Angelo Andreotti: sottratti alla grazia.
di CLAUDIA MIRRIONE
Sottratti alla grazia. La produzione poetica di Angelo Andreotti (2006-2023)
Alla trentaseiesima edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino è stato presentato in anteprima il numero speciale della rivista “Laboratori critici”, Per Angelo Andreotti: sottratti alla grazia. Poesie 2006-2023, edito da Samuele e dedicato alla figura del poeta e saggista ferrarese, prematuramente scomparso nel maggio dello scorso anno e distintosi per i propri meriti culturali, in quanto già direttore di diversi musei e istituti di studio, tra cui il Centro Studi Bassaniani e, successivamente, delle Biblioteche e degli Archivi del Comune.
Sottratti alla grazia, però, non è solo un omaggio a questa personalità di spicco nel panorama culturale nazionale, è anche una profonda riflessione sul suo contributo artistico e intellettuale. Infatti, successivamente all’editoriale di Matteo Bianchi e Daniele Serafini, che è in realtà un vero e proprio saggio critico concernente i temi fondanti della poetica di Andreotti (la differenzia, già weiliana, tra «essere attenti» e il «prestare attenzione», il valore del silenzio, «l’attitudine quasi panteistica» dell’io verso la natura, la “sacralità” della parola), vi è una nutrita sezione antologica che presenta 75 componimenti tratti dall’intera opera poetica di Andreotti, mentre invece, nella terza ed ultima sezione trova spazio una raccolta di interventi curati da studiosi e critici di rilievo, nonché colleghi e amici di Andreotti, inframmezzati da diverse note critiche sull’opera del poeta, già precedentemente apparse su altre riviste di letteratura contemporanea.
Tutti i contributi sono rimarchevoli e colgono aspetti differenti sia della poesia andreottiana sia della riflessione teorica sottesa alle raccolte in versi. I saggi di Sergio Bertolino e Niccolò Nisivoccia ragionano, innanzitutto, sul concetto di tempo nell’opera andreottiana, e mentre il primo si sofferma sul ruolo della poesia quale “farmaco”, in un presente per lo più costituito – come ricorda anche un filosofo caro ad Andreotti, Byung Chul Han – da raffiche di istanti scollegati tra loro e sprovvisti di un ritmo e di una struttura, il secondo tratta proprio del tentativo di Andreotti di recuperare e reinterpretare il tempo presente, conferirgli quel giusto ritmo, per coglierlo, per viverlo, epicureamente, come una dimensione in cui è ancora possibile riguadagnare «tutto il bene che si perde». Il passaggio – coincidente con la raccolta Nel verso la vita (Este Edition, 2010) – da una poetica contrassegnata dalla metafora filosofica del cammino, della Wanderung di goethiana memoria, alla poetica del silenzio e della contemplazione, è invece indagato negli interventi di Duccio Demetrio e di Giuseppe Ferrara; dal 2010 Andreotti frequenterà sempre più spesso il gruppo dell’Accademia del silenzio di Anghiari, fondata proprio da Demetrio e dalla giornalista Nicoletta Polla-Mattiot. Riconosciamo, inoltre, altri due gruppi di interventi; da un lato quelli di Nina Nasilli, Stefano Raimondi, Massimo Scrignòli, dall’altro, quelli di Flavio Ermini, Antonio Prete, Paolo Vanelli, che si occupano, invece, rispettivamente di lingua e stile e dello statuto del soggetto. La parola poetica andreottiana, dalla palpitante e viscerale esperienza fisico-corporale, trasformandosi in pensiero e astrazione, si fa vero e proprio Ὄργανον, cioé “strumento” conoscitivo della “Cosa” (Nasilli), e, se talora assume una forte carica ragionativa e filosofica (Scrignòli definisce appropriatamente l’opera in versi di Andreotti prose en poème), talaltra abbraccia in sé anche ogni deviazione, intesa come divagazione o come stortura, anomalia (per questo, Raimondi descrive la poesia di Andreotti anche come una lingua dei “titubanti”). La relazione tra soggettività e interlocutore è anch’essa peculiare: ad una soggettività che va oltre i confini dell’io, che varca continuamente i suoi limiti interiori e si pone in ascolto di ciò che è altro da sé (Vanelli, Ermini), fa da contrappunto un “tu” che, però, piuttosto che essere un interlocutore esterno, in Andreotti oscilla sempre tra l’allocuzione interiore e il dialogo tra i sensi e il visibile (Prete). Un posto a parte occupa, infine, il contributo di Giovanna Menegùs che si sofferma sul senso di eticità nell’arte, lungamente investigato da Angelo Andreotti in diverse sue opere teoriche, tra cui Il nascosto dell’opera. Frammenti di un’eticità dell’arte (Italic, 2018). Secondo Andreotti, l’arte, e quindi la poesia, non vivono di per sé, come in una dimensione separata; estetica ed etica si intrecciano, sono tutt’uno. Di conseguenza, la poesia si configura sempre come soglia e orizzonte di possibilità, contemplando insieme – nell’occasione che si viene a creare – un poeta e un lettore, un autore e un fruitore: l’esperienza estetica è per Andreotti l’apertura ad «un’autentica relazione con l’altro».
Nella loro diversità e plurivocità tutti gli interventi critici colgono diverse angolature della scrittura di Andreotti (per quanto riguarda sia le tematiche che le soluzioni stilistico-formali), e costituiscono di certo il primo passo per cercare di interrogarsi sull’eredità intellettuale che Andreotti ci consegna e di collocarlo giustamente, a partire da Ferrara (il cui perimetro murario è rievocato in copertina dall’opera di Paolo Pollara, “Own Now. Labirintinterrotti”, 2019), in un contesto più propriamente italiano. Bisogna, dunque, rendere merito alla rivista Laboratori critici per aver dato vita a un volume che rappresenta – nella sua struttura atta a offrire un panorama, se non esaustivo, certamente ampio e apprezzabile dell’opera di Angelo Andreotti – un contributo significativo e duraturo nel campo degli studi culturali.
XIX
Essere le parole mute, e quelle dette
attraverso una voce che non si dà pace,
continuamente descrivendo il nostro divenire
che è uno stare nel tempo, durare nel presente.
Essere il respiro che anima la parola
affinché sia la cosa che diciamo. Essere
quella cosa, essere lo sguardo che la vede,
essere nelle dita ciò che tocchiamo per essere
pianta, questa radice, la terra, essere acqua.
Ciò che sarà è un immagine certa nel presente
che dura un tempo nel passato. Ciò che saremo
è già in ciò che siamo. Noi non siamo in cammino,
noi siamo la via che andiamo camminando.
(da A tempo e luogo, Manni, 2016)