Sopra (e sotto) Il tempo ammutinato
(Lettera a Silvia Comoglio)
di Marco Balducci
“Silvia è un’estremista”. Questo volevo dire, a Ferrara, come battuta a commento delle poesie del Tempo ammutinato.
Poi sarebbe servito spiegarsi, perciò ho preferito non dirlo (non essendomi preparato a farlo). Questa idea però si sta consolidando e dall’intuizione potrei trovare le impressioni che sotterraneamente l’hanno costruita, lettura dopo lettura.
Di sicuro l’estremismo della tua poetica è molteplice e la definizione di estremismo può riguardare più di un aspetto. La prima evidenza è sulla pagina: le parole dominano il senso, singolarmente, evocandolo non attraverso costruzioni sintattiche ma in forza di un’autonomia espressiva declinata in metamorfiche accentazioni, spezzature, assonanze… già lì si “ascoltano” i suoni delle parole: nella lettura mentale. Questo non esclude la significanza, ma questa a me appare l’aspetto in ombra rispetto la luce del suono: la parola detta significa dentro il dettato, alla maniera in cui l’ipnosi procede attraverso una precisa intonazione della voce a dare forza alle parole che diventano imperative, significanti dunque al sommo grado (dato che determinano degli atti). Ma qui il motore delle parole serve a raccontare per lampi, in una maniera quasi imagista, non delle storie ma eventi.
E l’alternarsi nella prima sezione del Tempo ammutinato (che in realtà comincia con il 2.) di scrittura in corsivo a quella in tondo suggerisce un dialogo tra due voci che interrogandosi a vicenda costantemente rilanciano con domande su domande (enigmi su enigmi?) l’attesa di risposte che chi legge/ascolta è chiamato a cercare.
Ma l’estremismo di questa forma di poesia forse non è neppure tale, dato che é quasi un unicum nella sua formulazione: dunque estrema rispetto a quali modelli? A questa domanda forse potresti rispondere tu stessa e te la giro volentieri… nella mia ignoranza non trovo analogie con altre scritture poetiche quanto piuttosto con qualche pratica rituale, sacerdotale, dove l’evocazione è forse equivocata non altro essendo che un’intima liturgia ad uso personale di interrogazione del sé recondito da parte di un sé medianico.
(Una tua risposta intanto l’avrei trovata, rileggendo dal blog di Marco Ercolani di una tua dichiarazione di poetica dove escludi intenzioni sperimentali, seppure l’estetica dell’avanguardia possa essere stata da te conosciuta e interiorizzata…) Comunque l’aspetto performativo che è peculiare e rivelatore della tua poetica non è riconducibile ad altri poeti/e performatori/trici, mentre trovo interessante qualche analogia con l’attitudine interpretativa di un duo di cantanti (e autori) inglesi che hanno messo in musica le Elegie Duinesi di Rilke, in un album del 1998, Just After Sunset: Anne Clark e Martyn Bates declamano, (soprattutto la prima, l’altro vocalizza più melodicamente), dando ai testi un’atmosfera aurorale…
Tornando al Tempo ammutinato: la terza sezione inizia con una quartina scioglilingua che solo a vederla attiva la salivazione del piacere: che sia di terra parlata / la barca a molo di mondo, / la spiga, di bruma bruciata, / senza sponda di stella. La rima alternata parlata/bruciata è annegata nelle allitterazioni delle dentali, labiali, nell’accelerazione finale delle sibilanti. Il senso è trasfigurato, eppure è detto: ma infine, quand’anche lo si legga l’ennesima volta, ancora sfugge, rifulgendo in chiusura la stella che lo evade nel lampo: il lampo che ammalia e stordisce.
Leggere queste pagine-partiture è in realtà un perdersi nei suoni: suonano nel ritmo delle sillabazioni, nelle pause degli spazi bianchi che sono le sospensioni gestuali del direttore d’orchestra tra un movimento e l’altro o tra dei pianissimo e momenti briosi o meditativi.
Poi leggo: ì-mmortale proclamo te / nel tempo ammù-tinato.
Estremismo della Chiaroveggenza1 : tu, con mandato che viene da sfere a me non visibili, con parole divinatorie sciogli il mio destino fatale…
Perché non sono forse io, il tuo lettore, il tuo specchio, il tuo orecchio, a dover vivere per sempre?
Questo infine mi sono chiesto per un momento, incantato da questa investitura che riservi probabilmente a un tu reale o ideale cui concedi il tempo ammutinato (come quello dell’orologio di Apollinaire le cui lancette girano a rovescio2 ?) perché il suo amore possa sopravviverti e perché possa celebrare per sempre la tua memoria.
O semplicemente, la parola.
Chiudo il libro, ti abbraccio.
Note:
1. Chiaroveggenza è il titolo di una sezione di Afasia di Silvia Comoglio (Anterem, 2021)
2. Allusione all’orologio del ghetto di Praga in Zona, di Guillaume Apollinaire
***
come se una fosse la rupe,
l’offerta chiusa di fiore
in altra fascia di mondo
é-retta a materia
e sia carta di mondo
la terra ―
nata a bisbiglio in á-
bisso di sogno ―
e dite, raddoppia, forse raddoppia?,
il lato dei dissi a taci di tempo dove ―
dove la terra è l’eco di un’ombra á-
mata a ritroso?
e l’eco, dite, á-mata a ritroso
è dove a Est del giar-dino di Eden
all’indietro cercano cielo u-
signoli stupendi
In la diesis
ebbra voce a taglio è il molto che sovrasta
il limite a roveto di contratta lingua nella bocca,
la musica di piume resa, resa estrema, estrema ―
nello spazio, alto, di cicogna
(… un giorno saremo strani ordini predetti
in asse alle finestre – chiuse – per la notte,
scure effigi scure a gote píccole di mondi dove ―
dove dire: qui-è-il-cielo e questo, di recente,
appena respirato il pruno scuro nell’ansa ―
dell’inverno …)
In sol maggiore
stanotte sono chi racconto : pausa
disgiunta da memoria : vera rosa ―
ricurva di follia ―
(generarti a nome del mio tempo fu l’unico segreto,
del labbro, appena, fessurato …
… allora, fu detto, è acuta forma di radice
lo sguardo appena srotolato in sillabe di nomi
incessanti e già caduti
… rose, ritorte di sibille, di mondi ―
a voci irregolari, leggermente, negl’occhi, arti-
colate …
… la distanza tra sillaba e sibilla è allora ―
mantice di casa a luce soffiata inter-mittente?
… fui qualsivoglia-tuo-reame terríbile e vivente,
l’urgenza che prego di guardare nel dono del suo peso …)
In do minore
tutto fu misura di conscio crepitare a terre di boscaglia,
“álbe rese alte! da incógnite tue rose, “fíbule del tempo,
di guardia, alla fontana
(fino a questo dire è salita con l’argano la voce …
… tremito che nuota, stretto, al dormiveglia
… cima di montagna – informe e sprofondata –
nell’idea, incessante, di presenza)
In la diesis
… e cresce – a galla sopra al limo – cresce
a orbita di luna l’al-bero sul limo …
(… e a sedurci qui rimase il prodigio di sapersi ó-
rizzonte seminato nel buio della terra …
… una scala di mí-
nima misura …
… la lácrima svegliata stornando ―
terra dalla terra, l’ómbra ―
dall’albero fantasma …)
In mi settima diminuita
e, poi, fu detto infine:
― e tu dórmimi nana ai piedi del re sí-
lhouette di rosa non rosa, fischio,
scosceso, del tempo che accende
lúne forti nel Sempre, nell’onda stu-
penda di rena
* * *
… í-mmortale proclamo te
nel tempo ammú-tinato?
*
(ma): fu nitore —
áppiccato nudo
dove, iddio, discese —
a nodo appena sciolto?
*
(á-ppiccato nudo!)
fu tempo, dite, ammutinato?
iddio disceso a dono
fin dove, in apice di sete,
la térra tu síllabi a deriva?
*
e dove —
fu tempo ammutinato
esiste, dite, l’universo?
o è vasto —
ordine di terra
solo —
una candela?
*
(e): la grazia del tempo ammutinato
è il fiore spaccato a vita?
*
(ma, allora): dove fu nitore á-
ppiccato nudo il tempo,
si vide, mondo senza abisso,
iddio disceso a dono
fin dove, in apice di sete,
si spacca il fiore a vita
perché sia il tempo ammutinato
l’eterno mirácolo di vita