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Perché i salmoni abboccano?

di Nathan Wolf

Qualche giorno fa sonnecchiavo sul divano mentre in TV passava un documentario sui salmoni. Niente di nuovo, la loro odissea riproduttiva la conoscono tutti: migliaia di chilometri di risalita, controcorrente (ho dimenticato la velocità dell’acqua di quei torrenti) le sfide faticosissime eccetera. La natura è piena di iperboli, a pensarci bene. Comunque, la solita banalità della lotta per la vita. Un orso addenta un salmone in slow motion; un altro si arrende alla corrente, sparisce, muore (?) – una femmina si contorce, raggiunto il suo alveo di fiume prediletto dove, stando all’onnisciente voiceover, è nata, per creare un avvallamento sul fondale in cui depositare/deporre le uova.

Mentre i salmoni anelano a trasmettere la proprie genia, io galleggio nel dormiveglia. Certe informazioni interessanti lanciano un salvagente alla ragione, il tono petulante del narratore invece la affonda. I maschi di salmone arrivano dopo – blub, blub, blub. I fiumi rinsecchiti dal clima devastato mi provocano una drammatica linea piatta. Un suono lungo, spastico. Sono quasi affondato. Poi, all’improvviso, la luce: i salmoni durante la risalita non mangiano, sento. È per deporre più uova (continua il fantasma narrante) stomaco vuoto, spazio maggiore. L’associazione non mi conquista, ma la voce rilancia: visto questo forzoso sciopero della fame, rimane tutt’oggi un mistero perché abbocchino all’esca dei pescatori.

Non dormo più. Penso alla deontologia salmonica, quasi salomonica, che immola il nutrimento sull’altare della prosecuzione della specie. Lo capisco. L’evoluzione è stupendamente ragionevole, quindi illogica. La natura prevede che i salmoni non consumino cibo durante il ciclo riproduttivo (che dura mesi) allora perché un sapiens con stivali e bretelle riesce a stornarli dal loro intento? Cos’ha quel cibo sintetico rispetto a quello naturale, come può una semplice esca distrarli dalla loro missione millenaria e millenaristica, definitiva, universale?

I salmoni non mangiano, però abboccano. Sono forti, nella loro biosfera persino intelligenti, affrontano sfide estenuanti per poi, alla fine, abbandonarsi alla corrente per tornare in mare, accettando una vasta possibilità di morte. In effetti non sembra troppo seducente, vista così. Pochi secondi di soddisfazione riproduttiva sono seguiti da abbandono, oscurità, privazione sensoriale, dissoluzione, paura, orrore. Morire per continuare la vita, sopravvivere, ma solo nei propri geni – e, in tal modo, eternizzarsi.

L’alternativa è un’esca, un’illusione. Cascarci, insomma. Dove va, dopotutto, il salmone che abbocca? I suoi consimili lo vedono piegarsi, sollevarsi e schizzare fuori dal loro sistema di riferimento biologico verso l’universo asciutto noto solo collateralmente, per contrasto. Un luogo popolato da predatori in cui la loro specie non può sopravvivere. Eppure lo fanno, eppur si muove il salmone. È l’uscita di emergenza, direbbe Cartarescu.

Nel limbo ipnopompico la Voce mi arpiona verso la realtà: è uno dei misteri della biologia. Ma come! (mi oppongo) la virile scienza delle cose viventi è incapace di decifrare un atto di ribellione così semplice, davvero è cieca fino a questo punto? Alveari di ricercanziati si sono spremuti le meningi e hanno colmato pagine su pagine di diarree alfanumeriche solo per lasciarsi sbigottire da una cosa tanto sciocca e bella, meravigliosamente anarchica come l’ostinazione di un girasole fiorito in autostrada. L’insostenibile, incomprensibile leggerezza del salmone.

Sarebbe forse appetibile, viene da pensare, un universo einsteniano e rispettoso, ma la verità è che quel salmone disertore, quel soldatino dell’illogico che lotta con pervicacia da schiaccianoci contro l’orrore della biologia preordinata, mi affascina e se ne fotte; tifo per lui col cuore gonfio della commozione di chi guarda un debole affrontare un titano. Mi mancherebbe, e se non ci fosse andrebbe inventato, perché da che mondo è mondo sono i pazzi a profetizzare la sanità del futuro.

Ammettiamolo: è filosofico. Anziché pronarsi all’implicita teleologia insita nella propria specie, il salmone-pensatore decide per un’altra strada, romantico e inaudito: perderà e, in quanto sconfitto, diverrà invincibile. Cambierà gioco, trascenderà la sua natura, diverrà altro. I salmoni lo sanno. La biologia sussurra “nuota”, la filosofia grida “vola!” – e il salmone, ben consapevole dello spauracchio sospeso nella corrente davanti a lui, così sfacciatamente dissimile dal suo abituale nutrimento da risultare inappetibile, ci casca, si avventa sulla cordicella e abbocca. Non dovrebbe farlo, non è deontologico, ma lo fa.

E chissà che ne racconteranno i suoi simili, lasciandosi trasportare di nuovo a mare dopo la turpe agonia riproduttiva; chissà che ricordo avranno, cosa diranno, se avranno visto oppure no il miracolo e se alla loro successiva spedizione su per le rapidi, attraverso le fauci degli orsi, proprio lì, nel miasma dell’imperativo istintuale, non vedranno anche loro una funicella aliena venuta da un altro mondo penzolargli di fronte alle branchie, e a quel punto saranno loro quelli chiamati a decidere tra il mos salmonorum e un’avventura allogena.

Il sonno ritorna, parte la pubblicità. Quel ragionamento sfuma così come si è palesato, con un guizzo di pensiero. Un refolo di illazione. Cerco di vedere un’analogia ma continua a tornarmi in mente il teatrino delle marionette col cielo di carta bucato di Anselmo Paleari, e tutto si ferma lì. Il salmone eroe tragico che sfreccia attraverso le stelle d’un presepe. Forse è felice, forse gli basta così, come alternativa al gorgo della biologia non sembra male.

Alla fine, i salmoni, perché non dovrebbero abboccare?

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7 Commenti

  1. A volte ti sorprendi di come dal quotidiano si aprano sprazzi sulla profondità dell’animo.
    Mi ha lasciato un sorriso, veramente piacevole!

  2. Chi sceglierebbe la disciplina quando si ha dinnanzi l’avvincente proposta di un viaggio con gli alieni? Ma forse è solo troppo catchy la pubblicità del fastfood delle esche, cosí colorato, cosí proibito, cosí indelebile da spalancare un ‘perchè no’ nell’innocente psiche del salmone. La pubblicità funziona su miliardi di consumatori armati per schivarla, perchè non sui sorridenti salmoni sull’autostrada della riproduzione?
    Articolo bellissimo, sempre più curioso di leggere qualcosa di Nathan.

  3. l’impulsività del gesto è quella libertà emotiva a cui si ambisce per una vita intera. Un’esca, una donna, una macchina sportiva, un gioiello in fondo al mare: un attimo di distrazione del cervello e il cuore lo soppianta, ponendo fine (o dandole finalmente un senso) a una vita già scritta. E gli altri guardano, criticando o ammirando quel blackout mentale che fa volare il salmone fuori dal suo elemento, chissà dove e chissà per quanto. Via dalla banalità della routine.

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lisa ginzburg
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Lisa Ginzburg ha scritto i romanzi Desiderava la bufera (Feltrinelli 2002), Per amore (Marsilio 2016, Au pays qui te ressemble, Verdier 2019), Cara pace (Ponte alle Grazie 2020, candidato al Premio Strega), le raccolte di racconti Colpi d'ala (Feltrinelli 2006, Premio Teramo 2007) e Spietati i mansueti (Gaffi 2016, Premio Renato Fucini 2017), i mémoir Malìa Bahia (Laterza 2007), Buongiorno mezzanotte, torno a casa (Italo Svevo 2017) e Pura invenzione. Dodici variazioni su Frankenstein di Mary Shelley (Marsilio 2018). Collabora con Avvenire.
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