Il quinto incomodo
di Tommaso Meldolesi
Con Marco, Oscar e Gigi ci troviamo ogni settimana a cena il mercoledì sera, a turno a casa dell’uno o dell’altro. Da quando abbiamo lasciato le nostre mogli, abbiamo preso quest’abitudine che ormai si è consolidata negli anni. E nessuno di noi quattro saprebbe farne a meno.
Quella sera Gigi ci aveva preparato un pollo alla diavola con contorno di funghi shitaki che era la fine del mondo, Marco aveva portato una bottiglia di Amarone del 2016 ed io una crostata con i frutti rossi. Così, satolli e soddisfatti dalla buona cena, eravamo da poco seduti intorno al camino intenti a bere l’ultimo bicchiere, quando Marco ad un tratto emise un singulto.
– Ragazzi! Chi è quello là? – ci chiese dopo un secondo, visibilmente spaventato.
– Chi?
– Chi?
– Chi?
Ripetemmo noi tre in coro.
– Quello là!
– Ma dove? Chi?
– Guarda Oscar là dietro. Si là, là… Non lo stai vedendo adesso? – esclamò Marco alzando un dito in direzione della finestra.
– Ma dove? Io sto guardando in quella direzione, ma non sto vedendo nulla.
– Là… là… vedi ora si sta muovendo…
– Ma dove? Dio mio!
Marco sembrava posseduto dal sacro fuoco del terrore, al punto che noi tre pensammo che stesse delirando per via dell’alcol quando, osservando meglio, quasi tremando, Gigi si rivolse a noi dicendo:
– Ragazzi, forse Marco ha ragione. Guardate là… guardate là in fondo.
Scrutammo con attenzione il punto che Gigi ci stava indicando e di fianco alla tenda della porta finestra che dava sul giardino scorgemmo in un angolo la sagoma di un uomo.
Gigi abita a pian terreno ma per arrivare al suo appartamento si deve attraversare un cortile interno che non è accessibile dalla strada. Chi l’aveva fatto entrare? Che cosa voleva quell’uomo da noi? Rovinarci la serata? Oppure chissà che cosa… Nessuno di noi lo conosceva né aveva idea di chi fosse.
L’uomo sembrava sorriderci. Che avesse bisogno di aiuto? Aveva il volto spigoloso, un’aria non invitante e un’età indefinita sopra i cinquantacinque anni. Anche quando ci sorrideva sembrava tirare tutti i muscoli con una tensione innaturale. Quel sorriso mise tutti noi molto a disagio.
– Cosa facciamo? – dissi imbarazzato.
– Io a casa mia un estraneo non lo faccio entrare! – esclamò Gigi risoluto. – Voi fate quello che volete. E se volete invitarlo e andarci a bere una birra sono fatti vostri, ma non mi coinvolgete per favore. Intanto si è fatto abbastanza tardi per cui è meglio che la finiamo qui per stasera perché domani lavoriamo tutti.
Ma quando poco dopo uscimmo per tornarcene a casa, l’uomo dal giardino era sparito.
La settimana successiva, dopo la solita cena, questa volta a casa di Marco che abita al settimo piano di un grande palazzone, udimmo bussare alla porta. Il padrone di casa andò a chiedere chi fosse a bussare ma nessuno rispose. Nello stesso istante a me e a Gigi parve di vedere lo stesso volto dell’uomo che ci aveva sorriso una settimana prima, ma questa volta molto più circospetto e quasi scocciato. Sembrava che ci stesse spiando in ogni nostro minimo movimento. Ci sentimmo controllati e osservati dall’esterno e questo ci diede molto fastidio.
-Ma chi è? – chiese Gigi ad alta voce. – Che cosa chiede? Cosa vuole da noi?
Marco molto timoroso aprì la porta, ma sul pianerottolo non c’era anima viva.
Lo fissammo bene tutti e quattro. L’uomo sembrava essere appeso al vetro non si sa bene come. Chi ce l’aveva portato? E soprattutto cosa avremmo potuto fare per lui? Quel volto così spigoloso e insolito non suscitava in nessuno di noi memorie di amici scomparsi o di antichi rivali in amore o quant’altro. Era soltanto la proiezione di un sentimento comune che tuttavia ci inquietava e non poco.
Un mese dopo eravamo tutti a casa mia. Stavamo per iniziare una cena a base di specialità della cucina asiatica che sono da sempre la mia passione, quando udimmo suonare il campanello. Da sempre interessato agli incontri, anche ai più stravaganti, decisi che sarei andato ad aprire.
– Ma sei matto Andrea! Magari è sempre quello!
– Vuoi metterci tutti in difficoltà?
– Ma cosa ti salta per la testa?
Mi dissero i miei amici terrorizzati. Ma io, fermo nella mia decisione, mi diressi verso la porta d’entrata ed aprii.
L’uomo entrò. Era altissimo e molto magro. Aveva i capelli grigi corti ed era tutto vestito di grigio.
Mi ringraziò per l’ospitalità e si sedette a tavola con noi. Superando i nostri timori iniziali, ci accorgemmo che sembrava molto affabile. In fondo questo quinto incomodo non era poi tanto male. Quell’incontro così insolito e inatteso finì per trasmetterci una strana allegria. Il problema era che l’uomo non parlava la nostra lingua per cui non potevamo sapere nulla di lui. Lo sconosciuto cominciò a mangiare con voracità tutto quello che si trovava davanti e parlò ad ognuno di noi in un idioma straniero molto buffo che nessuno di noi aveva mai udito. Parole simpatiche, sicuramente affettuose, ma chi di noi quattro poteva afferrarle e capirle fino in fondo? Avremmo voluto conoscerlo meglio, invitarlo ad altre nostre cene ma la sua non fu altro che un’apparizione.
All’improvviso si alzò da tavola, rivolse un grande sorriso a tutti noi, uscì dalla porta di casa mia e sparì.