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Cose che accadono la notte

di Francesco Ciuffoli

 

I. con il cervello in vasca
lungo queste rovine
urbane come detective tra le pianure
dispersi in una guerra senza colpe né responsabilità,
sono tornato a casa felice, sai
la scorsa notte
Giù per via Padova, in direzione Crescenzago
dove c’era rispettivamente: il sottopassaggio, il centro massaggi, l’alimentari,
il bar Simpon’s, il vicolo dove non ti vede nessuno e c’è sempre gente che scava nell’ombra
quando passa il treno.

Eccone uno, uno così, un altro poveraccio
giovane mezzo occupato da dentiera e braccio con l’alzabandiera
si tormenta le ossa. Ex lavoratore, ha 40 anni, per ora
Va, poi quando finisco i soldi
ti pago del risarcimento, intanto, ordina una Tennent’s.
Quest’altro gliela allunga.

In un ashram senza più speranze e vie di fuga
o vie che possano portare da qualche parte, deve essere bello qui, passare l’estate.
In questo inverno che sente per un po’ di Dio in questa ragazza
una fortuna incredibile, una donna incredibile
un rifugio, un buon posto, un luogo sicuro dove innamorarci perdutamente.

E checché se ne dica, questa mia compagna così fedele alla vita
anche se non sembra
per un libro e una gonna di jeans verrebbe a trovarti
anche domani
In direzione Loreto: dal quinto, dopo il sotto
passaggio del treno, benzinaio IP, l’alimentari, la Pam, il tabacchino…
dov’è c’è stato, con te a guardare
questo lento tornare dei camion pubblici sotto un cielo di rame e lana grigia
Per le ore di traffico «Hai per caso una sigaretta?
«Te la giro io, dai

*

II. Mentre al parco mi ricordo, un giorno di «Hai per caso
una sigaretta? Tipo
Diceva questo qui «quella industriale? se vuoi ho da girare «vabbene. grazie.
«vai – e gli ho dato tutto in mano
«non è che me la chiudi. io non posso. ho i chiodi,
i chiodi nelle mani, mi hanno operato, guarda. E fa vedere
i bozzi da macellaio, affiorano sottopelle. Era un ragazzo di colore
aveva le mani gialle,
era quello delle angurie, a detta sua, il migliore, «tu non sai,
quante ne sollevavo io
Poi l’incidente, mi ha raccontato «non dire niente, diceva
il padrone «ti aiuto io, ma tu, non dire niente, diceva
e lui voleva solo mangiare, «ci penso io in ospedale, non dico niente,
ma tu porta da mangiare. Solo mangiare, perché così non si poteva
lavorare e lui doveva, si,
mangiare. Una, due, tre volte. Poi più niente.
Lui queste cose non le fa perché è bravo, anche se non è giusto
Lui è bravo, se dice che non parla, non dice niente, lui non dice, non parla
Ma lui quando lo vede girare per Lecce con gli amici la moglie la gente…
«Io lo guardo così. e il padrone, lui si deve girare,
ma lui non lo fa, mi chiede pure e dice
«mi stai guardando? Mi stai guardando!? «Capisci?! Se io ti guardo
Tu Ti Devi Girare! solo questo.
perché io mi spacco la schiena, io mi sono fatto male
alla schiena. io non parlo, non dico, mi sono rotto le mani e io,
io non dico niente.
Solo agli amici ho parlato. io gli ho detto, lo dico, lui non è uno bravo, adesso
io lo dico a loro e poi vediamo.
Perché l’italiano non lavora, nelle campagne, ci siamo solo noi, io adesso lo dico
e poi vediamo.

*

III. Eppure potrei dirti con frasi equivalenti, trovandomi lì, per curiosità
chiederti se hai visto
Nella possibilità instancabile di edifici e torrette, per esempio
questa serie di
terra, vetro, scarpe e pelliccia. nel cemento, i chiodi nelle mani, il fumo,
le fiamme sopra i caschi, i lacrimogeni, durante le cariche della polizia,
gli occhi dentro la coppa d’argento, il cielo di marzo, il buio di via Padova,
la camicia appesa, insieme alla giacca, la città stanca e depressa, quest’inquietudine
senza trauma né attesa

E quanto pesa seppellirci tutti?
La testa di un re senza corona. Questa febbre, la poesia. Un deserto che resiste
al freddo.
Com’è sarebbe, bella la vita. Com’è bella la poesia. L’affitto di una camera, per una
vita.
La vita in nord Italia.

*

IV. In riferimento. È su quelle spiagge che ci abbiamo versato tutte
le lacrime, il sudore, la saliva e il sangue. Lo sperma, i cocci di bottiglia per terra
Per strada, con la macchina, passando davanti a una casa senza luci
Una coppia di anziani rimasta sveglia, guardare Sanremo, guardava la luce
azzurra del televisore, Amadeus.
In fondo, li capisco benissimo. Cambiano poche cose a 25 anni
è un quarto di secolo! Sei vecchio! Alla fine. Sei anni. in sei anni
cambiano poche cose, davvero.

*

V. perché «vivi allora? «non so
«perché aspettando la fine, anche se non arriva
e neanche passa, questo incredibile senso di sospensione
ogni giorno si rovescia e ci attraversa, finché un giorno
un giorno
un giorno ci conquisterà. Lo so
«sarà la cosa più triste «il giorno più bello
«l’ultima cosa felice
sulla faccia della Terra. Il fiammifero acceso che cade di mano.
Nel rogo, le fratture / la chimica più pura.

E tu dirai allora «cosa fare? cosa resta? «La città
questo spazio di sensazione e indeterminazione, che ci determina e dimentica
questa notte che passa pensando di sorgere anche domani, dopo che passerà
questo processo, questo sollievo da grande allucinazione che affonda su di noi
anche su di noi
la sua lama

qui
sulla Terra
con il cervello in vasca e quattro minuti di silenzio, una bella canzone, qualcosa
da raccontare sottovoce, una storia per esempio, senza intreccio né trama,
né colpi di scena, una giustificazione.

*

VI. E anche se uno sguardo d’altri su questi pazzi chiude a una a una tutte le porte
per noi, senza troppe smancerie
si sentirà il gemito di chi gioisce, soffre, e gode di vivere ancora su queste impossibili strade
e case e città e pianure
ogni singola notte. «Accendi i tergicristalli. Dai. Alza il volume. Vorrei sapere
come finisce.
da un momento all’altro. questo nostro mondo.
la geografia di un sogno. la mappa imperscrutabile di questo incubo.
Dove, per un buco di terra senza palazzi né ascensori, ci sarà sempre
un luogo utile per riposare,
quest’idea
di io e di te come raggi climaterici di questa catastrofe
perché nessuno riesce davvero a riposare, neanche noi
E si perde a guardarci
Ma prima di attaccare il turno
saremo per Lui giovani, adulti di nuovo, gli amanti del quinto piano,
l’ultima scena di un film, di un libro
in cui sia io che te abbiamo incastrato forse i nostri anni migliori
senza più pene né preoccupazioni
fino a domani.

*

 

[L’immagine in copertina è dal Flickr di Shaun Merritt]

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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