“Si”#2 Lettura a più voci

[Sì (seguito da Altri segni, Tertium quid, Ultimo esempio) è un libro di Alessandro Broggi, uscito per Tic edizioni, nel giugno del 2024. Come Noi, uscito per lo stesso editore nel 2021, si presenta come un libro in prosa, abbastanza breve, difficilmente classificabile. Ho chiesto ad amici e amiche autrici, di scrivere qualcosa su questo oggetto letterario non ben identificato, senza per forza la pretesa di prenderne tutte le giuste distanze critiche. Di un libro del genere, mi sembra importante già darne conto attraverso una pluralità di “esperienze” di lettura. Abbiamo cominciato con le voci di Andrea Accardi e Leonardo Canella, e continuiamo oggi con Renata Morresi e la sua apertura di campo anche sul recentissimo titolo Idillio. a. i.]

Di Renata Morresi

Lunedì scorso partecipo a un seminario sulla narrazione illustrata. Sarà una cosa breve, un paio d’ore, e senza teoria. Sarà illuminante più della teoria, dovrò riconoscere. Sono scettica all’inizio. Siediti con la schiena dritta, mi fa la voce dellə graphic novelist che è lì a guidarci. È canadese, l’inglese arriva morbido, affabile. Parti dal centro del foglio, disegna una spirale che cresce lentamente. Più lenta, più aderente che puoi. Mentre sto disegnando, mi rilasso e vado col pensiero al pezzo che sto scrivendo su Alessandro Broggi. Quando si è dominati da un’idea, quell’idea sembra abitare tutto, tornare rilevante in ogni circostanza. E ogni minimo fatto offre una nuova sfumatura all’idea, la riscalda. In questo momento in cui disegno la spirale torno all’idea che , come il precedente Noi, come il recentissimo Idillio, – la trilogia costruttiva di Broggi – siano animati da un andamento circolare che in modi diversi li distingue e modella.

Non importa finire la spirale, quel che importa è disegnare una linea molto intima a se stessa, e procedere il più lenta che posso. Idillio è il libro di Broggi appena uscito nella mia collana per Arcipelago Itaca. Sono molto orgogliosa, naturalmente, ché da tanto vagheggiavo di pubblicare un testo di Alessandro, e appena avevo visto Idillio, mi ero entusiasmata. Dico ‘visto’ perché Idillio è in effetti sì un lavoro da leggere – e da leggere in modo accurato, al modo dei detective – ma pure un’opera installativa. Forse dovrei chiamarlo folioscopio, anche se in realtà non ha immagini. Forse è un testo processuale, ovvero si realizza in un processo di affioramento dal bianco, “in questa pagina in attesa di essere scritta”. Di certo esiste nel dispiegarsi, nel farsi della sua relazione speciale tra spazio e testo e chi la esplora. Il testo pre-esiste la sua messa in forma sulla carta? Il testo esisterà solo alla fine, nell’essersi offerto e di nuovo ritratto? Invita chi legge a tornare indietro, a rimetterne insieme la sintassi, o a seguire rapidi la sua figura “scalza”, “tra gli orti”, o a sostare su ogni ‘verso’ – non-verso, clausola, sintagma – come sospeso dal resto? “Chissà…”

Niente di questo che vado pensando è veramente esatto, come la mia spirale un po’ sbilenca, scusate. La mia guida dice che non importa, quello che importa è la linea. Non il risultato della linea ma l’esserne parte, della linea che dal centro della terra sale dal suolo attraversa il pavimento i miei piedi e le gambe e il braccio destro e la mano e la penna e l’inchiostro che tocca la carta e la traccia nella spirale che voglio. Insomma, non è tanto un esercizio sulla tecnica, ma una pratica che parte dal calibrare insieme corpo, desiderio e mente del mondo. Questa centratura immaginaria è molto importante in Broggi, che spesso dà le coordinate in cui potersi intuire in connessione, senza particolare interesse per le rispettive psicologie, nei propri limiti materiali e fisiologici, ma finalmente liberi dal fardello della personalità: “la superficie della Terra è uno spazio chiuso – non esistono due punti distanti tra loro più di ventiduemila chilometri – e non ha bordi, non c’è un luogo che rappresenti il confine del mondo: ovunque sei, sei al centro…” (58). Lì, dovunque sia, “qui, ora” (53), su di un piano che non è né astratto, né sensibile, né simbolico, “con piccoli orizzonti o immensi orizzonti, o niente orizzonti del tutto” (53), in un luogo discorsivo-spirituale che si presta al gioco dell’immaginazione senza doversi inventare una vicenda eroica, sul quadro di fenomeni in cui avveniamo all’incrocio di relazioni, non come prodotti del sè. In quanto tale è il luogo di una delicatissima affermazione politica. E “col piglio della parità con il mondo”, come il suo metodo di campionamento e prelievo da varie fonti, molte delle quali in traduzione, che compone una scrittura polifonica, accentata dalle molte lingue dei suoi testi di partenza, ospitale allo spaesamento e all’estraneo.

Dopotutto il libro da cui ho appena citato si chiama . Che non va preso come ritrattazione della tonalità non-assertiva, semmai come sua ironica ripresa, per assumere la critica del linguaggio propria delle opere precedenti e condurla oltre. I libri della trilogia distruttiva di Broggi, Coffee-table book, Avventure minime e Protocolli, mostravano, con diafano distacco, le vischiose pretese di verità dei linguaggi funzionali, dal poetichese al comunicativo, sempre attraversati da automatismi economizzanti e da forze lugubri nella loro coazione a ripetersi/ripeterci. Quella lezione non viene accantonata nelle opere successive ma impiegata a loro fondamento. Riconoscere le trappole retoriche, le ideologie che ci parlano, i limiti del linguaggio tutto non significa dover cedere al disincanto, ma promettersi una nuova curiosità, un nuovo ascolto. Può capitare, così, di re-innamorarsi, persino di ciò che è già famigliare. I discorsi di sempre, le parole già dette, le solite domande, la letteratura. “Sai quello che stai dicendo, Maurizio? Puoi esprimerti in maniera da riuscire a comunicare ciò che intendi affermare? Hai detto qualcosa a lungo dimenticato, hai alterato le tue pulsazioni, la pressione sanguigna, trattieni il fiato o respiri normalmente? E lei che cos’ha risposto? Ti sei accorto che sorridi?” (66)

Lasciamo la spirale e prendiamo un nuovo foglio. Su questo foglio bianco faremo due linee diagonali che si intersecano, una grande X che marca lo spazio su cui scriveremo i nostri appunti, qualche schizzo, e quante risposte possiamo a una serie di domande sempre più specifiche, a costruire non solo una storiella in otto vignette, ma quanti più echi, ombre, odori, assenze e non-detti di questo piccolo mondo inesistente. Perché ci facciamo una X, chiede qualcuno. Per riconoscere che questo è uno spazio di lavoro, non stiamo facendo niente di sublime. Maurizio non è nessuno. O Maurizio è (come) Milena, Humbert, Louretta, Rhoda, Mavra, Eleonora, Norberto, Tania, “tutti i nomi vanno bene” (22), quasi onde come quelli di Virginia Woolf, con un Maurizio che già appariva in Noi, un personaggio più prossimo a una domanda che a un carattere. “Chi c’è con te ora, Maurizio? Cosa provi a essere qui?” È Benveniste a insegnare che “tu” è un commutatore proprio come “io”: in sé pronomi vuoti, senza un referente dato, ma ogni volta disposti ad accoglierne uno diverso, e a scambiarselo. Proprio grazie al non essere inscritti di una referenza univoca rendono possibile la soggettività e l’intersoggettività, due fenomeni complementari. Il pronome ‘noi’, invece? Non mera somma di vuoti, è forse il pronome più potente, e, diceva Barbara Johnson, il più pericoloso: può costruire nuovi soggetti, affermare sintesi, imporre universali, produrre nemici, proiettare futuri. Noi di Broggi lo assume facendosi carico della sua fisiologica ambivalenza e ne esplora la goffa inaffidabilità: “Parliamo, ci sorprendiamo, parliamo ancora, immaginiamo. Sembra sempre che ci stiamo dirigendo verso qualcosa ma ogni volta prima di raggiungerlo cambiamo direzione […] La natura delle nostre osservazioni ci sfugge.” (14)

Quindi le cose sono più complicate di quanto la grammatica sembri concedere: ‘noi’ impantanati in repertori e sistemi ricevuti, immersi in appartenenze che perlopiù non abbiamo scelto con piena volizione (generi sessuali, classi sociali, tradizioni religiose, territori fragili, accenti, e via dicendo), ‘noi’ più deboli e attraversati da poteri che ci precedono, a prescindere da come ci identifichiamo, ‘noi’ saturi di biografia che non importa. Le condizioni ci travalicano, spesso indistricabili dalle nostre azioni, e il tutto è assai più esposto alle pressioni, alle influenze, alle trasformazioni, anche aleatorie. Ma una volta che sappiamo di non avere accesso ad alcuna ‘libertà’ e di non essere tantomeno ‘insieme’, ‘noi’, in modi riconosciuti e riconoscibili, cosa cambia questo rispetto al desiderio di una buona vita? O almeno di una buona scrittura? Non fingeremo mica di non stare nell’incerto e nel provvisorio, nel fragile e nel caos, spero. Ammetteremo che essi sono costitutivi, no? “Raccontiamocelo ancora: stiamo stendendo il verbale dei nostri passi” (13).

Questa cosa che già fa Noi, tracciare una mappa impossibile, far girare i nostri intorno, ché tanto “abbiamo perso la direzione, potremmo essere ovunque” (19), torna in , sotto altra forma. Che il libro si apra con la sezione “Scioglimento”, al capitolo 41, e metta il capitolo 1 a pagina 51, per farlo iniziare con “Allora ricominciamo”, genera una curva che rende disponibile l’andare indietro e avanti con ritorno “ovunque” che continua quel moto circolare, o forse lemniscato, ricorrente in Broggi. Ha un che di ipnotico questa figura, una volta immaginata non riesco più a non vederla.

Sono passata a disegnare le parti grafiche alternate coi testi verbali. È una pratica sobria, niente nuvolette: sopra il disegno e sotto le parole, o viceversa. Le parole dovrebbero dire quello che l’immagine non dice già. Sta lì il trucco. C’è l’interno della cornice, le forme che vado disegnando, a cui tendo e che mi superano, come le parole con cui quelle conversano; non sono davvero divise, le une suggeriscono alle altre cose che già non sanno. E c’è il sistema della cornice, il piano da cui avviene la consapevolezza (o il tentativo di), l’azione, il veder compiere il disegno. Non c’è niente di strettamente reale in tutto questo, se non il suo farsi. “Ti avvicini come fossero pozzi profondi: dove presumi di vedere attraverso l’ombra e la luce delle finestre ci sono specchi… Non c’è realtà al di là delle tue definizioni: ogni cosa del mondo fisico è uno specchio e devi sorridere per primo perché l’immagine sorrida di conseguenza. Ora sei fuori…” (53) Broggi mostra il continuo fluire tra molti piani sopravvalutati – i fatti, i ruoli, le psicologie, le esperienze, la logistica dei saperi, la stessa logica del ‘fuori e dentro’ – e lo supera. A tutti questi sistemi fantasiosi si può anche non dover credere poi così tanto, “ora rivolgiamoci a qualcos’altro” (52). Non è il cinismo del tutto è uguale, a cosa vale, ma la possibilità dell’immersione in uno spazio concorde, né razionale, né anarchico. Penso alle tele monocrome di Spalletti, dove anima e colore si corrispondono.

“Sei contento di non sapere dove ti trovi?” (25), si chiede il mio fumetto.

____________________

*le citazioni da Idillio sono senza riferimenti perché il libro non ha numeri di pagina. e Noi sono entrambi usciti per Tic. Tutte le notizie sulle altre opere di Alessandro Broggi sono qui: https://biobibliografia.wordpress.com/

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1 commento

  1. Bellissima riflessione sull’opera di un autore fenomenale. Sono reduce dalla lettura di Idillio e ne scriverò al più presto. Sì, purtroppo, é una lettura che mi manca, ma punto a recuperarla nel giro di poco. Ultimamente ho visto pubblicati una profusione di articoli sul lavoro di Broggi e sono davvero felice che se ne parli!

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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