Mar e Dio
di Vincenzo Reale
Maria del Mar si prostituiva, ma a Caracas tutti sapevano che serviva pizze e supplì alla stazione di Roma Termini per pagarsi un corso di make-up. Quando il suo fidanzato l’aveva lasciata e se ne era tornato in Venezuela, Mar era rimasta in Italia senza soldi e senza lavoro e senza casa e un giorno in treno aveva conosciuto una dominicana che le aveva proposto di lavorare con lei, che le aveva detto che era molto bella e che bastava mettere un annuncio online per fare un po’ di soldi. E aveva ragione. Mar era procace, tropicale. Aveva un volto antico, primigenio, che a guardarlo ti sembrava di conoscere tutta la storia del mondo. Ma era anche giovane, e di un’età indecifrabile. E i capelli erano lunghi e neri e luccicavano come filamenti di diamanti. Era molto bella, Mar. Sorrideva poco, e quella gravità la impreziosiva; parlava poco, perché le avevano detto che era meglio parlare poco o non parlare affatto, se si era poco istruiti. Aveva ragione, la dominicana. Mar scrisse l’annuncio. – Fatima – disse Mar alla dominicana – non so se ce la faccio. – Ce la farai. – E ce la fece, Mar. Bastava bere un paio di birre prima degli appuntamenti e i clienti se ne andavano soddisfatti. E tornavano.
La casa di Fatima era al terzo piano di un palazzo rinascimentale, e la stanza di Mar era affrescata. Il cliente entrava, la pagava e si spogliava e, quando stava sotto, Mar guardava Dio sul soffitto. Era vecchio e arrabbiato e la giudicava. Poteva essere suo nonno, poteva essere il nonno di Fatima, poteva essere un altro cliente. Mar non ci credeva, in Dio, ma pensare a Dio come a un cliente lo faceva esistere. Per un attimo, solo per un attimo – il tempo di due giravolte sul letto e qualche gemito – Dio esisteva. Quando però tutto era finito e Mar si ripuliva con le salviette umide sul comò, Dio tornava di calce, scolorito, spento. Una domenica, dopo aver passato tutta la mattina a pensarci, disse a Fatima: – L’ho visto sorridere, l’altro giorno. – Chi? – Dio – disse Mar, e non riuscì a credere di averlo detto. – Sì – disse Fatima – a volte lo fa.
Presto Mar fu piena di appuntamenti, così piena che certi giorni non aveva neanche il tempo di mangiare. Faceva dieci docce al giorno, cambiava le lenzuola, riprofumava la stanza. Tutto sotto gli occhi di Dio e degli angeli ribelli, che sembravano fuggire via quando Mar si spogliava; si disperdevano per la stanza con gli occhi iniettati di lacrime e rimanevano immobili a mezz’aria. Dopo aver passato il pomeriggio con Mar, i clienti tornavano a casa e scrivevano online lunghe recensioni appassionate, e tutti, forse con ancora gli affreschi negli occhi, dicevano che Mar era un angelo in carne e ossa. Alcuni si innamorarono. I più ricchi andavano a trovarla quasi tutti i giorni, gli altri si presentavano con fiori e gioielli. Mar non poteva innamorarsi, ma alla fine s’innamorò anche lei. Glielo avevano detto, di non innamorarsi degli italiani. Glielo aveva detto, Fatima, di non innamorarsi dei clienti. Ma Mar lo fece.
Lui non era ricco – faceva il cameriere in un ristorante – e non era bello, ma sapeva farla ridere, capiva la meccanica del suo umorismo, e parlava uno spagnolo buffo, da italiano, e già dopo i primi appuntamenti Mar non sentì più il bisogno di bere prima le due birre. Quando se lo trova alla porta, ha come la sensazione che sia nel posto sbagliato, che debba essere tra i suoi affreschi a scacciare i demoni o a proteggerla dalla pioggia di fuoco su Sodoma e Gomorra. Si incontrano per mesi. E poi una sera lui arriva stanco, ha gli occhi incavati, si mettono a letto e si spogliano e fanno tutto con calma, Mar dimentica Dio, e si svegliano abbracciati la mattina e Mar si rende conto di non aver ricevuto soldi, di non averli chiesti, di non averli voluti, e se ne rende conto anche lui, cerca i pantaloni sul pavimento perché è lì che tiene il portafogli – Li prendo subito – le dice. – Non importa – dice lei, – non li voglio. – Sono qui, te li do subito. – Non li voglio. – Perché non li vuoi? – Mar non risponde. Perché non li voglio?, pensa, perché mi sembra sbagliato volerli? Mar è perspicace, capisce subito, ma non parla. Lui la guarda, rimette il portafogli nei pantaloni, si siede sul letto. – Vuoi venire a vivere da me? – Mar non ricambia lo sguardo, ha appena visto Dio sorridere sotto i baffi. Risponde solo: – Sì.
Fatima non approvò affatto quella decisione, e glielo disse. Le disse anche che la metteva nei guai, che doveva dirglielo prima, che adesso doveva tornare a pagare l’affitto da sola. – Sei una puttana – concluse. – Sparisci.
Maria del Mar fu felice. Lui lavorava quasi tutto il giorno, ma la sera tornava a casa e Mar cucinava e nei fine settimana andavano a ballare, e poi di domenica, quando si svegliavano e c’era il sole, passeggiavano nel parco e mangiavano in qualche trattoria e bevevano vino e tornavano a letto e ci rimanevano per ore. Si scoprirono gelosi, lei delle sue colleghe affascinanti e istruite, lui delle telefonate che Mar riceveva a tutte le ore del giorno e della notte dai vecchi clienti. – Lo sapevi – gli diceva Mar – lo sapevi che facevo la escort. – Lui lo sapeva e non parlava. Lei capiva che di uno come lui, di uno abituato a frequentare escort, non c’era in fondo da fidarsi. Ma Mar l’aveva fatta, la escort, e allora non parlava neanche lei, perché in fondo neanche di lei c’era da fidarsi. Quando però lui usciva, lei lo seguiva o controllava col telefono i suoi spostamenti. E quel telefono, il telefono di Mar, inondato di chiamate e messaggi. A volte i clienti erano insistenti, così insistenti che Mar era costretta a mandargli un vocale – volevano sentire almeno la sua voce – o, come era prevedibile, delle sue foto in intimo. Almeno la lasciavano in pace per un po’. Mar si scattava le foto e le inviava, e tra una foto e l’altra controllava dove fosse lui. Ma lui era sempre al lavoro, e allora un giorno Mar va al ristorante e lo osserva dalla vetrina e vede che lavora davvero, che con le colleghe non parla quasi mai, se non dei tavoli da servire e da sparecchiare. Lui la vede, là fuori, ma non fa in tempo a uscire a parlarle che Mar è già andata via. Mar torna a casa e dovrebbe essere felice, ma non lo è. È arrabbiata, e non capisce perché. Riordina il letto, apre le finestre, pulisce la cucina e pensa, mentre spolvera i cassetti, pensa e non capisce e si dice che, se non capisce, è perché non c’è niente da capire. Che forse l’amore è proprio questo: una banalità.
Una sera Mar preparò la cena e comprò del vino e mangiarono e bevvero, andarono a ballare e bevvero ancora, e mentre ballavano lui le si avvicinò all’orecchio e le disse: – Pensi che sono stupido? – Iniziò una lunga discussione che si trascinarono fino a casa, e a casa entrambi esplosero e lui le strappò di mano il telefono e vide tutti quei messaggi e tutte quelle foto, e lei gli rimproverò di essere troppo ingenuo, di non aver fatto niente per conquistarla, per conquistare la sua fedeltà. In quella casa si erano scoperti gelosi, e adesso, tra le parole e i movimenti disorganici dei loro corpi, si scoprirono violenti, e da quella casa – che non era affrescata, che era senza Dio – Mar fu cacciata come un angelo ribelle, insultata e cacciata da lui, che di nome avrebbe potuto fare Luca o Esteban o 温琴佐, ma che a lei non era mai importato, mai, anche se, si disse Mar in mezzo alla strada con la sua vecchia valigia, forse era l’unico ad averla amata davvero, e forse lei, Mar, la prostituta, l’impulsiva e ormai cinica prostituta di Caracas, la violenza se l’era meritata.
Maria del Mar aveva ancora le chiavi della casa di Fatima, e quella notte tornò lì, nella sua stanza affrescata. Sembravano passati millenni. Fatima non c’era. Si sentì al sicuro, si sentì di nuovo corretta. Dio era sul soffitto e la guardava, e adesso con il dito onnipotente sembrava indicarla. Cos’è che sbagliava sempre? Ogni volta sbagliava qualcosa. Ogni volta. E cos’è che avrebbe fatto ora?, pensava. E se fosse tornata in Venezuela? Le servivano più soldi. Avrebbe ricominciato da lì, dalla stanza affrescata, e avrebbe scopato abbastanza da comprare un volo per Caracas, e poi, e poi, Maria del Mar, si disse ancora in piedi in mezzo alla stanza, cosa fai a Caracas? Cosa racconti alla gente, Mar? No, pensò, sto pensando troppo. Lui mi richiamerà, mi scriverà, mi chiederà scusa e ci chiederemo scusa e ricominceremo da lì, nella casa senza affreschi. Le cose non finiscono così, le storie non finiscono di notte. E se invece, pensò, finissero proprio così? Finiscono proprio così, Mar, si disse. Di notte.
Si abbandonò sul letto a braccia aperte, si tolse le scarpe. Era inquieta, era stanca. Fece un lungo sospiro, inarcò le sopracciglia, ma invece di sorridere sentì il volto contrarsi in una smorfia di disgusto, e fu solo in quel momento che accettò di piangere.
Si addormentò con difficoltà, ma quella notte Mar sognò una grande festa e dei fiori. Una foresta, una città di fiori. Indossava un vestito scarlatto in organza e non riusciva a smettere di ridere – se non per bere dal suo flûte di cristallo. Era un giorno magnifico. I suoi occhi si perdevano tra le decorazioni della città, i drappi dorati alle finestre e le bandiere di un mondo nuovo e intramontabile che ondeggiavano al vento, e intorno a lei tutti cantavano inni trionfali di prosperità. Non era il paradiso, era qualcosa di meglio, e Mar era lì, era parte di qualcosa di eterno.
Quando Fatima tornò, la stanza era ancora piena di fiori. Il volto consumato, le rughe antiche, Dio vegliava solenne dal soffitto. Tra le increspature della barba di calce, l’orizzonte piatto del mare.