Il bel tempo

di Luisa Pianzola

 

Questo è il bel tempo.
Il tempo che non c’è, che leva le tende e sparisce
si solleva da terra e sfuma nel primo strato
dell’atmosfera. Nessuno va più su
o di lato, o indietro.
Non maturano i gigli e le pesche, acerbe.
Si chiudono temporaneamente orifizi
e fughe prospettiche.
Tutta la folla rimane in attesa. Socchiuse le bocche
mentre altre stanze precipitano,
si abbassano al suolo come un periodare maldestro.
La scrittura non rincorre il fine riga.
Non passa per l’antica meta del cervello
il punto che arriverà.
Questi siete voi, i descritti.
Questi non saremo mai noi.

 

 

 

 

Un lago si è aperto sotto di me,
un vuoto d’aria e acqua. Immersi vi sono
i miei genitori, se ne stanno così
in profondità che tra noi, tra i miei piedi
e le loro teste corrono chilometri di silenzio.
Verticale, opaco.
Filtrato da strati vischiosi.
Solo così li rivedo, da sopra
ma non sento i dialoghi di casa,
quel tipo di conversazioni.
Si sente solo un sibilo acuto come di cetacei.
Degli esseri viventi, quindi, che si muovono
nello spazio abissale che ci separa.
Non sono sicura che siano morti.

 

 

 

 

Senza indulgenze, ferito per disgrazia
fissi i passanti poi ti ritiri verso il muro.
Svariati interessi del tutto umani, inutili.
Gli stolti e i fanciulli ridono.
Tu, crudele senza gaiezza, per necessità
nel circuito e nel legame.
I tuoi genitori non ti rivogliono
ti è totalmente indifferente.
Gli occhi lattiginosi per guarire
forse non guarirai.
Ti è indifferente.
Sotto, la verità.
Più sotto, la verità.

 

 

 

 

Ma perché a un certo punto della vita
c’è sempre qualcuno che sente la necessità
di infilarti qualcosa nel corpo, cioè, anche tu
ne senti la necessità, spesso, ma che cos’è questo
penetrare le carni di un altro, entrare nelle sue
fenditure e lì pretendere ristoro, occupazione
di piacere senza caparre né prenotazioni.

 

 

 

 

Per esempio adesso c’è questa vita qui
da vivere, c’è questa vita. Andando avanti
e indietro come su una strada, come in corpi
da penetrare. Ti sembra di riuscire a stupirti
ancora e invece è sempre la stessa biologia
scritta e riscritta a penna, proprio a mano
tanto tempo fa.
Alla fine non risulta costruito quasi niente.

 

 

 

 

Regalaci un nome buono
un’immagine da conservare.
Abbiamo perso tutti gli occhi
e vediamo solo con fronti inadeguate,
labbra che non mordono.
Camminiamo in riserva: ecco, qui si è squarciato
il recinto e siamo tutti caduti in una fossa.
Raffreschiamo le nostre giornate
con oblio puro.

 

 

 

 

*

Estratti da Il bel tempo, di Luisa Pianzola (Transeuropa 2024)

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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