Musicare la poesia medievale: un’intervista con i Murmur Mori

 

Murmur Mori, Recording Session – foto tratta da https://murmurmori.com/photos/

 

a cura di Daniele Ruini

Murmur Mori” è un ensemble di musica medievale che si propone di rivitalizzare la tradizione giullaresca europea. Fondato nel 2015 da Mirkò Volpe e Silvia Kuro, dopo aver dedicato album alle liriche dei trovatori provenzali e alle poesie volgari dei Memoriali bolognesi, il gruppo (al quale collaborano anche Alessandra Lazzarini, Matteo Brusa e Nicolò Gugliuzza) è ora al lavoro su un insieme di poesie profane in latino dell’XI secolo. La loro proposta tiene insieme la ricerca filologica sulle fonti (per quanto riguarda i testi, le notazioni musicali e la costruzione degli strumenti utilizzati) e il desiderio di far rivivere la musica medievale in maniera coinvolgente. Da qui deriva l’espressività che accompagna le loro esibizioni e la semplice bellezza dei loro video (girati in luoghi come chiese o boschi). Ne parliamo con il direttore artistico del gruppo Mirkò Volpe.

 

Ciao Mirkò, grazie molte per la tua disponibilità. Vorrei chiederti, innanzitutto, com’è nata la tua passione per la musica medievale: si è sviluppata progressivamente, magari partendo da interessi musicali meno di nicchia, o è stata il frutto di una folgorazione? Puoi dirci qualcosa anche sulla tua formazione musicale?

Era il 1997, avevo 10 anni, la scuola elementare mi portò in visita alla rocca di Soncino ed io ne rimasi folgorato. Durante quella gita ebbi la possibilità di utilizzare un torchio ligneo del XV secolo per stampare una litografia della rocca che poi incorniciai ed ancora oggi si trova appesa nel mio studio. Guardarla mi mette di ottimo umore.

Con il passare degli anni i draghi e le fate della mia mente di bambino hanno lasciato il posto ai romanzi epici ed alle fonti musicali, ma parlando con molte persone che studiano la storia medievale in ogni sua forma mi sono reso conto che la maggior parte di loro, come me, erano e saranno sempre eterni fanciulli. La mia formazione musicale è semplice: ho studiato chitarra classica privatamente, poi mi sono diplomato in elettronica ed ingegneria del suono ed ho insegnato chitarra classica a Bologna per sei anni.

 

Potresti descrivere qual è il repertorio a cui è votato il progetto Murmur Mori e quali sono le vostre fonti di ispirazione? Inoltre: preliminare a ogni vostro lavoro è la ricerca storico-archivistica sulle fonti manoscritte; nei casi in cui le liriche medievali siano state trasmesse senza notazioni musicali siete voi stessi a comporre le musiche, giusto?

Il nostro repertorio tratta la musica e la poesia dal secolo X al XIII. Nel 2020 indagammo i primi volgari italiani e la poesia giullaresca d’Italia. La ricerca portò alla registrazione di due dischi: “Concerto a Montorfano” e “Dançando la fressca rosa”, disco nel quale abbiamo restituito la voce ad alcune ballate contenute nei Memoriali Bolognesi del XIII secolo collaborando con l’Alma Mater Studiorum di Bologna (progetto MemoBo).
Lo studio dei volgari ha portato me e Silvia Kuro ad indagare le relazioni tra i trovatori italiani e quelli provenzali del XII e XIII secolo, ricerca fiorita nella pubblicazione di “Canzoneta, va!” nel 2023.  Ora stiamo svolgendo delle ricerche sulla poesia mediolatina del X-XI secolo. Io e Silvia Kuro siamo stati totalmente travolti da queste musiche estremamente antiche le cui liriche profane sono ancora intrise di elementi pre-cristiani ed antiche divinità greco-romane.

Silvia Kuro è la paleografa di Murmur Mori, è lei a leggere ed a ricostruire le musiche dalle notazioni adiastematiche dei secoli X, XI e XII. Una volta che lei ha restituito la voce a quei simboli, che ad un occhio inesperto appaiono come piccoli scarabocchi sopra alle parole, io ne sistemo la metrica con il testo ed arrangio la musica scegliendo gli strumenti musicali da utilizzare in base alle testimonianze a noi pervenute.
Da questi studi nascerà “CARMINA”, un nuovo album che verrà pubblicato per Edizioni Stramonium nel 2025. Due singoli sono già disponibili sui nostri canali social, essi sono “O admirabile veneris idolum” e “Crus ocelle meum velle”, quest’ultima mai registrata prima in versione integrale.

Il nostro modus operandi in sintesi è il seguente: laddove la musica non è pervenuta cerchiamo di mettere in pratica quello che nei secoli medievali veniva chiamato “contrafactum”, ovvero l’utilizzo di una melodia già esistente alla quale la lirica si adatta perfettamente. In passato chi componeva non era ossessionato dal diritto d’autore e la musica era intesa come un’arte molto più comunitaria. Se invece il “contrafactum” non risulta possibile perché non sono pervenute melodie coeve o che si adattino alla forma della lirica, componiamo io e Silvia la musica utilizzando ed ispirandoci alle forme musicali del tempo.

 

Nelle vostre performance cercate di coinvolgere il pubblico, anche dando spazio a una certa “teatralità”. Quanto è importante, per voi, far arrivare agli ascoltatori la musica medievale come qualcosa di vivo e in grado di regalare emozioni ancora oggi?

La nostra idea di “musica medievale” è molto vicina a quella definita “popolare”.
Molti sono i fattori che accomunano questi repertori e spesso nella musica popolare, laddove ancora oggi sopravvive genuinamente e non è confinata a mero intrattenimento folclorico, si possono ritrovare immutate tracce di melodie, danze e forme musicali risalenti ai secoli medievali, o addirittura precedenti!

Spesso i primi versi delle liriche di musica secolare medievale riportano veri e propri inviti all’ascolto verso il pubblico di una piazza o di una stanza: questa scelta stilistica è da tenere in grande considerazione perché ci offre una cornice di quello che poteva essere il contesto dello spettacolo, lasciandoci intuire che l’auditorio non fosse proprio attento e silenzioso durante l’esecuzione. I biglietti a pagamento per i concerti non arrivarono che nel XVIII secolo, quindi era compito degli artisti saper catturare l’attenzione, coinvolgere e distinguersi dagli altri.

Beninteso: noi stiamo parlando di musica secolare, non sacra. Quando si parla di “musica medievale” bisogna fare attenzione perché il periodo che noi per comodità ed abitudine chiamiamo “medioevo” è durato più di mille anni ed è sciocco pensare che per mille anni sia esistita una sola pratica musicale, un solo approccio, un solo modo di accordare gli strumenti etc. Sarebbe come ammettere che Mozart ed i Sex Pistols, entrambi appartenenti all’Epoca Contemporanea, abbiano lo stesso approccio alla musica. Noi cerchiamo di riportare in vita l’aspetto più organico della performance giullaresca di musica medievale, l’approccio che vuole attirare l’attenzione, quello che interagisce con il pubblico che non è più solo ascoltatore ma parte integrante dello spettacolo, quello che vuole intrigare e trattenere intrattenendo fino alla fine. Questo non è un modus operandi esclusivo dei giullari o dei cantimpanca popolari confinati alle caotiche piazze di borghi, campagne e città, bensì lo possiamo ritrovare anche nelle corti e nelle stanze dei castelli. Citerò solo una fonte letteraria del XIII secolo di nome “Flamenca”, romanzo provenzale meraviglioso e ricco di informazioni sull’esecuzione musicale dove, durante una festa di matrimonio, vennero chiamati tantissimi giullari, acrobati, cantastorie e novellieri che si esibivano ovunque, sia nella sala principale che in ogni altro luogo del castello degli sposi. C’era chi cantava storie di Artù e chi di Giulio Cesare, chi di Isotta e chi invece faceva acrobazie o danzava. Chi suonava e cantava insieme, chi invece si faceva accompagnare con flauti ed altri strumenti, l’elenco è davvero lungo.

Se anche volessimo ridimensionare la descrizione della festa descritta in “Flamenca”, dobbiamo però ammettere che situazioni del genere erano presenti nell’immaginario collettivo e quindi, possibili. Fonti come queste non sono le uniche testimonianze dirette di esecuzioni musicali medievali, ma non vengono quasi mai prese in considerazione favorendo uno standard esecutivo della musica medievale molto più simile a quello della musica barocca, operistica o da camera.

 

Quanto spazio trovate per la vostra proposta musicale? Esistono per esempio festival a livello europeo che valorizzano la musica medievale? E ancora: preferite esibirvi in contesti più istituzionali (come gli Istituti di cultura italiana di Bratislava e Colonia dai quali siete stati invitati) oppure in scenari più popolari come piccoli paesi di montagna?

C’è parecchio interesse nei confronti della musica medievale, esistono festival prestigiosi e storici in Italia, in Europa e nel mondo che da anni hanno iniziato a considerare anche la musica precedente al periodo Barocco e Rinascimentale, inserendo nelle loro rassegne musiche precedenti al XV secolo. Il rinomato festival francese “Festes Baroques” per esempio è uno di questi. Noi partecipammo all’edizione del 2022 ed il concerto fu un successo tale che ci procurò un agente che lavora con noi ancora oggi e che ogni anno ci organizza concerti in Francia.

Ad agosto abbiamo partecipato alla rassegna “Le festival Bach de Saint-Donat”. In ottobre torneremo nuovamente in Francia per portare il nostro programma “Canzoneta, va!” a Dun-le-Poëlier ed il giorno seguente alla grandiosa abbazia di Noirlac. Sempre in agosto siamo stati al festival di musica antica “Forum Musicum” di Wroclaw, in Polonia. Per l’occasione ci è stato commissionato un programma ad hoc che trattasse la tematica delle crociate, da questo stimolo è nato il programma concertistico “Make love, not crusades” il cui successo ci ha convinti a registrarne un disco che verrà pubblicato a settembre.
Anche in Italia c’è molto interesse e riusciamo a suonare parecchio, soprattutto nel nord. “MedFest”, per esempio, è una realtà giovane, ma che si è già affermata grazie al pregio ed all’originalità dei concerti e delle conferenze proposte.

Riguardo ai contesti nei quali preferiamo esibirci, dal 2015, anno in cui il progetto di musica e ricerca Murmur Mori nacque, mai sono stati utilizzati microfoni o alimentazione elettrica durante i concerti e questa scelta non è solo estetica, bensì determinata dal desiderio di offrire al pubblico un ascolto più autentico. Per noi ignorare o modificare il suono del luogo attraverso microfoni e casse sarebbe una mancanza nei confronti della musica che Murmur Mori vuole ricostruire. Spesso ci è stato proposto di utilizzare impianti audio per poter raggiungere un maggior numero di persone, ma noi crediamo che il modo in cui si ascolta un certo tipo di musica sia degenerato nel tempo e le persone che oggi si recano ai concerti si aspettano di ascoltare la stessa cosa che ascolterebbero su un disco o su Spotify nel loro impianto di casa. A volte forse sarebbero più a loro agio ascoltando un “playback” al posto di una esibizione dal vivo, con i suoi pro ed i suoi contro.

Noi vogliamo riportare la musica al suo stato organico e reale, “rieducare le nostre orecchie”. La musica deve risuonare all’interno degli ambienti storici che da secoli la restituiscono al nostro orecchio, arricchita con la loro personalità.

Questa scelta ci permette di esibirci in qualsiasi contesto in totale libertà ed i luoghi ricchi di storia o personalità sono quelli che preferiamo, siano essi abbazie romaniche o antichi e rustici borghi montani.

 

In maniera complementare al progetto Murmur Mori ti occupi della gestione dell’interessantissimo canale YouTube Musica Medievale, con il quale fai conoscere i lavori di altri musicisti (creando personalmente i video con immagini di miniature tratte da manoscritti). Nel corso degli anni hai notato un aumento di interesse verso la musica medievale?

Il fascino che dal tempo dei Preraffaelliti suscita tutto ciò che concerne i secoli o le “atmosfere medievaleggianti” è in costante crescita. Questo periodo storico interessa più di ogni altro e le persone si approcciano al medioevo in maniera sempre più approfondita.

Questo atteggiamento è forse spia di un probabile disagio verso i valori e la società nella quale viviamo oggi.
I miei studi e le mie letture mi hanno convinto che il “medioevo” possa essere considerato come la gioventù della nostra società: passione, fantasia, dubbio, curiosità, grinta e trasporto erano alcuni dei sentimenti principali con i quali veniva affrontata la vita nei “secoli medievali”. Il medioevo è troppo spesso ingiustamente condannato dagli occhi stanchi ed apatici della nostra società che, ormai vecchia, s’inganna all’idea che nulla possa esserle insegnato. Essa guarda alla sua gioventù a volte con invidia e disprezzo, a volte con malinconia, ma sempre consapevole del fatto che tale bestiale e giovanile spensieratezza mai più potrà tornare.

 

Sul vostro sito si legge che da alcuni anni hai deciso di abbandonare Bologna (dove hai studiato) e di vivere «in una vecchia casa fatiscente nel centro di un piccolo ed antico borgo delle Alpi Piemontesi». Cercare di far risuonare il Medioevo vuol dire, per te, anche contestare la frenesia consumistica della nostra società?

La frenesia consumistica della nostra società si sta contestando da sola, è come una nave che affonda governata da capitani ottusi che non vogliono ammettere di aver fallito.
Io mi sono semplicemente rifugiato il più lontano possibile da questo naufragio, sperando che le inevitabili conseguenze di questo disastro ecologico da noi creato mi raggiungano il più tardi possibile. Sia nei miei arrangiamenti musicali che nella mia vita quotidiana cerco di applicare il motto “meno c’è, più c’è”, dove vivo ci sono più alberi che persone, e questo per me è un pensiero confortante.

 

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1 commento

  1. Bravo Daniele per le domande pregnanti che stimolano risposte intelligenti e approfondite! E bravi i Murmur Mori per il coraggio e l’autenticità della loro proposta musicale!

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Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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