragedia e la sofferenza delle persone che muoiono o sopravvivono in Medio Oriente, ho riflettuto molto prima di pubblicare questo racconto. Alla fine ho deciso di pubblicarlo non solo perché mi piace com’è scritto, ma soprattutto perché dice – mi sembra – qualcosa di vero.

A più di un anno dall’acuirsi dell’annientamento reciproco, per quanto sempre più asimmetrico e ìmpari, in Medio Oriente, l’apparente assenza di un orizzonte di speranza e di pace per israeliani e palestinesi riduce molti di noi alla desolazione e al silenzio. Le parole hanno senso, e possono essere spese, se abitano un progetto di vita e di futuro, se il presente si può riparare. Ma il presente e il futuro sembrano oggi irreparabili.

Se non c’è speranza, però, può esplodere, in chi non è direttamente coinvolto in quella guerra perpetua, l’indifferenza, e poi la fruizione voyeuristica, e un apatico intrattenersi. Al di fuori del Medio Oriente, solo una minoranza dell’umanità è davvero interessata al destino di quelle persone e di quei popoli. La stragrande maggioranza dell’umanità se ne frega, oppure guarda e si intrattiene.

Protagonista di questo racconto è proprio l’indifferenza ludica. Siamo in pieno clima wargame adolescenziale. La Storia (anche quella contemporanea, anche la Storia presente) diventa una storia da giocare, una guerra da giocare (anche se questo gioco porta a rovinarsi il corpo e il cervello) prendendo una qualsiasi delle parti, prima l’una poi l’altra, non importa, perché il player è amorale e il suo clima è nichilistico.

È un esito osceno – soprattutto se consideriamo la sofferenza attuale, le vite umane massacrate da Hamas il 7 ottobre 2023 e in seguito le decine di migliaia di morti palestinesi sotto le bombe israeliane a Gaza (e poi in Cisgiordania e in Libano). La guerra contro tutti  di Benjamin Netanyahu, una strage interminabile –. Ma l’umanità è anche questo: sbieca, oscena, infantile, indifferente. E rischia di esserlo ancora di più quando lo stato delle cose le appare privo di soluzione. Un racconto che ce lo mostra sta facendo il proprio lavoro. (d.o.)

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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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