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Come uva

di Edoardo Balacchi

Quando ci accorgemmo che il capo era morto ci venne naturale chiuderlo nello sgabuzzino. Lo lasciammo sulla poltrona presidenziale che si era comprato da solo per i dolori alla schiena e ci limitammo a spingerlo nel ripostiglio in cui tenevamo i toner per la stampante, le lampadine di ricambio e le risme di carta.

Frank disse che sembrava la sepoltura di un faraone, nessuno gli diede retta. Nemmeno il capo.

Il resto del giorno fu abbastanza tranquillo. Frank chiamò tre clienti e piazzò qualche vendita masticando svogliatamente la matita, Pam scrisse alla direzione centrale per quel problema con il condizionatore e fu nuovamente ignorata.

Amy delle risorse umane rimase a lungo col cadavere del capo, lo guardò negli occhi lattiginosi che erano rimasti aperti come acini d’uva troppo matura finché non le sembrò di essere entrata in una nuova fase della sua vita, quindi chiuse la porta dello sgabuzzino e tornò alla sua scrivania.

Alle sei Logan e Cynthia spensero il computer e chiusero la cassettiera – le chiavi delle rispettive auto strette nelle mani, i cellulari infilati fra la spalla e la testa.

Chiamarono l’ascensore all’unisono, le loro mani si toccarono per un breve sorriso di circostanza, poi sparirono nel baratro che separava l’ufficio dal mondo di fuori.

Frank disse che sembrava l’inferno di Dante, lo disse senza riferirsi a qualcuno in particolare, guardando le ragnatele che pendevano da un angolo del soffitto, come parlando alle zampe minuscole dei ragni che vi abitavano.

Il giorno dopo Frank andò da un paio di clienti. Il capo non lo chiamava più sul cellulare, non lo tormentava con i report delle vendite. Dal primo cliente andò molto bene, dal secondo un po’ meno. Frank disse che era come il mercato delle vacche, lo disse ad entrambi i clienti ed entrambi risero: uno rilassato e complice, l’altro imbarazzato.

In ogni caso entrambi firmarono i contratti, mentre Frank si grattava con un sorriso rassegnato la testa rosicchiata dalla calvizie che aveva ereditato da suo padre.

Dopo le vendite Frank tornò in ufficio e raccontò a tutti che i clienti avevano firmato i contratti e che si sentiva stranamente sereno anche se uno dei clienti aveva sorriso in modo strano alle sue solite battute. Pam annuì, anche Logan. Amy gli disse che avvertiva una strana vibrazione nell’aria, come un soffio freddo ed elettrico di vento.

Venerdì arrivò come sempre di soppiatto fra vestiti casual e procrastinazioni. Frank decise di prendersi la mattina libera, così restò seduto sul tetto a prendere il sole.

Anche Pam e Cynthia lo seguirono.

Si stesero sulle tegole, puntellandosi con i gomiti e schermandosi gli occhi con le dita socchiuse. Ogni tanto parlavano e ridacchiavano senza impegno mentre una luce calda gli colava nei vestiti e gli disegnava dolci aloni di sudore sotto le ascelle e sulla schiena.

Logan ridipinse l’ufficio di rosa. Scelse un colore molto acceso e lo stese velocemente sulle pareti con un rullo imbevuto di vernice. Lavorò nel weekend per non disturbare gli altri. Con le maniche della camicia rimboccate fino al gomito ogni tanto si allontanava di qualche passo dalla sua creazione per guardarla con l’occhio di un pittore. Alla fine la trovò perfetta e tornò a casa immaginandosi l’espressione di stupore dei colleghi che sarebbero entrati per primi lunedì mattina. Ridipinse anche il corridoio e l’ufficio del capo, lo sgabuzzino no.

Il nuovo colore steso sulle pareti diede a Pam uno strano vigore che le permise di gestire magistralmente la riunione settimanale con le altre filiali. Nessuno parve notare l’assenza del capo, anche le altre filiali sembravano stranamente acefale e quiete. Dopo la riunione Pam e il coordinatore del team sales di un’altra filiale parlarono per mezz’ora di gatti. Entrambi avevano un Maine coon, un maschio e una femmina, potevano farli incontrare.

Il coordinatore era stranamente affascinante nonostante i capelli bianchi, che in videoconferenza gli si illuminavano come una lampadina accesa conferendogli una strana dignità selenitica. Sorrideva con una dentatura perfetta chiaramente artificiale e annuiva a fondo quando Pam parlava di tiragraffi e palle di pelo.

Fu Amy a tenere i rapporti con la sede centrale. Le sue telefonate erano brevi e dirette come iniezioni: mirava alla giugulare e infilava l’ago senza sbagliare. Parlò delle vendite, dei rapporti con i fornitori. Parlo ancora dei condizionatori e dei malfunzionamenti del lettore che registrava gli accessi. Parlò con naturalezza del fatto che per una madre single come lei fosse importante farsi una scopata come si deve, ogni tanto, e che fosse una vergogna tutta questa reticenza a parlare pubblicamente delle mestruazioni.

Venne un tecnico a sistemare i condizionatori, un ragazzo coi capelli ricci e la barba incolta.

Parlò con Logan di auto, si entusiasmò parecchio per la Dodge Coronet del ‘53 che Logan aveva sistemato con suo padre. L’aveva riverniciata di bianco perché il colore originale gli era sembrato pacchiano. Adesso filava, sembrava nuova.

Il tecnico gli disse che restaurare auto d’epoca era il suo sogno.

Quando ebbe finito di riattivare i condizionatori chiese cosa fosse quell’odore strano che sembrava provenire dallo stanzino. Nessuno sembrò dargli retta, nello stanzino non c’era nulla.

Il tecnico annuì, poi si sedette sulla scrivania del capo e guardò il soffitto per qualche minuto mentre il rumore soporoso dei condizionatori lo chiudeva in un guscio pulito.

Frank disse che sembrava una balena spiaggiata, una grassissima balena bianca che ha finito di soffrire il mal di mare. Il tecnico sorrise, gli disse che era forte, e anche Frank sorrise.

Pam alitò sul vetro della finestra, ci disegnò un cuore e lo cancellò quasi subito con la manica. Aveva preparato caffè e biscotti per tutti, le era sembrata una buona idea. Logan e Cynthia si erano avventati all’unisono sullo stesso biscotto, poi entrambi avevano insistito affinché lo prendesse l’altro, assolutamente, prima tu.

Alla fine Cynthia ne morsicò un pezzo e diede il resto a Logan, imboccandolo. Il biscotto sporco di rossetto sembrava stranamente felice di essere divorato, di essere diviso.

Frank convocò una riunione e annunciò a tutti che avrebbe voluto fare il comico, da giovane. Era un martedì qualsiasi e l’odore era quasi insopportabile. Amy annuì, si raccolse i capelli in una coda alta da ragazzina.

Frank insistette: sarebbe stato un ottimo comico, oppure un cantante, un cabarettista. Niente report vendite e niente telefonate, solo presenza scenica e prontezza di spirito. Mentre gesticolava fece cadere a terra il portapenne di cristallo del capo: i frammenti per un istante disegnarono un arcobaleno sul muro e poi si sparsero come perle di una collana rotta, correndo sul pavimento fin sotto le scrivanie.

Pam osservò il vetro insinuarsi sotto la stampante, sotto la porta chiusa dello sgabuzzino. Raccolse un frammento e si tagliò, poi lasciò che il sangue le gocciolasse libero sul finto parquet. Quando fu chiaro a tutti cosa stava succedendo si riscosse e disse che era ora di andare a casa, che avrebbero pensato un’altra volta alle schegge.

La direzione centrale inviò al capo un encomio per l’eccezionale rendimento dell’ultimo trimestre. Amy lo lesse, poi lo appese con una puntina alla porta dello sgabuzzino. Chiese a Pam di tagliarle i capelli. Corti. Disse che voleva tingerseli di verde, una volta a casa, e che voleva un taglio aggressivo per una volta in vita sua. Non da mamma, non da figlia. Quando Pam le tirò per sbaglio una ciocca si morse il labbro e inspirò a fondo. Fallo, taglia, avanti.

Amy e Frank fumarono seduti sulla scrivania del capo con le gambe a penzoloni come da un baratro. Frank fumava il sigaro, Amy sigarette al mentolo. Gli raccontò di sua madre, della demenza senile, dell’intima speranza di trovarla pacificamente morta nel sonno ogni mattina. Frank la ascoltava prendendo lunghe boccate di sigaro e facendosi uscire il fumo dal naso come la caricatura di una teiera. Le disse che le aveva sempre voluto bene come a una sorella. Amy gli chiese se avesse qualcosa contro l’incesto. Risero, poi Amy ripeté la domanda, questa volta più seria.

Bruciarono il calendario e staccarono i telefoni, tagliando i cavi uno alla volta nella progressiva estinzione dell’esterno per far espandere l’ufficio oltre i confini gelidi della produzione e dei grafici. Amy con le forbici e i capelli verdi rideva di gusto mentre Frank provava le sue battute in piedi sulla scrivania.

Pam con gli occhi chiusi, sdraiata sulla scrivania, disse a Logan che doveva esserci qualcos’altro. Qualcosa che le sfuggiva.

Cominciò come una sensazione sgradevole, come qualcosa che si appiccica sotto le suole delle scarpe, un suono indeciso e nervoso.

Controllarono le scrivanie, i cellulari aziendali. Tutto spento, tutto inerte, eppure qualcosa faceva un rumore dolente e colpevole, qualcosa li stava chiamando.

Fu Amy a guardare per prima lo sgabuzzino, la porta sigillata e la lettera d’encomio che vibrava nell’aria come una bandiera dopo la disfatta.

Cynthia e Logan uscirono dal bagno in cui si erano chiusi insieme mezz’ora prima, uscirono per fissare anche loro la porta dello sgabuzzino senza capire, senza chiedere nulla.

Il suono continuò, si allargò in un pianto disperato, nella suoneria troppo alta di una discarica di cabine telefoniche e telegrafi e balene spiaggiate, nel battito di ciglia di un occhio cieco e bianco come un acino d’uva troppo maturo.

Frank disse che si era sempre immaginato così l’apocalisse e tutti capirono all’istante cosa volesse dire ma rimasero fermi, congelati nelle pose che avevano quando tutto aveva cominciato a implodere.

Immagine di Michael Pointner da Pixabay

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1 commento

  1. eppure le regole che ci diamo e che pensiamo essere le migliori, a volte sono soggette al tempo. Ed è anche di questo che parlo nel mio libro “L’ordine spontaneo”. Di come le regole, fondamentali per una società civile, siano poi frutto dello scorrere del tempo

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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