Il pop deve ancora venire
di Alessio Barettini
Libro di racconti o romanzo a episodi, come scrive Giulio Frangioni nella postfazione a Il pop deve ancora venire, (Roma, STC, 2024, 14 euro) esordio di Anna Chiara Bassan e primo libro della casa editrice STC per la collana Atrio. Atrio, il luogo dove le cose stanno succedendo e dove si attende quale collocazione prenderanno, una dichiarazione di intenti davanti al panorama letterario attuale.
Una voce decisa e affilata, quella di questo libro, utile a delineare le complessità psicologica dei personaggi, protagonisti delle storie e del libro intero. Personaggi, persone, brave persone, come scrive Bassan nello Sfratto, l’ultimo racconto. Ma non c’è nulla di semplice. Le brave persone sono davvero brave? Questo sembra domandarsi l’autrice, perché i suoi personaggi si ritengono senz’altro brave persone, ma, vuoi per questioni contestuali, sociali, vuoi per elementi del carattere, si ritrovano a compiere gesti degradanti, mortificanti, disprezzabili. Eppure quelle azioni, quei comportamenti, non sono giudicate moralmente. La morale semmai è altrove, più all’esterno, come una divinità irridente. Ma sono giudicate, questo sì, o dalle persone stesse che le hanno commesse, magari diversi anni dopo, o dalle persone che quelle azioni le subiscono, o da altri testimoni. Si crea un diorama di personaggi, tutta la scrittura è in effetti un mandala che i personaggi via via decostruiscono con le loro depravazioni. Ma non si tratta mai di depravazioni fini a se stesse, è sempre l’esito di un contesto o, nei peggiori casi, di un percorso anche drammatico. Si ha l’impressione che il numero dei racconti contenuti qui possa essere infinito, perché ogni personaggio che compare, compare più di una volta, lo ritroviamo più oltre, o in un rovesciamento di prospettiva o in un momento differente della sua vita. Questo è interessante, perché ogni azione di ogni personaggio diventa quindi solo un pezzo di complesse personalità. A ben guardare sono sempre azioni indotte, dettate da un contesto, e quindi più grandi dei personaggi stessi, che quindi si trovano a essere sempre vittime, nonostante siano anche carnefici. Questa contraddizione è tipica dell’età dell’adolescenza. Tutti gli adolescenti sono lo stesso adolescente, tutte le iniziazioni sono lo stesso esorcismo, scrive Bassan, che si rivela abilissima a creare situazioni in cui i personaggi adolescenti vivono un episodio simile, un rituale. Situazioni in cui si è appunto contemporaneamente vittime e carnefici, se è vero che la radicalità che li spinge ad agire, a essere, li trascina oltre, lascia conseguenze che ritroviamo quando sono adulti, in situazioni complementari o simili a quelle dei traumi vissuti o imposti. Sono situazioni che sono sempre delle sconfitte, perché anche il carnefice soffre, e questo nel libro è chiarissimo, c’è quasi una sovrapposizione fra le due figure, come fra Guido e Sveva in Tono sociale di progresso o fra Ada e Tommaso, protagonisti del racconto omonimo, anche se poi Ada ottiene il suo riscatto solo più in là, in L’iconografia della salvezza. In effetti si può anche parlare di salvezza, per raccontare questo libro, perché nella dicotomia fra vittima e carnefice questo momento esiste, e seppure breve, questa brevità è apparente, perché la salvezza è quanto di più lungo ci possa essere, dato che la salvezza è perlopiù desiderio di salvezza, momento agognato che si rivela solo come atto di passaggio fra una situazione a un’altra, rituale iniziatico, appunto.
La profondità dei personaggi, raccontata ora in terza e più raramente in prima persona, avviene sempre per gradi. Talvolta i racconti riguardano una sola situazione, altre volte più di una, ma sono sempre sostenuti da una scrittura attenta, controllata, capace non soltanto di delineare con esattezza le varie storie, ma di usare molte parole non consuete, di ripetersi poco, sono scelte lessicali ponderate con estrema cautela. Lo stesso per le frasi, per esempio: «Dal novero dei peccati insomma, avrei rischiato di escludere il privilegio dell’arroganza che questa tua bellezza comporta, e il conseguente errore nel calcolo di cosa sia o non sia parte del tuo meritato, di quanto ti spetta ricevere dalla vita.» Oppure: «Lei si blocca, lo impara. Guido vede, o crede di vedere, il pianto iniziare, confrontarsi con il suo autocontrollo, con la consapevolezza di quanto quella mattina avesse pagato la prestazione della truccatrice, quindi riassorbirsi.» O ancora: «Ho notato che mal sopporti quando io faccio riferimento agli organi sessuali, sia che utilizzi un significante comune (cazzo/figa, per intenderci), sia che mi avvalga del loro specifico significante anatomico.»
Insomma il linguaggio è uno strumento capace di far affiorare la verità, di riflettere sui traumi prima e di mostrarne gli esiti poi. Ma quel che più dimostra l’abilità della scrittura di Anna Chiara Bassan è il fatto che gli esiti emergono spesso in modo sorprendente, sia per i personaggi, ma anche per i lettori stessi che, seppure possono aspettarsi, dopo la lettura di alcuni racconti e quindi dopo aver compreso il meccanismo del libro, una certa ripetibilità, finiscono per essere sempre anticipati dall’autrice. Questo meccanismo nel meccanismo è sorprendente in maniera eclatante nel primo racconto, Tratte brevi, e se diventa meno sorprendente via via che i racconti avanzano, è solo perché Bassan non si preoccupa di cambiare le carte in tavola. In sostanza è come se stipulasse un patto con il lettore, ragionando con lui sullo stupore, sull’effetto sorpresa che man mano che si procede nella lettura discende progressivamente, nell’idea che, come dice Ada nell’Iconografia della salvezza, che è il penultimo racconto, «la conclusione è anche l’inizio.» E perché proprio la sorpresa? È molto semplice, perché la sorpresa è parte stessa di quelle situazioni raccontate, del passaggio dall’adolescenza al disincanto, uno stupore al negativo, per così dire. Da qui la profondità del testo. Da qui la complessità dei personaggi, dei singoli personaggi ma anche del fatto che noi leggiamo di ricorsi, ricorsi storici che visti unitariamente costruiscono un’architettura sapiente, in cui i paralleli non sono solamente fra personaggio e personaggio ma fra i vari racconti, rimandi che è possibile notare mentre si sta leggendo, ora perché i personaggi sono gli stessi, ora perché le situazioni sono analoghe, e di questi rimandi, di nuovo, sembra che ce ne possano essere altri, molti altri, infiniti, forse.
In altre parole siamo davanti a un libro che gioca con i punti di vista, ci sono spostamenti costanti del punto di vista anche all’interno di uno stesso racconto. Così per esempio in Tratte brevi questo gioco salta all’occhio, in Primo amore c’è un’alternanza di punti di vista che passa da un personaggio all’altro per poi ritornare al primo, alla prima, cioè alla protagonista, Lia, e qui si ha un cambio di voce, addirittura, un altro effetto sorpresa ottenuto con sapiente orchestrazione. Anche in Tono sociale di progresso si vede questa abilità, questo artificio letterario, perché l’incontro fra Guido e Sveva avviene lentissimamente, il tempo del racconto qui è dilatato, e mentre i due stanno per incontrarsi, noi rimbalziamo da una parte all’altra, nel crescendo dell’attesa.
Tutti i racconti presentano situazioni sentimentali precarie, ci sono quelli dell’adolescenza, che si muovono sul filo del passaggio all’età adulta, mentre quelli dell’età adulta sorprendono per il modo con cui i personaggi evolvono, nel bene o nel male, come se quel rituale avesse sedimentato, allora, tornando nei modi e nella forma.
Il libro contiene anche un QRCode che rimanda a un EP dei Tare, band nella quale suona la stessa autrice, cinque brani composti appositamente con degli estratti del libro stesso.
Un esordio convincente, Il pop deve ancora venire, dove la forza della scrittura e la precisione del lessico appaiono in primo piano, con la padronanza di Anna Chiara Bassan e l’abilità nell’uso delle parole «instabili, precarie e mutevoli anche da sole.»