Tribunale di Milano, 9 novembre 2022
Il 2 ottobre 2024, a distanza di circa due anni dalla condanna in primo grado per associazione a delinquere, presso il Tribunale di Milano avrà luogo l’appello del processo a carico del Comitato Abitanti Giambellino-Lorenteggio. Come manifestazione di solidarietà con le persone imputate e con la loro lotta, presento una serie di testi da Parte Lesa di Massimiliano Cappello (di prossima uscita per Arcipelago Itaca), un libro che è anche un “atto preparatorio” ispirato a quell’esperienza di lotta e ai suoi strascichi giudiziari. (rm)
Di Massimiliano Cappello
1.
Le scale del palazzo della legge, i tentativi goffi dell’addetto con il metal detector di strappare un sorriso o la voglia dalle ossa, il poco che ci vuole a non capire più nulla, a saperla di nuovo lunga (queste sono le ore diciassette, io sono vivo, tutto quanto esiste, ma se non sai, ti prego, non capire),
e il Merlo che ha lasciato il tascapane al bar, che allampanatamente corre via dalla scena non punito, salta a tre a tre i gradini del giudizio, potesse perdersi dentro alla selva che dà sul corso di Porta Vittoria, riunirsi al Cane, all’Orso, al Lupo, al Gatto e via, al naviglio, picarescamente, scorrazzando poi per le campagne o per le pubbliche vie, gli associati,
dimentichi di un sé fatto di carte, vincolato a quest’aria ineludibile, prescelta, impresso in obblighi, contratti, effigi, una grigliata sul fiume ogni tanto, verità poca ma tutta per loro, sì, era questa la compagneria della vita, ma è tardi ormai per fingersi, quanti lacci d’amore o della sorte li hanno avvinti. In questo rogo senza bruciamento di che credere di essere viventi?
Se lo ripetono spesso, nonostante il rancido, il narcotico, in questo andare
sempre verso un altro, un non-esistere.
2.
Segna la cattedrale della storia quotidiana del mondo, dei pezzenti ormai andati a male o incattiviti che giovano alle richieste di budget delle polizie, dei timorati col tarlo della cessione del credito che chiedono soltanto di morire ma in codice. Segna il vuoto portante, esistenziale e quasi fondativo per questa classe di ex sotto-humani che ora perimetrano il colonnato, si scaccolano, mettono la squadra al fantacalcio, mi segnano l’aula
3.
Sappiamo cosa significa questa liturgia, anche se non possiamo capirla quibus operibus beatam vitam quibusve aeternam poenam mereantur in questo turbinio procedurale siamo vorticati, fedeli a quell’amore che porta sfortuna. Oltre il cancello loro sui banchetti senza l’inginocchiatoio l’altare cattedra dove assittate inquisiscono le toghe come un solo blocco nero gli astanti ignobili sodali opposti la luce livida lateralmente risucchia via non so se uno spiraglio e come da un soffitto fa convergere come da un oculo sembra affacciarsi il giudice e la corte giubilando in una marcescente apoteosi
viene proferito il verbo e l’evento avviene
nessuna pace è dunque possibile
4.
Ripristinato il pubblico servizio dopo l’interruzione inevitabile contiamo due ulteriori cartellini gialli per proteste e un porci bastardi rispetto alla questione, quando siamo giunti ormai al trentatreesimo del primo tempo. Levandoti dal viso i duri veli (sennò poi ti viene un malanno) ho capito che solo a buttare la chiave è galera, altrimenti è una vacanza, parrebbe. Quanto dice delle nostre esistenze imprigionate, che senza martirio o tortura è davvero inaccettabile divincolarsi dall’umiliazione
5.
Vi prego dunque, cari, accordiamoci: sono per noi gli stuzzichi e il prosecco nel bar del tribunale e degli sbirri, la fila per il pane quotidiano, la bocca cucita col fil di ferro, una sottospecie di brutto sogno e semipopolato di affezioni e incartamenti, di amicizie logore ma mai insuperbite nel negativo non sviluppabile di questo mese non ancora propriamente iniziato, come del resto il computo del tempo vero spillo di una mortalità promessa miserabile di fine della distrazione e della vaghezza. Eppure tristemente lieta temo di accedere a una psiche cittadina. Ce lo avevano detto che il mattino finiva per sempre, non lo sapevi? E anche di non flirtare con l’epica, perché è una fiamma strana che sublima tutto di luci già viste. Se hai fatto l’alba non la puoi scordare, ma nemmeno dire cosa voleva dire
(che eravamo
insieme, forse)
Circostanze attenuanti e aggravanti
Nel linguaggio giuridico, parte lesa designa il soggetto offeso nei suoi diritti da un reato in quanto titolare del bene tutelato con la norma. Il suo equivalente generico è la vittima, e diviene tale nel momento in cui presenta la querela con la quale chiede che i colpevoli siano perseguiti penalmente. Ne delicta remaneant impunita: era il vecchio motto di Innocenzo III, patrono della crociata catara e ispiratore dell’Inquisizione, che nel 1199 aveva equiparato l’eresia alla lesa maestà. Oggi, quando un Ente pubblico si costituisce parte lesa (per fare un esempio fra i tanti possibili), tutto ciò risuona impercettibilmente. In realtà è una vecchia storia, quella che oppone díke e nómos, legge divina e legge umana: non ne vedremo la fine – non oggi, quantomeno. Oggi, però, è sempre più difficile capire di che offesa si tratti, di quali diritti. Chiunque sa quale ipoteca gravi su ogni nostro gesto, ma preferiamo non parlarne. Se le esperienze personali contano ancora qualcosa, se sono ancora immagine di quelle collettive (e viceversa), è forse proprio per la loro quasi-assenza, e per la minaccia che incombe su di loro persino nella più umiliata delle sopravvivenze. Per quanto ciò possa suonare ingenuo o arcaico, bisognerebbe mantenere il proprio cuore ardente non benché, bensì perché le cose intorno agghiacciano.